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Inghilterra, lo sfogo della ristoratrice: “Riempio i tavoli, ma guadagno zero. Chiudo tutto”

di:
Elisa Erriu
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copertina Stephanie Ronssin domaine 16

Domaine 16, il piccolo gioiello francese incastonato in Regent Street a Cheltenham, spegnerà le luci per l’ultima volta. Non per mancanza d’amore, né per assenza di clientela, ma perché l’aritmetica brutale dell’economia ha deciso che la passione da sola non paga più.

Foto nell'articolo di Domaine 16

La notizia

Nel silenzio tiepido di una sera qualunque, quando le luci basse accarezzano i bicchieri ancora umidi di vino e la musica di fondo si arrende al brusio delle ultime conversazioni, qualcosa finisce. Non con un grido, ma con la carezza amara della consapevolezza: anche i luoghi che hanno saputo parlare all’anima — di formaggi francesi, di rossi corposi, di cene lente e sincere — possono chiudere le loro porte. Non per mancanza d’amore, ma perché l’amore, da solo, non paga le bollette. Domaine 16, il piccolo gioiello francese incastonato in Regent Street a Cheltenham, spegnerà le luci per l’ultima volta. Non per assenza di clientela, ma perché l’aritmetica brutale dell’economia ha deciso che la passione da sola non paga più.

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Stephanie Ronssin, fondatrice e anima del locale, ha il tono fermo e lo sguardo lucido di chi ha lottato fino all’ultima bottiglia stappata. “A volte devi dire che è ora di andare, hai fatto tutto il possibile, ma poi la partita è finita”, confessa alla BBC con quella sincerità spoglia che sa di resa dignitosa, ma mai di sconfitta. Ha investito ogni risorsa – economica, emotiva, umana – nel suo ristorante. “Il motivo per cui ho chiuso è che non ho più soldi da investire”, aggiunge senza giri di parole. Perché anche i sogni, a un certo punto, devono fare i conti con le bollette. Aperto nel 2019, Domaine 16 aveva saputo resistere al terremoto della pandemia, mantenendosi saldo come una radice tra le crepe di un terreno fragile. Il suo nome evocava subito una promessa: un dominio su vino e formaggi, un regno di convivialità dove si poteva assaggiare la Francia più autentica, senza attraversare la Manica. E invece, dopo sei anni di battaglie silenziose e recensioni “incredibili”, il cerchio si è chiuso. “Negli ultimi due anni i margini si sono ridotti sempre di più. Il costo delle utenze è salito alle stelle, così come quello del cibo, quindi sostanzialmente guadagniamo abbastanza per essere a zero.”

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Un’equazione infernale, quella descritta da Ronssin, dove ogni voce in entrata viene annientata da costi fuori controllo e da una scelta etica: non far ricadere l’aumento sul cliente. Perché sì, si potrebbero alzare i prezzi. Ma significherebbe perdere il pubblico che ha creduto nel progetto. E così, si entra in quel circolo vizioso che divora energie e speranze. La sua storia, purtroppo, non è un caso isolato. A pochi metri di distanza, sulla stessa Regent Street, ha chiuso anche la caffetteria The Find. E mentre le serrande si abbassano, il coro di chi chiede sostegno alle attività indipendenti si fa sempre più accorato. Come quello di Pak-Wai Hung, gestore del 288 Bar and Wok, che racconta senza filtri i “tre mesi peggiori degli ultimi vent’anni”. Anche lui si ritrova a interrogarsi ogni giorno sul senso di restare, alimentando le testimonianze raccolte da BBC: “Paghi il padrone di casa, paghi l’IVA, paghi il personale e quello che resta te lo paghi tu. Stiamo arrivando al punto che guadagno meno del lavapiatti.”

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Non è solo una questione di soldi. È un logorio emotivo, una stanchezza che nasce dalla disillusione. “Lo scegliamo perché abbiamo una passione, ma dopo un po’ la passione svanisce e diventa un peso”, afferma Hung, mettendo a nudo la fragilità di un mestiere che sembra fatto per gli eroi: lunghi orari, pressione costante, e la consapevolezza che, alla fine del giorno, la paga non sempre basta nemmeno a pagare un affitto. Ma, come in ogni grande romanzo umano, non manca la scintilla di resistenza: “Ci proveremo. Dobbiamo fare cose nuove, dobbiamo innovare. Siamo parte della comunità.” E se la comunità sembra sempre più distante, o distratta, le parole dei ristoratori indipendenti sono un grido silenzioso ma potente. Si tratta di molto più che di pietanze e calici: si tratta di cultura, di identità, di una rete sociale che si costruisce attorno a un tavolo. Lo ha sottolineato anche il governo britannico, che ha dichiarato l’intenzione di sostenere l’ospitalità attraverso la riduzione delle aliquote e la semplificazione delle licenze. Ma per chi lavora a stretto contatto con i fornelli, le speranze vanno a braccetto con le scadenze, e le promesse politiche non sempre arrivano in tempo per salvare ciò che conta davvero.

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Nel frattempo, Domaine 16 entrerà nella memoria gastronomica di Cheltenham come un luogo che ha osato portare un pezzo di Francia in terra inglese, che ha servito vino e formaggio come gesti d’amore, che ha parlato la lingua della qualità anche quando il mondo gridava risparmio. Chiuderà il suo ultimo servizio con la fierezza di chi sa che ogni piatto preparato è stato un atto di bellezza. E con l’amaro in bocca che non viene dal vino, ma dall’incomprensione di un sistema che non sa più premiare il talento.

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