“Nel 2006 i gourmet erano posti dove andavano a mangiare i genitori, non i giovani. E questa è stata una delle nostre prime missioni: creare un ristorante di lusso per la nostra generazione, uno dove ci si sentisse a proprio agio, dove ci si divertisse”.
L'opinione
C’è un punto preciso a Manhattan dove l’alta cucina incontra la poesia del gesto, dove ogni forchetta è una promessa e ogni sorriso un rituale che sfiora la magia. No, non stiamo parlando di un semplice ristorante, ma di una vera e propria esperienza sensoriale, un palco teatrale dell’emozione che risponde al nome di Eleven Madison Park. Un tempio della gastronomia che ha fatto parlare di sé non solo per le sue tre stelle Michelin, ma per un’idea rivoluzionaria di accoglienza – quella che Will Guidara ha ribattezzato “ospitalità irrazionale”. Già nel 2017, l’EMP (per gli amici) veniva incoronato miglior ristorante del mondo. Ma il segreto del suo successo non si cela in una lista di ingredienti o nel taglio perfetto delle verdure. Il vero protagonista qui è il gesto inatteso, l’attenzione premurosa, quella che non compare sui menù ma resta nella memoria. È questo l’insegnamento che ha fatto di Guidara un guru contemporaneo dell’ospitalità e un punto di riferimento anche per la cultura pop: basti pensare che è proprio lui il consulente dietro alla serie cult The Bear, dove il suo best-seller Irrational Hospitality diventa una sorta di Bibbia culinaria per l’aspirante maître Richie.

Immaginate la scena: un gruppo di amici, ultimo giorno a New York, seduti ai tavoli art déco dell’Eleven Madison Park. Si lasciano cullare da una cucina impeccabile, ma a fine cena, con un po’ di rammarico, confessano di non aver assaggiato il classico hot dog newyorkese. Will Guidara, che in quel momento si muove tra i tavoli come un cameriere qualunque, ascolta la conversazione e non ci pensa due volte: esce dal ristorante, corre al primo chiosco all’angolo e torna trionfante, hot dog in mano. Non un gesto ironico, ma l’inizio di un piccolo capolavoro. Lo chef Daniel Humm lo guarda come se fosse impazzito. Poi lo capisce. Taglia la salsiccia in quattro porzioni eleganti, aggiunge le salse con cura da orologiaio svizzero, e trasforma uno street food in un entrée d’autore. “I clienti sono impazziti”, racconta Guidara con entusiasmo ancora vivo, anni dopo. E così, mentre i ristoranti tradizionali cercavano il prossimo ingrediente esotico da mettere in carta, Humm e Guidara capivano che la vera rarità era far sentire ogni ospite visto, compreso, celebrato. Non era più solo questione di gusto, ma di significato. L’epopea dell’EMP inizia nel 2006, quando due giovani – uno chef svizzero di 28 anni già stellato e un direttore di sala di 26 – decidono di ribaltare il tavolo del fine dining. “Volevamo essere i Beatles della gastronomia, i Nirvana, i Rolling Stones… volevamo essere eterni”, confessa Guidara nelle parole riportate da El Mundo. E l’eternità, per loro, non si raggiunge con l’ostentazione, ma con il dettaglio invisibile.

A differenza di altri ristoranti blasonati, ancora ingessati da dress code e formalismi da club elitari, l’EMP parlava ai giovani. Niente cravatte obbligatorie, nessun tono altisonante: solo accoglienza, passione e quella scintilla empatica che ti fa dire “qui voglio tornare”. “Nel 2006 i gourmet erano posti dove andavano a mangiare i genitori, non i giovani. E questa è stata una delle nostre prime missioni: creare un ristorante di lusso per la nostra generazione, uno dove ci si sentisse a proprio agio, dove ci si divertisse”, racconta il maestro di accoglienza. Del resto, per Will Guidara, la vocazione alla ristorazione è una storia d’amore nata da piccolo: il giorno del suo dodicesimo compleanno, suo padre lo portò al Four Seasons. Indossava una giacca blu con bottoni dorati e si sentiva un re. Quando gli cadde il tovagliolo, un cameriere gliene porse uno nuovo chiamandolo “signore”. Fu in quell’attimo che la scintilla scoccò. C’è una frase che Guidara cita spesso, firmata Maya Angelou: “Le persone dimenticheranno ciò che hai detto e ciò che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire”. Ecco la filosofia su cui si fonda l’ospitalità irrazionale. Un principio che trova forma in storie come quella della famiglia spagnola che cenava al ristorante mentre fuori iniziava a nevicare. I figli non avevano mai visto la neve. Cosa fa Guidara? Compra quattro slitte, chiama un SUV e li manda a Central Park a giocare. Magia pura.

Non a caso, all’EMP è nata anche una figura inedita, degna di un romanzo: il “Dreamweaver”. Un vero e proprio tessitore di sogni, incaricato di inventare momenti unici su misura per ogni cliente. Dai bicchieri di champagne iNn scatole blu Tiffany per chi si fidanza al tavolo, fino ai kit post-sbornia con muffin, caffè e Alka-Seltzer per chi scherza sui bagordi imminenti. E ogni attenzione è pensata con chirurgica umanità. Se qualcuno usciva per fumare, gli si offriva uno shot elegante in un bicchiere monouso; se un viaggiatore si presentava con una valigia, riceveva una scatola di snack per il volo. La parola d’ordine? Rendere l’esperienza irripetibile, su misura, intima come una dedica segreta. Oggi l’influenza dell’Eleven Madison Park va oltre le cucine stellate. The Bear ne è la dimostrazione plastica: nella serie, il libro di Guidara viene letto con la devozione di un vangelo contemporaneo, e la filosofia dell’ospitalità irrazionale prende vita in scena, trasformando la frustrazione quotidiana del servizio in un rito di connessione umana. Guidara è ora produttore della terza stagione della serie, e mentre racconta con orgoglio come la televisione riesca a trasmettere l’impatto emotivo meglio di qualunque libro, non dimentica mai il centro pulsante della sua visione: la gioia egoistica dell’accogliere. “È una dipendenza preziosa – dice – perché una volta che inizi, non vuoi più smettere”. Ed è proprio questa dipendenza che ha trasformato un ristorante in leggenda, un hot dog in un atto d’amore, e l’accoglienza in una forma d’arte che, come una canzone dei Beatles, resta nella memoria. Per sempre.