Una giornata al mare con Stefano Ciotti: la cucina del ristorante Nostrano di Pesaro tra identità, memoria, ironia e consapevolezza.
Crediti Fotografici: @Marco Poderi Studio
La prima versione incisa di “Una giornata al mare” fu quella dell’Equipe 84 nel 1971. Versione che, semplicemente, non funzionò. Forse il tono troppo dolente, o l’arrangiamento incerto. Per farne un successo sarebbe servita l’interpretazione di uno dei due autori del pezzo, ovvero Paolo Conte, che la scrisse con il fratello. Gli ingredienti principali della sua versione? Ironia, urgenza, disincanto, trascinati da un tango che corre in discesa verso il mare.
All’uscita del ristorante Nostrano di Pesaro, affacciato sul mare Adriatico e accanto alla Sfera Grande di Arnaldo Pomodoro, in una delle posizioni più memorabili della città, ci piace pensare che non sia una coincidenza che Stefano Ciotti, chef patron del ristorante, abbia chiamato il suo menu degustazione proprio “Una giornata al mare”.Paolo Conte descrisse la canzone come “la storia di un ragazzo ligure dell’entroterra che si mette in testa di andare a conoscere un altro mondo, quello del mare” e in questo ci vengono in mente tratti in comune con il percorso professionale dello chef.
STEFANO CIOTTI
Ciotti nasce a Rimini e cresce a Montefiore Conca, borgo dell’entroterra con il sedere nelle Marche le mani in Romagna e gli occhi verso il mare. Impara il mestiere alla corte dei numi tutelari della cucina locale Gino Angelini e Vincenzo Cammerucci, poi è alla Taverna Righi con Luigi Sartini. Passa dalle cucine del Don Alfonso di Sant’Agata sui due Golfi e dell’Armani Cafè di Parigi finché ritorna in Romagna al ristorante Diana di Riccione. Diventa executive chef nel 2004, al Vicolo Santa Lucia dell’Hotel Carducci 76 di Cattolica, dove nel 2010 ottiene una stella Michelin. Nel 2012 dirige l’area ristorazione del resort Tenuta Santi Giacomo e Filippo, vicino ad Urbino, e nel 2013 si vede assegnare i Tre Spicchi della guida del Gambero Rosso dedicata alla pizza.
Dal 2015 la sua Itaca è Pesaro dove apre Nostrano insieme alla compagna Giorgia Stocchi, e dove conquistano una stella Michelin nel 2017. Nostrano, che tra i primi inaugurò una via personale al fine dining, più informale nell’approccio e negli ambienti, grazie a una cucina diretta e colorata, ad un servizio confidenziale e a felici innesti di artigianato locale e pezzi pop in sala, nel 2022 ha vissuto un imponente restyling negli arredi, portandolo ad un livello di eleganza superiore senza perdere una stilla di calore.
Varcare la soglia di Nostrano oggi offre la sensazione di entrare in un momento particolarmente felice della casa: certo la luce, che è sempre stata uno dei punti di forza dell’atmosfera; sicuramente l’onda lunga dell’estate, che nella riviera adriatica d’agosto smuove l’aria. Ma lo sguardo dello chef, la stretta di mano del bravissimo maître Ion Chelici e il sorriso di Stefany Piga, chef de rang, anticipano che probabilmente c’è qualcosa di più.
L’ambiente è come ricordavamo: il restyling ha migliorato il livello delle sedute, ora elegantemente sontuose; reso più preziosi e ampi i tavoli; innalzato ulteriormente la luminosità grazie ad un maggior utilizzo del vetro e delle cromature. Nella versione estiva poi, lo spazio aumenta grazie alla possibilità di cenare in una veranda all’aperto, per un’esperienza quasi immersiva nella passeggiata del lungomare di Pesaro.
LA DEGUSTAZIONE
Il menu degustazione, come anticipato, dallo scorso anno si chiama “Una giornata al mare” e si rivela una felice sintesi del passato e del presente dello chef, condita da una giusta dose di ironia, fin dai nomi dei piatti. L’inizio è insieme programmatico e dirompente: “Il pomodoro al gratin nel XXI secolo”. Nientemeno che un pomodoro gratinato come lo facevano le nonne, impreziosito con granita di aglio orsino. Dubito esista una persona nata nel raggio di 200 km da qui che non abbia ben chiaro nella memoria il sapore del pomodoro gratinato, cucinato con robusto contributo di panatura e odori. Qui, nel contrasto caldo freddo, nell’ingentilimento deciso dell’aglio, nel placido conforto aromatico dell’olio, la sua versione fine dining. Il sentimento della nostalgia lascia velocemente il campo al sorriso. Si prosegue con “Cucciolone e DiMare Spritz”: un simil Cucciolone, ispirato all’originale, arricchito con gelato di verdicchio passito e foie gras affumicato.
“DiMare” è un bitter all’acqua di mare della casa, con cui fanno lo spritz. Se le vostre estati da bambini non sanno di Cucciolone e quelle dei 20 anni non sanno di spritz ci dispiace per voi. Ciotti miscela nostalgia, ironia e omaggio alla regione che lo ha accolto. Si continua con il servizio di un pane impastato con le patate, come da antica tradizione marchigiana e poi burro “pizza”: mozzarella di bufala, origano, pomodoro e olio, perché al mare a metà mattina la merenda con pizzetta rossa è religione. Senza soluzione di continuità gli omaggi alle Marche tornano ad essere un omaggio alla Romagna con il piatto “Alici, piadina, rucola e cipolla”.
