Una cena alla Pergola in cima all’hotel Cavalieri Rome resta, dopo oltre trent’anni, la migliore cosa possa capitare nella capitale a livello gastronomico. Lo chef bavarese è sempre più focalizzato su una cucina che aiuti a combattere l’invecchiamento, ma il senso del sapore resta intatto.
Roma è ai suoi piedi da più di trent’anni, trascorsi a guardare la Città Eterna scorrere, apparentemente placida, ma da quassù l’illusione regge, dall’alto della collina di Monte Mario. Heinz Beck l’immortale è il caso di studio di sé stesso - lui che con la sua cucina da anni si è messo in testa di rallentare l’invecchiamento e i suoi titoli accademici, a cui lui tiene maledettamente, sono affare molto serio -, esempio di longevità alla cloche di una grande cucina non troppo usuale nel nostro Paese per uno chef non patròn.
Lo chef e il ristorante

Heinz Beck da Friedrichshafen, “er bavarese de Roma”, ha trascorso alla guida della Pergola dell’hotel Rome Cavalieri Waldorf Astoria metà della sua vita, 31 anni dei 62 che compirà a novembre, eppure parla ancora un italiano così così, diciamo non da tre stelle, anche se ogni tanto dice cose come “quei figli di mignotta” (testuale) riferendosi ai suoi ragazzi, ma si sente che è un giochino da secchione che vuol sembrare punk. Arrivò a Roma nel 1994 dopo aver girato mezza Europa e mise le tende in cima a Monte Mario, in cima al più bell’albergo di Roma dal di dentro e del più brutto dal di fuori.

Io lo ricordo nel 2001, con una stella o forse due, quando per non so più quale ragione mi venne a trovare nella redazione imbandierata di giallorosso, la Roma aveva appena vinto lo scudetto, e lui si disse ammiratore di Francesco Totti, ma forse un po’ fingeva per farmi contento, per farci contenti. In ogni caso qualche anno dopo, nel 2005, alla Pergola riuscì anche lui a vincere il suo scudetto, dando a Roma le tre stelle Michelin, roba impensabile considerando qual era il livello dell’alta cucina nella capitale in qualsiasi momento degli anni Novanta e dei primi Duemila. E la città gli è andata dietro, pur tenendosi a rispettosa distanza, e ora la sua scena gastronomica è tra le più frizzanti d’Italia, e Anthony Genovese, da anni il suo scudiero con le sue due stelle ventennali, e Domenico Stile, Daniele Lippi, Andrea Antonini, i “giovani turchi” della cucina capitolina, riconoscono in lui se non un maestro certo un esempio.

La cucina di Beck è sempre stata classicheggiante e iper-tecnica ma non ha mai smesso di crescere, inseguendo i cambiamenti dello stesso Heinz e del mondo circostante. Ogni anno nascono decine di piatti nuovi (“ma un paio di storici li dobbiamo tenere”, dice lui, e tra questi ci sono sempre i Fagottelli La Pergola, un goloso omaggio alla romanità da cartolina) che negli anni si sono spostati progressivamente su un uso della tecnologia che non è mai intimidatorio o gestuale, ma volto a mettere a frutto gli studi che Heinz conduce in collaborazione con staff medici e universitari per una cucina-medicina. Siamo quello che mangiamo, o no? La cucina della Pergola in alcuni punti assomiglia a un laboratorio medico, c’è anche una vasca a ultrasuoni che purifica e naturalizza alcuni ingredienti prima della lavorazione in cucina. L’ossessione di Beck è soprattutto la lotta allo stress ossidativo. “Noi tutti – mi spiega, chiaramente sopravvalutandomi – soffriamo di infiammazione cronica dei tessuti, un fattore che incide per l’80 per cento delle cellule oncologiche. Noi proviamo a tenere bassa questa infiammazione con il cibo, siamo dei pionieri in questo, non c’erano lavori sulla materia, non c’erano nemmeno valori di riferimento…”.

Ma il cibo, alla Pergola, è tutt’altro che ospedaliero. Il miracolo di dottor Beck è che c’è un mister Heinz che mi ripropone a ogni visita una cucina scintillante, opulenta, sana, d’accordo (me ne accorgerò con piacere il giorno dopo) ma avvincente, gonfia di una mediterraneità sorprendente per uno che arriva pur sempre dal lago di Costanza. Il suo ultimo menu degustazione, la seconda “release” dalla riapertura avvenuta poco più di un anno fa dopo molti mesi di un restauro curato dallo studio parigino Jouin-Manku che ha rielettrizzato il locale pur nel solco di una assoluta classicità, mi ha dimostrato che Beck è sempre Beck è merita di stare dove sta, in cima a Roma e in cima a ogni classifica.

I piatti
Lo stretching è affidato a un aperitivo che lo stesso Beck – quando può - prepara al tavolo, lavorando a un carrellino e spiegando quello che fa mentre lo fa: ecco un Calamaretto con tutte le interiora passato al barbecue per una trentina di secondi appena e accompagnato da un crumble di patate soffiate, olive disidratate, uvetta zibibbo idratata (“a noi piace idratare quello che è disidratato e disidratare quello che è idratato”, scherza lui) e un olio di cicoria la cui preparazione è un manifesto del metodo Beck: “Ripassiamo la cicoria con olio e aglio, poi togliamo l’aglio e la mettiamo in una busta sottovuoto, aggiungiamo l’olio di oliva extravergine non riscaldato, immergiamo nella vasca ad ultrasuoni, 25 minuti a 25 gradi, togliamo tutto, lo frulliamo e lo mettiamo in una centrifuga ad alta velocità, la stessa che all’università usiamo per il plasma del sangue, e dividiamo il liquido per peso specifico. L’olio, che è più leggero, va in superficie e porta con sé il gusto e tutti i micronutrienti, vitamine, polifenoli, antiossidanti”.

