Attualità enogastronomica

Monaco di Baviera: cameriere licenziato ingiustamente ottiene 100.000€ di risarcimento

di:
Elisa Erriu
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Un giovane studente di giurisprudenza, licenziato dal suo impiego part-time in un ristorante di Monaco per aver tentato di creare un consiglio dei lavoratori, ottiene ragione in tribunale: la corte riconosce discriminazioni, violazioni e il diritto a un maxi risarcimento.

*Foto di copertina a scopo puramente rappresentativo

La notizia

Il mondo della ristorazione non è solo profumi, mestoli e brindisi. Talvolta è anche una partita di scacchi legale, in cui una birra versata male può diventare il simbolo di un abuso. È ciò che è accaduto a Monaco di Baviera, dove un giovane studente di giurisprudenza si è trovato al centro di una battaglia legale che sembra uscita da un romanzo: licenziato in tronco dal suo impiego part-time come cameriere, semplicemente perché aveva osato muovere i primi passi per costituire un consiglio dei lavoratori, come riportato dalla rivista tedesca LTO. La sua reazione? Una causa che ha scosso le basi stesse del diritto del lavoro tedesco.

Il giudizio del Landesarbeitsgericht (LAG) di Monaco ha ribaltato la sentenza di primo grado, dando ragione allo studente e sancendo che il datore di lavoro è responsabile non solo per i mancati guadagni ma anche per la mancata fruizione di benefici come cibo e bevande gratuite, fino alle mance perse. L’ammontare? 100.000 euro. Non si tratta soltanto di una cifra: è la riconferma del principio secondo cui nessuno può punire chi lotta per i diritti dei lavoratori, anche se quel lavoratore è giovane e occupato part-time.

Il percorso giudiziario è stato tutt’altro che lineare. Dopo la licenza immediata, lo studente era stato invitato a tornare sul lavoro, non più nel servizio ma in cucina. Il suo rifiuto è stato immediatamente trasformato in pretesto per una nuova cessazione del rapporto: una classica tattica di pressione mascherata da legittimità. Non solo, il datore aveva motivato la decisione con argomenti singolari: lo studente era giovane, senza figli e occupato solo a tempo parziale, insinuando che queste caratteristiche riducessero la rilevanza del danno subito. La corte, invece, ha definito tali giustificazioni indirettamente discriminatorie: una violazione della legge sulla parità di trattamento che richiede scuse formali scritte.

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Ma la storia non finisce qui. Il giovane giurista non si è limitato a rivendicare il semplice stipendio: tra le sue richieste c’erano anche il recupero delle mance perse, il rimborso dei costi per il lavaggio delle divise di lavoro, e addirittura l’inserimento nella chat di gruppo del ristorante su WhatsApp, come simbolo di una reintegrazione morale e sociale. La sentenza del LAG ha accolto tutte queste rivendicazioni, riconoscendo la violazione dei diritti e la necessità di un risarcimento esteso, comprensivo anche di ferie arretrate: sei mesi retribuiti per anni di mancata informazione e mancata fruizione, con giorni distribuiti in maniera flessibile.

Dal punto di vista giuridico, il caso segna un precedente interessante. La responsabilità del datore di lavoro – e persino del suo amministratore – è stata stabilita come personale e diretta: nonostante la protezione legale di una GmbH, l’illecito volontario rompe il velo societario, imponendo un risarcimento anche sul patrimonio privato. Un monito, in un settore dove spesso la cultura del sacrificio dei lavoratori è data per scontata, che persino il piccolo cameriere può far valere i propri diritti.

Ma al di là delle cifre e delle formule legali, quello che colpisce è la dimensione etica e umana della vicenda. Il giovane studente non ha chiesto solo soldi: ha reclamato rispetto, riconoscimento e giustizia per un gesto, l’idea di creare un consiglio dei lavoratori, che avrebbe dovuto essere accolto con apertura, non punito con licenziamenti ingiusti. La sentenza riconosce il valore del gesto, sancendo che il diritto al lavoro dignitoso non si misura in ore o posizioni gerarchiche, ma nel rispetto dei principi fondamentali di equità e dignità.

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In un mondo in cui la ristorazione è spesso celebrata per glamour e creatività, ma raramente per giustizia interna, questa vicenda fa riflettere. La birra che scorreva tra tavoli di Oktoberfest diventa simbolo di una battaglia più ampia, dove il rispetto dei diritti non è optional, e dove anche i più giovani possono diventare protagonisti di cambiamento. La vittoria legale di uno studente di 24 anni dimostra che in cucina, così come nella vita, non basta versare ingredienti di qualità: bisogna anche saper mescolare etica, coraggio e consapevolezza dei propri diritti.

E forse, tra un boccale di birra e uno schnitzel, la lezione più grande è che la giustizia, come un buon servizio, richiede tempo, attenzione e una buona dose di passione.

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