Dimenticate il servizio nel weekend: con il suo nuovo progetto, Enrique Valentí apre solo dal lunedì al venerdì e punta sul “micro-servizio” sartoriale, con 8 tavoli e staff di 6 persone. “Cerco dipendenti stabili”, afferma in una recente intervista.
Il format
Dopo aver lasciato un segno indelebile nella mappa culinaria di Barcellona, Enrique Valentí torna là dove tutto è cominciato: nella sua Madrid. Ma attenzione, più che un ritorno è un esordio, un gesto carico di simbolismo, passione e maturità. A cinquant’anni tondi, lo chef decide di regalarsi – e regalare alla città – un progetto tutto suo, autonomo, personale: Caja de Cerillas, letteralmente "scatola di fiammiferi", un bistrot intimo e curato che racconta storie di sapori dimenticati e memorie ritrovate.

Per chi ha seguito il percorso di Valentí, nomi come Casa Paloma, Chez Coco, Barbas, Marea Alta, Marea Baja e Adobo sono tappe di un viaggio gastronomico costellato di successi, a cavallo tra creatività, tecnica e un inconfondibile tocco di eleganza. Ma finora, paradossalmente, il palcoscenico madrileno era rimasto fuori scena. Una parentesi appena accennata con Hermanos Vinagre, progetto condiviso con il fratello Carlos, ma nulla di davvero suo. Ora però è arrivato il momento giusto: “Molti fanno una grande festa per i cinquant’anni, io invece mi sono detto: mi regalo un sogno, un piccolo grande progetto. E l’ho fatto”, racconta lo chef a 7Canibales, con l’entusiasmo di chi, pur conoscendo il mestiere, non ha smesso di emozionarsi.

Il locale si trova in una tranquilla via di Chamberí, nel luogo che per anni ha ospitato il ristorante asturiano Nalón. Piccolo, raccolto, quasi confidenziale: solo 25 coperti distribuiti su otto tavoli e serviti da 6 dipendenti, come se ogni commensale fosse invitato a prendere parte a un rito privato, fatto di condivisione sincera e cucina pensata con il cuore. Non è un ritorno all’alta cucina, bensì un ritorno all’essenza: un esercizio di verità e lungimiranza, come lo definisce lo stesso chef. Un'altra particolarità sono gli orari di apertura: si resta chiusi sia sabato che domenica, optando per pranzo e cena dal lunedì al venerdì. "Cerco di avere uno staff stabile", afferma il proprietario in questa intervista a El Mundo. “Alla fine è il mio primo progetto veramente personale, una microproduzione che dà vita a qualcosa di gestibile". La vera sfida? “Trovare qualcuno che abbia voglia di cucinare insieme a te, di capare i fagiolini dietro le quinte. Il personale è un nodo cruciale”.

Valentí abbandona inoltre l’idea della spettacolarizzazione del piatto per abbracciare una filosofia più intima, calda, “di tutti i giorni”. I piatti proposti nel menù – suddivisi in Tapas, Antipasti, Piatti principali, Griglia e Dessert – sono un tributo alla memoria culinaria collettiva, a quelle preparazioni che un tempo facevano parte della quotidianità e oggi rischiano l’oblio. Eppure, in queste ricette apparentemente semplici si cela una profonda sapienza, fatta di equilibrio, rispetto per il prodotto e, soprattutto, amore per il gesto. Si comincia con un richiamo alla sua doppia anima, quella madrilena e quella catalana, con delle acciughe preparate in casa (pulite, condite con olio, aceto e pepe) servite con pane al pomodoro, un abbraccio ideale tra Hermanos Vinagre e Barcellona. Seguono empanadillas al tonno e pomodoro, con una sfoglia sottile e una frittura precisa, che parlano la lingua della nostalgia, così come le fette di baccalà fritte, omaggio a Casa Labra, esaltate da una salsa piparra che dà brio senza sovrastare. Il rispetto per la stagionalità si esprime negli asparagi bianchi con vinaigrette agli agrumi e nello sgombro marinato caldo, due piatti che profumano di primavera e leggerezza, mentre i fagiolini con purè di patate, prosciutto e maionese calda spalancano le porte a un viaggio nel tempo, là dove le ricette erano fatte con quello che c’era, ma sempre con cura.

Immancabile, in un ristorante che si rispetti, il piatto “da cucchiaio”: fagioli bianchi con vongole, cremosi e generosi, da gustare fino all’ultima scarpetta, senza alcuna fretta. E se i maccheroni rustici al forno con pollo, salsiccia, pancetta e formaggio potrebbero far svenire qualche purista italiano, per il resto del mondo rappresentano un peccato di gola benedetto, opulento, rotondo. Altre “specie gastronomiche in via d’estinzione” che Valentí decide di salvare sono le polpette di manzo con sherry e brodo di carne, che fanno subito pensare alle tavole della nonna e ai pranzi della domenica. E ancora, una sogliola galiziana alla griglia, con un tocco di aceto di Getaria, servita con escalivada e insalata verde, chiude il cerchio dei secondi con classe ed equilibrio. I dolci non sono da meno: dal sorprendente mango e mela (con la mela tagliata come fosse riso, in un raffinato gioco di illusioni) al rassicurante flan alla vaniglia con chantilly, passando per le frittelle all’anice che profumano di fiere di paese e merende di una volta.

La cantina è ben assortita, con etichette selezionate, ampia scelta al bicchiere e la possibilità – attualmente gratuita – di portare il proprio vino da casa. Una flessibilità che racconta la filosofia del locale: niente imposizioni, solo accoglienza e gusto. E mentre molti inseguono ancora il miraggio dell’innovazione a ogni costo, Valentí sceglie una via diversa. “Non cerco più di essere il migliore. Cerco la felicità del cliente”, dice.