“Auguri, Nostrano”: i primi 10 anni del ristorante ripercorsi nella nostra intervista a Stefano Ciotti. Dagli esordi ai premi, passando per il team e l’evoluzione della cucina: la visione dello chef in occasione della ricorrenza.
Crediti fotografici: Marco Poderi Studio
Più o meno un anno fa, siamo stati a trovare Stefano Ciotti, al ristorante Nostrano di Pesaro, per provare il suo menu degustazione “Una giornata al mare”. Quel pezzo si chiudeva con una citazione dello scrittore Jean-Claude Izzo, ovvero «di fronte al mare, la felicità è un’idea semplice», dieci parole che si volevano assumere la responsabilità di definire il nuovo corso della cucina di Ciotti.

È passato un anno, e oggi quella frase è stampata sulla t-shirt che celebra i dieci anni di Nostrano, che cadono proprio quest’estate. Dieci anni festeggiati con una festa insieme ad amici, ex colleghi, giornalisti; dieci anni festeggiati soprattutto insieme ai clienti, che per tutta l’estate possono degustare un menu speciale, una sorta di Greatest Hits dei piatti che hanno segnato la storia dei primi dieci anni del ristorante.


Qualcuno si ricorda i fatti salienti dell’estate 2015? Io, personalmente, no: dieci anni sono probabilmente un orizzonte troppo prossimo per generare nostalgia, e sufficientemente lontano da permettere una visione più disincantata delle cose.


Dieci anni sono di certo un bel traguardo per un’avventura imprenditoriale, soprattutto in un settore che sembra fare più notizia per le rare chiusure che per le innumerevoli belle storie da raccontare. E allora ci sembra giusto, anzi quasi doveroso, che per una volta a parlare non siano i piatti ma l’imprenditore e chef che una storia così l’ha immaginata e la scrive da dieci anni. Da qui in poi, il racconto della nostra chiacchierata.
Stefano, tanti auguri, anzi tanti auguri a Nostrano. Qual è il tuo primo pensiero se provi a ritornare con la mente al 2015?
Io e Giorgia (Stocchi, al fianco di Ciotti nella gestione del ristorante e nella vita, ndr), da soli: così è nato Nostrano. E dieci anni dopo siamo ancora qui.

Avevate dubbi?
Quando ci si mette in gioco in prima persona è necessario essere ottimisti, ma i dubbi fanno parte del percorso. Tutto in fondo è iniziato con un incidente, in senso letterale. Con il denaro che ci spettava dall’assicurazione, siamo andati in banca e abbiamo detto “questi sono, cosa potete aiutarci a fare?” Scegliemmo fin da subito di investire tutto nel ristorante. Così nacque Nostrano e con lui sogni e sfide.

Fino al 2015 qual era stato il tuo percorso?
Il percorso di uno chef che aveva lavorato in realtà che ha sempre trattato come fossero sue. Quando le ho lasciate è stato un dispiacere profondo, sia per me che per loro, ma era la cosa giusta da fare. Il desiderio di creare qualcosa di personale, in cui potermi esprimere davvero, era più forte.
L’idea di Nostrano fu fin da subito quella che vediamo oggi?
In realtà, no. Io, Giorgia e Thomas Morazzini, all’epoca mio sous chef a Urbino dei Laghi, eravamo partiti con l'idea di aprire un caffè letterario elegante, che lavorasse dalla mattina fino a sera. Un’attività che a nostro avviso a Pesaro mancava, e che poteva starci bene in una realtà così legata alla cultura. Poi la scelta è caduta su un ristorante. Ci è andata bene.

