Quella di Marcello Romano è una proposta che fa scuola da 30 anni nell'Urbe: orientata all'inclusività, ma con balzi tecnici capaci di soddisfare la clientela più esigente, resta un punto fermo dell'offerta ristorativa dell'Hassler. Al centro, tre ambienti differenti per godersi l'eleganza pop del menu, complice una cucina che continua a evolvere con la verve degli inizi.
A pensarci, trent'anni sono una bella porzione di vita. E passarli tutti di seguito a tenere attiva la macchina food di uno dei migliori alberghi romani è più di una prova del nove sul CV di un cuoco. Eppure, parlando di sé Marcello Romano tralascia volutamente i numeri -ché quelli non danno la reale misura del lavoro. All'Hotel Hassler il calcolo resta il pane quotidiano di una gestione invisibile; una voce che all'esterno non risuona, il ragionamento silenzioso destinato a creare quel flow di accoglienza e di servizio totalmente privo di dogmi ancien régime.


Accade tanto negli spazi color rubino del Salone Eva, quanto sulla Terrazza aerea che guarda in faccia Trinità dei Monti, dove vi consegneranno una mappa illustrata per individuare i giganti di pietra appostati dietro il parapetto, dai cupoloni alle ville secolari. Ed è questo il teatro open space dello chef appena debutta la primavera dell'Urbe: una volta seduti, si ha l'impressione di mangiare in un affresco a 7 piani da terra, coi tavoli in fila ben distanziati e la squadra che emana una curiosa calma, lontana dagli alert nervosi dei soliti rooftop pronti a macinare coperti.


Ebbene, qui vige un unico assunto in menu: oltre l'ossatura-base di una cucina a vocazione internazionale, prendere l'ospite per la gola è da sempre il mezzo, ma non il fine ultimo dell'esperienza. Chi cerca il balzo tecnico lo troverà infatti negli aromi cangianti dell'Amatriciana Hassler, nell'inatteso spessore della lattuga di mare accanto a un calamaro fritto e nella calibrazione di zuccheri della pasticceria. Perché anche il best seller può stupire, se amplia il catalogo di sfumature a cui ci hanno abituati altrove.


L'Hotel Hassler, un mito di accoglienza nell'Urbe
Per arrivare ai piatti dell'executive Marcello Romano -responsabile dell'intera proposta interna, dalla colazione alle amenities in camera, fino al già citato ristorante Salone Eva- faremo un percorso all'inverso, partendo da ciò che l'Hassler ha rappresentato e rappresenta ancora nell'immaginario poliglotto. La premessa è necessaria, poiché parliamo di un set che ha visto sfilare fra sale e suite una discreta passerella di figure note.

Basti pensare a Lady Diana, che nella struttura sorseggiò il "più buon Bellini mai bevuto", al primo posto nell'album dei ricordi alcolici worldwide. Non a caso, a lei è intitolato il drink "Lady Diana 1996", composto da Gin Hendrick's, sciroppo di popcorn acidificato e Delamotte Champagne, più un ritorno charmant di vaniglia affumicata per omaggiare un'ospite speciale. Lo si assaggia al Carmen's bar (speakeasy "della casa" guidato dal talentuoso mixologist Alessio Giovannesi), attingendo da una carta che prende volutamente spunto dai vari personaggi di spicco divenuti clienti affezionati dell'hotel.



Ancora: celebre l'apparizione di Madonna direttamente dai suoi sontuosi alloggi, durante una permanenza a Roma per la promozione del film Evita. Fu allora che l'artista si sporse verso Piazza di Spagna cantando Don't cry for me Argentina. Steve Jobs, Pablo Picasso e i Kennedy lodavano con altrettanta convinzione il kit di premure del 5 stelle lusso, eletto a mèta abituale di permanenza in città. Così, oggi i proprietari Roberto Jr. e Veruschka Wirth continuano ad alimentare il knowhow di generazioni di albergatori professionisti, investendo costantemente nella metamorfosi degli ambienti (ne è un esempio proprio il Salone Eva, fresco di restyling nel momento in cui scriviamo).


