“È giusto dire che gli esseri umani sono onnivori per natura, ma nella storia non sono mai stati erbivori. I surrogati di burger e bistecche? Se sei veramente vegetariano, non capisco perché dovresti mangiare cibi che assomigliano ai prodotti animali”.
Foto di copertina: @Dìaz Uriel
L'opinione
Viviamo in un’epoca in cui le scelte alimentari, più che da bisogni reali, sembrano essere dettate dalle mode. È in questo contesto che si alza – forte e chiara – la voce di un noto giornalista e critico gastronomico, che senza mezzi termini si definisce carnivoro convinto, alimentando il dibattito con un articolo sulla testata 7Canibales. E lo fa con una dichiarazione che, se da un lato può sembrare provocatoria, dall’altro invita a una riflessione più profonda sull’evoluzione culturale e biologica dell’uomo e sul ruolo della carne nella nostra dieta. “Mi dichiaro carnivoro. Lo faccio con il massimo rispetto per chi sceglie di essere vegano o vegetariano. Ma non posso accettare l’ipocrisia della finta carne”, dichiara senza mezzi termini Carlos Maribona.

È un messaggio chiaro, diretto, che prende le distanze dalle nuove tendenze alimentari che propongono hamburger vegetali, salsicce vegane, salmone di piselli e perfino “formaggi” e “uova” a base di legumi. Prodotti ultra-processati che non solo cercano di imitare l’aspetto e il sapore della carne, ma spesso vengono commercializzati con nomi che richiamano esplicitamente quelli della tradizione carnivora – salvo poi, in piccolo, specificare che si tratta di "proteine vegetali”.
Un paradosso alimentare?
Il punto non è giudicare le scelte individuali, ma smascherare un certo paradosso: se si rinuncia consapevolmente alla carne, perché desiderare di mangiare qualcosa che ne imita gusto, forma e consistenza? È una contraddizione che lascia perplessi, e che in molti faticano a comprendere. L’impressione, per alcuni, è quella di un “vorrei ma non posso”, un compromesso malcelato tra gusto e convinzione etica. Tanto più che, nota il giornalista, il desiderio di carne risponderebbe ad un preciso bisogno fisiologico dell'organismo: "L'evoluzione umana e lo sviluppo del cervello sono strettamente legati al consumo di carne, come dimostrano numerosi studi. È giusto dire che gli esseri umani sono onnivori, ma non sono mai stati erbivori".

Tornando ai surrogati, in un mercato sempre più affollato da prodotti “plant-based” la distinzione diventa quindi necessaria. A tal punto che l’Unione Europea è intervenuta recentemente per chiedere maggiore chiarezza nelle etichette: l’obiettivo è evitare che il consumatore venga tratto in inganno da nomi fuorvianti e da packaging ambigui. Iniziative come “Ogni cosa con il suo nome”, lanciata in Spagna dal settore carne e pesca, vanno nella stessa direzione.
Cibo, identità e ideologia
La riflessione però va oltre il lessico. Tocca la sfera dell’identità alimentare. Perché il cibo è cultura, storia, territorio. E, nel caso della carne, anche una traccia evolutiva dell’uomo. Il nostro stomaco – dicono gli esperti – è biologicamente strutturato per digerire carne, a differenza di quello di altri animali erbivori o primati.

Il vero problema, secondo il critico, non è dunque la scelta personale – sacrosanta – di eliminare la carne dalla propria dieta, ma l’imposizione ideologica che in alcuni casi accompagna questo tipo di scelte. Campagne come quella del “Lunedì senza carne” rischiano di diventare strumenti di pressione sociale più che strumenti di consapevolezza.
Un invito alla coerenza e alla trasparenza
Il messaggio finale è semplice, ma potente: ognuno è libero di mangiare ciò che preferisce, ma è giusto chiamare ogni cosa con il suo nome. Se si sceglie una dieta vegetale, perché rincorrere il surrogato della carne? Perché creare e promuovere prodotti che emulano, più o meno fedelmente, ciò che si è deciso di rifiutare? C’è spazio per tutti nella tavola del futuro: carnivori, onnivori, vegetariani e vegani. Ma è fondamentale preservare la chiarezza, l’onestà e la coerenza. Perché la libertà alimentare deve fondarsi prima di tutto su una corretta informazione. E su un rispetto reciproco che non si traduca mai in imposizione, ma in dialogo consapevole.