Il clangore metallico delle pentole, il profumo del burro che sfrigola, le mani che impiattano con precisione chirurgica. Dall’esterno, la cucina di un ristorante stellato appare come un tempio dell’eccellenza. Ma basta spostare lo sguardo dietro le quinte per scoprire un mondo dove il fuoco dei fornelli brucia anche le persone. Nel suo libro Violences en cuisine, une omerta à la française, la giornalista Nora Bouazzouni squarcia il velo sul lato più oscuro della gastronomia francese: un ambiente dove la violenza non è un incidente, ma un ingrediente strutturale.
Foto di copertina: Nora Bouazzouni, crediti Chloe Vollmer-Lo
Una catena di abusi invisibili
Tra il 2020 e il 2024, Bouazzouni ha raccolto oltre cinquanta testimonianze anonime: storie di cuochi e cuoche insultati, colpiti, molestati. In cucina, racconta, l’aggressione può assumere la forma di un piatto lanciato in faccia, di un bruciore sulla pelle per “insegnare a non rispondere”, o di una mano dove non dovrebbe esserci. Alcune vittime parlano di stupri avvenuti nei locali del ristorante, seguiti dall’obbligo di tornare al lavoro il giorno dopo, sorridendo ai clienti come se nulla fosse. Nessuno, fra i presunti autori, è stato processato. Quasi tutti sono ancora dietro ai fornelli.

Silenzio forzato
Perché nessuno parla? Per paura. Perché non esistono uffici del personale a cui rivolgersi. Perché il carnefice è spesso lo chef, o il suo migliore amico. In un mondo dominato dagli uomini, le donne subiscono una doppia condanna: meno promozioni, più molestie. E il sessismo non è l’unico veleno. Si aggiungono razzismo, omofobia, discriminazioni verso chiunque sia percepito come “diverso”. Un cuoco musulmano ricorda di essere stato obbligato a mangiare carne di maiale; un adolescente omosessuale, insultato ogni giorno con allusioni sessuali esplicite.

Violenza come formazione
Molti apprendisti scoprono questa realtà già nei primi passi. A 15 anni, c’è chi viene aggredito sessualmente da un collega adulto; a 16, c’è chi subisce molestie settimanali. Persino ex chef ammettono di aver maltrattato giovani sottoposti, segno di una catena di violenza che si tramanda come una regola non scritta.
Il lavoro che consuma
La violenza non è solo fisica o verbale: è anche il ritmo stesso della cucina. Dodici o quindici ore al giorno, stipendi che non riflettono neppure la metà delle ore lavorate, corpi spinti oltre il limite. Un cuoco racconta di aver lavorato sei ore con un dito tranciato, un’altra di essersi addormentata al volante per la stanchezza, finendo in un fossato. Negarsi l’acqua o la pausa bagno diventa parte della “disciplina”.

Un mito da abbattere
Per molti chef, la durezza è un passaggio obbligato per diventare “grandi”. Come nello sport di alto livello, si crede che il talento nasca solo dalla sofferenza, e che ogni sacrificio sia giustificato. Ma Bouazzouni mette in discussione questa narrativa: finché la violenza sarà considerata un prezzo legittimo per l’eccellenza, l’omertà continuerà a proteggere chi abusa del proprio potere.