Una piadina cotta al vapore, con alici marinate fresche, brodo di cipolle, maionese di rucola alla brace. È sottile e navigato l’equilibrio con cui ci si muove tra materie prime conosciute e sapori decisi e il desiderio (avverato) di elevarle grazie a tecnica e visione da alta cucina. “Ostrica, tzatziki, cetrioli” è il passaggio successivo, sferzante sapidità, acidità e freschezza.
Per molte persone la Romagna è sinonimo di pesce azzurro alla brace e allora lo chef scala una marcia (anche il motociclismo qui è religione) e serve uno “Sgombro alla brace, teriyaki di mela, rape e scalogno”. Pesce cotto sulla brace, servito allo spiedo, con teriyaki di mela e nel piatto rape rosse leggermente piccanti e spuma di scalogno. Festa grande al palato, opulenza local con tocco etnico a sgrassare. È nel piatto a seguire però che probabilmente la sorpresa raggiunge il massimo livello: “Bandiera di verdura, sedano ghiacciato, quinoa”.
Ingredienti vegetali, stagionali, alla fine semplici (nessuno ce ne voglia). Saranno pure semplici ma questo stracotto al forno di peperoni, cipolla, pomodori, poi servito freddo, con anguria cotta nel forno e reidratata nell’acqua di mare, arricchito di granita di vinaigrette di sedano e levistico e adagiato su un letto di quinoa, garantisce un ergastolo nel girone dei golosi. Per chi si ponesse la domanda, la bandiera di verdure è sì nota come ricetta umbra, ma si trova spesso anche nelle Marche e in Romagna. D’altronde alle nonne interessavano i nipoti felici, mica i confini precisi. Il ritmo del servizio è alto, allegro, da queste parti direbbero ballabile, e il merito va alla squadra di Chelici, che non lesina mai una battuta o un sorriso ma al contempo non perde nemmeno un dettaglio di quello che succede intorno. La degustazione continua con una pasta fresca, “Bottoni di triglia, foie gras, pepe verde”.
Si richiede al commensale di giocare con un grano di pepe verde in salamoia in bocca, che offrirà il corredo aromatico al palato per tutto il piatto. I bottoni sono ripieni di triglia e foie gras liquido, poi serviti con guazzetto di triglia e crostacei. A concludere paccasassi in salamoia e a crudo. Viene meno, rispetto all’inizio, l’elemento di stimolo dei sapori della memoria, rimane un gran bel piatto, elegante e delicato. Nuovo passaggio, nuovo gancio al mento: “Maccheroncini di Campofilone in potacchio, cedro e alghe”. Maccheroncini cotti a secco, all’assassina, o appunto “in potacchio”, in un’acqua di pomodoro arrosto, serviti con alghe, pomodoro confit e capperi. È un piatto freddo, sopra viene grattugiato cedro ghiacciato come fosse parmigiano. L’estetica è punk, la sostanza sinfonica. Buona l’idea, buonissimo il risultato.
L’unico secondo piatto del percorso è una “Quaglia alla brace, ciliegie, cardamomo, salicornia”. Una quaglia cotta intera alla brace, servita con glassa di ciliegie e cardamomo, più coscia servita al naturale. Forse il piatto meno sorprendente e personale della degustazione (e ci sta), comunque un piatto esatto grazie ad una materia prima eccellente cotta a puntino. Ci sarebbe di che essere soddisfatti, ma una giornata al mare non può dirsi conclusa senza una “Birretta”. Si tratta nientemeno che uno shot di vino di pesche e sciroppo al basilico, servito in un micro secchiello e una micro bottiglia da birra. Rinfrescante e divertente.
E il dessert? Cosa può reggere il confronto con un Cucciolone salato con cui abbiamo cominciato? Il “Croccantino” di Nostrano è una spuma ghiacciata di yogurt Cau&Spada, gel di vino di visciole e amarene di Cantiano alla base. Segue il caffè la ben nota (e fotografatissima) piccola pasticceria servita su un piccolo palcoscenico illuminato e ispirata alle opere di Gioachino Rossini. È argomento abbastanza comune, tra gli appassionati, di come spesso accada che la narrazione sui piatti superi i piatti stessi, o di come spesso alcuni piatti o percorsi siano carenti di coerenza e rilevanza nel rappresentare la visione di uno chef.
Per questo quando ci si trova di fronte ad un equilibrio stabile di questi elementi è un piacere sottolinearlo. È il caso della cucina di Stefano Ciotti e di Fabio Pellizzaro, il sous chef di Nostrano. È una cucina consapevole e risolta, lucida e precisa. Soprattutto, perfettamente tesa e a suo agio nel tempo presente che sta vivendo. Si percepisce bene il desiderio di far godere il palato dell’ospite, stimolando la memoria e osando con sapori netti e decisi. Si avverte la sensazione di omaggiare la propria storia, che il passato dovrebbe sempre essere un trampolino verso il futuro. Si sente la voglia di prendersi anche un po’ in giro, giocando con l’ironia, che in fondo il fine ultimo di questo mestiere è quello di regalare due ore di felicità alla gente.
E «di fronte al mare, la felicità è un’idea semplice», come ha scritto Jean-Claude Izzo e come ci ricorda Ciotti, firmando un disegno che gli ospiti possono colorare a piacere prima di lasciare il ristorante, come si faceva da bambini.
Contatti
Ristorante Nostrano
Piazzale della Libertà, 7 - 61121 Pesaro
https://www.nostranoristorante.it/it
Sabato, domenica e lunedì pranzo e cena.
Mercoledì, giovedì e venerdì cena.
Martedì giorno di chiusura.