Attualità enogastronomica

Alessandro Borghese: "Assurdo bandire i bambini dai locali. Vedo adulti molto più fastidiosi"

di:
Elisa Erriu
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“Capisco che in alcuni ristoranti si richieda l'abito elegante, ma non che i bambini siano ‘sgraditi’”, ha dichiarato il noto chef in un’intervista a La Cucina Italiana. “E poi, vi assicuro che mi sono capitati tanti adulti molto più fastidiosi dei bambini”.

La notizia

C’è un dibattito che torna ciclicamente a rimescolare le carte in tavola come una tovaglia sbattuta al vento: quello dei bambini nei ristoranti. E ogni volta, il copione è sorprendentemente simile. Un cartello affisso all’ingresso, un ristoratore esasperato, genitori accusati di scarsa attenzione e una pioggia di commenti incrociati tra chi invoca santuari child-free e chi difende a spada tratta il diritto dei piccoli a stare a tavola con gli adulti. L’ultima scintilla? Un locale di Bologna che ha “sconsigliato” l’ingresso ai più giovani per mancanza di spazi e di pazienza. Nulla che non si sia già letto o sentito, eppure tanto è bastato per scatenare i soliti duelli all’ultimo post tra commentatori agguerriti. In mezzo a tutto questo rumore di fondo, c’è chi però, invece di alzare barriere, ha scelto di apparecchiare il tavolo dell’inclusione. Uno su tutti? Alessandro Borghese, intervistato qui sul tema da Fabiana Salsi de La Cucina Italiana.

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Chef, imprenditore e papà di due bambine – Arizona e Alexandra – Borghese è uno di quei rari esempi in cui l’ospitalità non è un concetto astratto, ma un ingrediente quotidiano. I suoi ristoranti, “AB – Il lusso della semplicità”, a Milano e Venezia, sono pensati anche per accogliere famiglie con bambini. E non è un dettaglio accessorio: è una scelta consapevole, un progetto, un impegno. «I bambini vanno accolti e non servono grandi sforzi», racconta nell'intervista. «Quando mia moglie, il mio team e io abbiamo progettato i nostri ristoranti, lo abbiamo fatto pensando a un ambiente di alto livello ma adatto a tutti. Gli spazi sono organizzati per garantire esperienze diverse, c’è un menù pensato appositamente per i più piccoli, kit con colori e tovagliette su cui giocare con “Chef Boy”, la mia versione cartoon, e servizi igienici attrezzati con mini-water e fasciatoio. Basta poco, ma fa la differenza».

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La chiave, secondo Borghese, è la cura del dettaglio. Un’attenzione che non è solo estetica, ma funzionale: tutto serve a creare un’esperienza dove ogni cliente, di ogni età, si senta considerato. A partire dalla disposizione dei tavoli: «Se prenota una coppia per festeggiare l’anniversario, non la mettiamo accanto a un tavolo con bambini. Sono accortezze logistiche che rendono l’esperienza più gradevole per tutti». Eppure, la resistenza di molti colleghi ristoratori persiste. C’è chi dice che i bambini disturbano, chi teme che occupino posti “meno redditizi”, chi semplicemente non vuole gestire situazioni imprevedibili. Ma Borghese invita a un cambio di prospettiva: «I bambini sono clienti a tutti gli effetti. Se un genitore sa che può portare i figli in un posto dove si sente accolto, ci tornerà. E questo è un vantaggio anche economico. Un bambino felice rende felici anche i suoi genitori». Certo, non è tutta responsabilità dei ristoratori. Come spesso accade, il problema è culturale e collettivo. «Noi genitori dobbiamo fare la nostra parte. I bambini hanno bisogno di capire che ogni ambiente ha le sue regole, e siamo noi a doverle spiegare». Ma oltre all’educazione, c’è un altro ingrediente che sembra scarseggiare in certi ambienti: la tolleranza. «I bambini sono bambini. Il problema è che certi adulti dimenticano com’è stato esserlo. E vi assicuro che ho incontrato tanti adulti più fastidiosi dei piccoli clienti», aggiunge.

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La legge, d’altronde, è chiara: non si può vietare l’accesso ai bambini, così come non si può discriminare in base all’età. Eppure, c’è ancora chi ignora o aggira la normativa, affiggendo “consigli” che si avvicinano molto a un divieto. «Penso che molti ristoratori non sappiano nemmeno che esiste questa norma. In alcuni casi condivido il desiderio di mantenere un certo dress code, ma non il rifiuto verso i bambini. Anzi, forse dovrei affrontare questo tema nella prossima edizione di 4 Ristoranti. Ci penserò». Del resto, se i bambini diventano clienti affezionati da piccoli, è più probabile che restino legati all’esperienza gastronomica anche da grandi. Alla fine, come in una buona ricetta, serve equilibrio: tra regole e flessibilità, tra educazione e accoglienza. Ma soprattutto serve voglia di fare spazio – fisico e mentale – anche ai più piccoli. Perché se il ristorante è davvero un luogo d’incontro, allora deve esserlo per tutti.

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