E le ambizioni? Nostrano aprì nel cuore dell’estate 2015 e già nel 2017 arrivò la stella Michelin.
Quelle, probabilmente, c’erano già. Ho sempre voluto che il mio lavoro fosse contraddistinto dalla massima trasparenza con il mondo della stampa e delle guide. Quando lasciai la cucina di Vicolo Santa Lucia, ristorante dell’Hotel Carducci 76 di Cattolica, ho ritenuto necessario informare le guide della mia uscita, così da permettere l’aggiornamento del cambio chef al momento della sua pubblicazione. Non comunicai invece il mio arrivo nelle cucina di Urbino dei Laghi, perché lì avrei proposto una cucina più trasversale e popolare. Ecco, non appena la decisione di aprire Nostrano fu presa informai le guide.


Come mai la scelta cadde su Pesaro?
Si rivelò essere la città migliore per il progetto imprenditoriale e per le ragioni del cuore. La prima, e più importante: non volevo vivere e lavorare a più di 30 km dalla mia prima figlia. Certo avrei potuto aprire a Misano, o a Riccione, ma Giorgia è di Urbania, io dopo tre anni a Tenuta Santi Giacomo e Filippo di Urbino conoscevo moltissime persone di Pesaro. Quando capimmo che avremmo potuto chiudere con la sede di un ex ristorante storico, praticamente di fronte alla Palla di Pomodoro e al mare, abbiamo firmato e in 10 giorni l’avventura è partita.

Ti ricordi il primo cliente?
Il primo cliente di Nostrano non lo dimenticherò mai. Un signore molto pittoresco, entrato per caso, ordinò un gazpacho ai lamponi e una birretta. Tornò ogni anno, finché un giorno scoprimmo che non c’era più. La notizia ci rattristò molto. Quel cliente, sconosciuto e silenzioso, è stato il primo a darci fiducia. E gli sarò sempre grato.
Com’era quel Nostrano? A memoria, direi uno dei primi locali di quel livello senza tovagliato, con una mise en place semplice…
All’inizio era tutto molto essenziale, ma molto personale e riconoscibile. Pochi coperti, sedie disegnate da Marco Morosini di Brandina, un arredamento che sembrava più adatto ad uno stabilimento balneare figo che ad un ristorante fine dining. Ma ci rappresentava perfettamente. Era nostro. E in fondo lo avevamo pensato a voluto così perché fin da subito volevamo che gli ospiti si sentissero a loro agio, ben accolti. Volevamo avvicinare le persone alla nostra proposta, non metterci su un piedistallo.

Missione compiuta, se nel 2017 la Guida Michelin vi assegnò la stella.
Non ci credevo. Ma ricordo bene quando l’ispettore ci fece visita. Ero a Urbino dei Laghi, dove ancora lavoravo come consulente, in occasione di un importante evento. Giorgia mi chiama e mi dice: ‘Stefano, stai calmo. È venuta la Michelin’. Io non c’ero. C’era Giacomo Micucci, allora mio secondo, oggi con due stelle a Dubai da Bulgari. Con quella visita ci fecero capire che avevamo i numeri, le persone e le carte per partire con il piede giusto. La nostra convinzione di poter scrivere una bella storia, e scriverla a modo nostro, divenne ancora più forte. Siamo sempre stati noi stessi, fin da subito.

Com’è cambiata la tua cucina in questi dieci anni?
Siamo sempre stati noi stessi, ma ovviamente la mia cucina è cambiata. Nostrano è stata per me e Giorgia la prima avventura imprenditoriale, in cui rischiavamo in proprio. All’inizio, quando hai paura, fai piatti ‘popolari’, come la focaccia rossiniana con prosciutto cotto fatto in casa, la giardiniera sopra, l'insalatina e una maionese alla senape. Poi cresci. Prendi coraggio, sicurezza e ti lasci andare. La matrice resta quella romagnola dell’entroterra, anzi del romagnolo dell’entroterra che si concede una gita al mare. La mia vuole essere una cucina che prima della voglia di stupire mette sempre il piacere per il palato dell’ospite. E poi un mio tratto personale: c’è malinconia nei miei piatti. C’è tenerezza, romanticismo e nostalgia, i miei piatti raccontano i sapori della mia infanzia. Io non voglio stupire, voglio far sentire qualcosa.

