Casa Duque è un monumento vivente alla gastronomia castigliana, ma anche una creatura capace di rigenerarsi. Tutto, però tenendo ferma la proposta ghiotta del maialino arrosto.
La storia
Centotrenta anni, cinque generazioni e una storia che ha attraversato guerre, rivoluzioni culinarie e mille trasformazioni del gusto senza mai perdere il proprio baricentro. Se ci fosse un dizionario dei sapori castigliani, il nome “Duque” sarebbe tra le prime voci. E non per caso. Tutto ha inizio nel 1895 a Segovia, quando Dionisio Duque e sua moglie Feliciana aprono le porte del primo ristorante cittadino, trasformando il piano terra della loro abitazione in Calle de Cervantes in un luogo dove il profumo del maialino arrosto si mescolava all’odore della storia che si faceva fuori, tra guerre lontane e scoperte scientifiche. Lui in sala, lei tra i fornelli. Da allora, ogni passaggio generazionale ha saputo aggiungere una sfumatura nuova, senza mai stravolgere l’identità profonda del locale.


Casa Duque è un monumento vivente alla gastronomia castigliana, ma anche una creatura capace di rigenerarsi. Dopo Dionisio è arrivato Julián, e poi ancora il nipote omonimo, che negli anni '50 ha dato alla casa una visibilità internazionale, traghettandola nel mondo moderno. La quarta generazione ha un volto femminile, quello di Marisa Duque, che ha saputo trasformare il ristorante in una struttura ampia, distribuita oggi su tre edifici attigui e ben tredici sale da pranzo, senza mai perdere il calore originario. Ogni ambiente è una capsula del tempo: pavimenti di piastrelle idrauliche, soffitti a cassettoni, vetrate artistiche, legno scuro e foto in bianco e nero che raccontano non solo la storia della famiglia, ma quella di un intero territorio. C'è perfino una taverna, antica cantina oggi luogo di tapas e bicchieri di vino, e un seminterrato – un tempo discoteca – che ospita ora le Cuevas de Duque, versione più informale del locale, dove i piccoli bocconi raccontano grandi storie.

La carta dei piatti è un tuffo nel passato con lo sguardo ben piantato nel presente. Sotto la guida di Marisa, la proposta si è ampliata, affiancando alle ricette storiche anche piatti che parlano ai palati contemporanei. Ma attenzione: la tradizione non è mai stata un peso, semmai un trampolino. Gli antipasti – una ventina abbondante – sono una festa per chi ama la varietà: torreznos croccanti con più carne che grasso, crocchette di gamberi all’aglio nate durante una Comunione di famiglia e mai più uscite dal menù, o ancora un soufflé di code di gambero che ha bisogno di una parentesi tutta sua. Questo piatto iconico, pensato da Dionisio per celebrare la nascita della nipotina, è talmente riuscito da essere finito persino in televisione, grazie a "1, 2, 3... Responda otra vez". Una mousse gratinata che sa di mare e di memoria, una di quelle portate che si ricordano a distanza di anni. Poi ci sono i judiones de La Granja – fagioli grandi come castagne, teneri come confidenze al calore del camino – proposti in diverse versioni, il chorizo alla pentola, il sanguinaccio fritto e la zuppa castigliana con pane candeal, pietanze che odorano di inverno e racconti antichi. Ma il vero re della tavola è sempre lui: il cochinillo asado. Il maialino da latte viene cotto nel forno a legna con soli tre ingredienti: acqua, sale e tempo.

Un’ora e mezza di attesa che culmina in un rituale tanto teatrale quanto autentico: il cameriere porta in sala la pentola di terracotta, ne mostra il contenuto ancora fumante, e poi – con gesto sicuro – spezza il maialino usando il dorso di un piatto, che a sua volta viene lanciato a terra. Un gesto propiziatorio che profuma di superstizione e spettacolo, e che strappa sempre un’espressione di meraviglia a chi lo assiste per la prima volta. A fargli compagnia, l’agnello da latte – in quarti o in spalla – e la versione fritta del maialino, il cochifrito, a piccoli pezzi croccanti. Tutto rigorosamente cotto sulla legna, come da tradizione. Anche i piatti di pesce, sebbene d’impronta più anni ’80 – si pensi al baccalà alla biscaglina o alla coda di rospo in salsa americana – conservano una dignità e un gusto che resistono all’usura del tempo. Il testimone è già pronto a passare alla quinta generazione. Luis, 29 anni, figlio di Marisa, ha cominciato a portare un’aria nuova, idee fresche e una visione contemporanea, senza intaccare l’autenticità del luogo. L’equilibrio tra rispetto per la memoria e voglia di innovare sembra essere il vero segreto di Casa Duque, più che qualsiasi ingrediente segreto.

Per chi vuole vivere l’esperienza completa, c’è il menù “Lo más clásico de Segovia”: chorizo, sanguinaccio, judiones, cochinillo e ponche segoviano (un dolce stratificato di pan di Spagna, crema pasticcera e marzapane), tutto incluso a 48 euro. Una celebrazione di gusto e memoria ad un prezzo accessibile. E per festeggiare i 130 anni, durante tutto il 2025 Casa Duque ospita collaborazioni speciali con chef da tutta la Spagna, trasformando ogni evento in un omaggio collettivo alla ristorazione fatta con anima e tempo. Una festa lunga un anno, degna di una tavola che non ha mai smesso di raccontare. Perché se la cucina è anche una forma di eternità, Casa Duque è la prova vivente che per andare lontano bisogna restare fedeli a sé stessi.