Dal carrellino magico arriva anche una Chips di patate aromatizzata con crema di avena e ketchup ai frutti rossi (“mi chiamo Heinz, potevo non fare il mio ketchup?”); un Salmerino marinato con erbe, spezie e caffè, una Ricotta realizzata non con caglio animale ma con acqua marina e miele di erbe officinali che arrivano dalle Marche, infornata nel josper con legno di carbone biologico che Beck si fa produrre da un artigiano abruzzese (“un carbone meraviglioso, aromatico, ma soprattutto senza prodotti chimici”) e, dopo una conservazione per tre giorni nella cera d’api, servita con erbe da agricoltura rigenerativa e aroma di bergamotto. Poi un’altra magia, una fragola passata al barbecue su un gel di sambuco nero. “Che cosa manca?”, mi chiede lui. “La panna!”, rispondo io. Ed eccola, la panna, chiarificata con aceto di fragola e privata delle proteine e del grasso. Resta un liquido che nulla ha della panna, se non il sapore floreale, reso più vibrante dalla punta di acido garantita dall’aceto di fragole. Infine il Diaframma di manzo cotto sul barbecue, servito su una polenta concia aromatizzata con melassa di prugne, realizzata in mondo non tradizionale per evitare la sopracaramellizzazione degli zuccheri che copre gli aromi.


Tutto questo è solo il prologo, anche se le idee si sono già ammonticchiate in un glorioso cumulo. La cena entra nel vivo con il primo antipasto, una Ricciola marinata con melanzana, un’emulsione di mandorla, una riduzione di peperoni e levistico, piatto di grande equilibrio, e con il secondo, un Gambero rosso di origine adriatica avvolto nel lemongrass, che ha la doppia funzione di conferire il sentore agrumato e di proteggere la superficie del gambero quando viene scottato, proposto con un battuto di fagiolini e taccole, gel al limone candito, chips croccante a base di vegetali e una salsa verde che è un estratto alla menta. Molto interessante il terzo antipasto, la Salanova, un tipo di lattuga che, dice Beck “ha una foglia molto dura e una resa molto bassa”. Per questo lo chef la marina con anice, finocchietto, erbe balsamiche e, dopo un passaggio nella vasca a ultrasuoni, la trasforma in una sorta di tronco di albero con tanto di Grifola frondosa, il fungo che nasce sulla corteccia quando l’ambiente è incontaminato. Un tocco resinoso finale è garantito da una grattata del frutto del cedro dell’Himalaya. Più rassicurante l’Astice che segue, un medaglione servito con crema di spinaci freschi, cetriolo, liquirizia e una farfalla creata con pane croccante e polvere di barbabietola.

E poi arriva in tavola uno dei piatti migliori della serata, un Risotto alla scapece con zafferano, carpaccio di scampo e zucchine. Segue una Triglia accompagnata con della ciliegia profumata alla verbena, scorzonera con crosta di cenere vegetale e una composta a base di rosa turca e ciliegia. Si entra nel vivo con l’Animella glassata con il suo fondo, tarallo di grano arso con un estratto agli ultrasuoni della parte grezza dei tenerumi e un’emulsione di olio al cipollotto, una ragguardevole interpretazione della più nobile delle interiora, che a Roma vanta una tradizione tutta sua. E infine l’Agnello sulla via Appia, un piatto narrativo, perché vuole riprodurre il percorso delle greggi sulla Regina Viarum: il lombo dell’ovino è accompagnato da una riproduzione del classico sampietrino, il mattoncino del pavé realizzato da una composizione di legumi (lenticchie, fagioli con l’occhio, cicerchia) che subiscono una germattivazione che li rende maggiormente biodisponibile per il nostro organismo. Il tutto su una purea di lenticchie e con un bouquet a base di erbette balsamiche a riprodurre l’erba spontanea che cresceva al bordo dell’Appia, e un fondo di agnello chiarificato.

Restano i dessert: si gioca in levare con una Spuma allo yogurt al dragoncello, e sorbetto e granita alle fragoline di bosco, e in battere con la Colazione all’italiana che con cioccolato bianco, nocciola croccante e gel al caffè mima un latte/caffè/biscotti mattutino. E sì, poi c’è il leggendario scrigno della Pergola, ogni cassettino cela gelatine, piccoli bigné, biscotti, praline. La cantina sontuosa conta 70mila bottiglie, scelte negli anni dal sommelier Marco Reitano, che con la sua empatia colorata da romanissima ironia, gioca un campionato a parte. Ma vale la pena scorrere anche la carta delle acque, certamente la più completa d’Italia con una cinquantina di referenze. Il maître, Simone Pinoli è liturgico. Lo staff è la forza della Pergola e Beck se lo tiene caro. “L’altro giorno ho preparato loro della sangria analcolica, era buonissima”. Guarda il giovane cameriere Davide e gli chiede, a bruciapelo: “Com’era?”. “Buona ma analcolica”, risponde lui. “La prossima volta ti darò un bicchiere di latte”. E stavolta a parlare è mister Heinz e non il dottor Beck.

Contatti
La Pergola del Cavalieri Rome, a Waldorf Astoria Hotel
via Alberto Cadlolo, 101 - Roma.
Tel. 0635092152.
Aperto solo a cena dal martedì al sabato.