Rispetto al passato probabilmente la tua cucina è più il risultato di un lavoro di squadra.
Certamente. Nel tempo è sempre stato fondamentale il contributo di chi ha lavorato con me. Oggi è fondamentale quello del team di cucina, a partire dal sous chef Fabio Pellizzaro, e quello del team di sala, capitanato da Ion Chelici, restaurant manager che è letteralmente cresciuto insieme a me. Diciamo che oggi il mio lavoro è soprattutto quello di dare la direzione: il team mette l’energia. Questo non è il ristorante di un uomo solo. È un gruppo, un team, e in questo credo di cavarmela molto bene, nel senso che riesco a comunicare con i ragazzi, a coinvolgerli e a trasmettere loro quella che è la mia idea di cucina.

Forse il tema del doppio ruolo, ovvero quello di chef e di imprenditore merita una particolare riflessione, in particolar modo oggi.
Nostrano è un’azienda, non è solo un ristorante. E in quanto azienda va gestita come tale. Lo dico sempre agli studenti di Alma: non aprite mai un locale da soli. Nonostante la scuola fornisca strumenti, know-how e conoscenze fare il cuoco è un mestiere diverso da aprire un ristorante. Serve qualcuno che sappia fare l’amministrazione. Se non hai controllo, ti sfugge tutto. Devi avere business plan A, B e C.

Forse è il segreto anche per riuscire a superare le crisi senza troppi rischi.
Non è il fine dining a essere in crisi, è l’economia, in particolare a soffrire sono i settori del lusso. I ristoranti soffrono perché la gente ha meno disponibilità economiche e meno soldi da spendere. Ma chi ha seminato bene e ha costruito relazioni vere, lavora. Noi siamo qui da dieci anni anche per questo. La pazienza è una dote fondamentale per chi vuole fare impresa. La pazienza aiuta a darti credibilità e reputazione. Se hai queste caratteristiche le persone vengono a mangiare da te, ti danno credito, ti supportano. La reputazione è tutto, quindi è inutile correre da un posto all'altro e scappare, ci vogliono pazienza e tempo per creare i rapporti. Non c’è niente che conti come la reputazione sul lavoro.

Come sarà Nostrano nel 2035?
Nel 2035 scade il contratto di affitto. Quindi sì, ci sarò ancora, sarò ancora in cucina. Il mutuo finisce l’anno prossimo. Ma sto lavorando anche a qualcosa in America, a Nashville, con una società importante. Forse tra dieci anni farò consulenza, magari da qui. Perché quello che conta, alla fine, è ed è sempre stato lo stesso: stare vicini alla famiglia, lavorare all’interno di un progetto che ti rappresenti, con i conti in ordine e gli ospiti felici.

Ultimo passaggio, doveroso. Chi vuoi ringraziare per questi 10 anni?
Il primo grazie va alla persona senza la quale Nostrano non esisterebbe: Giorgia Stocchi. Se non ci fosse stata lei, io non avrei mai aperto. Sarei rimasto dipendente, magari anche ben pagato, ma avrei continuato così. Lei ha creduto in me. Ha messo ordine, ha tenuto le redini quando io avevo paura. Io mi occupo di seguire quotidianamente il ristorante, sono qui con il team, faccio lo chef executive, gestisco il personale, ma lei gestisce tutta la parte amministrativa, burocratica, contabile. È lei che fa girare tutto come si deve. Sa quello che fa e senza di lei Nostrano non sarebbe mai nato. È una fortuna enorme condividere la vita professionale e privata con una persona come lei. Il secondo grazie è altrettanto doveroso: va ai clienti. Ce ne sono alcuni che mi seguono da quando avevo 28 anni e non mi hanno mai abbandonato. Hanno tutta la nostra gratitudine.