Ma cosa significa davvero soggiornare tra i "fasti attuali" di un complesso risalente al 1893? Riassunto in una frase: dalle porte girevoli al tetto, varcata la soglia si accede a un dislivello continuo di attrazioni anticipate dalle dritte dello staff. Per i cercatori di massaggi il primo step è un'incursione nell'Armovero Spa del terzo piano, fra trattamenti aromatici con pietre calde, pacchetti "De-stress" arricchiti da lavanda e camomilla e l'azione combinata di sauna e bagno turco. Senza muoversi dal centro benessere lo sportivo in trasferta potrà inoltre tener fede ai buoni propositi, complice una palestra allestita su misura con attrezzature cardio e pesi. Ma il vero punto d'orgoglio dell'Hassler sono le 87 camere e 21 suite -queste ultime rinomate per l'ampiezza e la posizione "tattica" in simbiosi con gli esterni.

L'apice dello sfarzo, neanche a dirlo, abita i salotti della Presidential suite San Pietro, laddove convivono vetrine colme di vestigia romane, scrivanie amarcord e dipinti d'autore, fermo restando un perimetro di 80 metri quadri e una visuale privilegiata sulla maestosa architettura vaticana. Senonché, chiusa la parentesi ozio, l'attenzione volge alla ristorazione. Per il gourmand di turno c'è Imàgo, 1 stella Michelin, avamposto serale dello chef Andrea Antonini; di rimando, Salone Eva e La Terrazza puntano dritto a quel tipo di immediatezza goduriosa in grado di appagare romani e viaggiatori, rileggendo però con tono decisamente personale i classici di repertorio. Completa il mandala delle zone all'aperto il Palm Court, un cortile raccolto nel quale godere delle medesime attenzioni ristorative (inclusi i drink del Carmen's) fra statue, anfore e un piccolo Eden verdeggiante a favore di flash.



Il menu di Marcello Romano
Quale che sia lo scenario, Salone Eva, La Terrazza e Palm Court ruotano tutti attorno al perno di una convivialità di cui si avverte spesso la mancanza nella ristorazione d'albergo; occorre darne atto al maître Andrea Moschetti, capace di trasmettere al gruppo l'importanza della sintonia non meno che della sincronia nelle fasi cruciali del pasto. Un gioco di squadra evidente nel racconto del menu, sospeso sul filo fra precisione e sintesi.

A mandare in porta il tiro d'inizio è la Tiella di scarola, un forziere dorato che custodisce la verdura opponendo la giusta resistenza al taglio. C'è la goduria dell'antipasto rustico e, in parallelo, la sorpresa di una portata che trasforma il finger food in un'elegante monoporzione al piatto. Da un lato, lo slancio di sapidità del ripieno; dall'altro, l'atterraggio morbido sul fondo di crema di patate e porri con funghi alle erbe: la liaison che non ti aspetti fra l'orto e il sottobosco.


Ha la stoffa del signature la Candela spezzata con polpo e pomodori arrostiti su crema di prezzemolo e Pecorino. Sotto il velo tricolore si cela infatti l'idea di combinare la genuinità del primo al sugo con l'aplomb della pasta al pesce. Il prezzemolo riveste, quindi, un doppio ruolo: se di prassi va a rafforzare la parte erbacea del pomodoro, nel retrogusto spinge via via la persistenza del mollusco, evocando la tipica combo "marinara". D'altra parte, è la salsa di Pecorino a rendere il morso "tridimensionale", evitando facili picchi di salinità con un bilanciamento inaspettato: il formaggio si scopre avvolgente, quasi lieve nel ritorno lattico. Gli fa eco, nel calice, il Tellenae Manfredi Stramacci 2023, Malvasia Puntinata che accende i riflettori sull'area vulcanica laziale.

Gli abissi giocano un'ulteriore carta vincente col Filetto di salmone arrostito e glassato agli agrumi, indivia e spinaci; qui il trancio compatto è movimentato dall'agrume, che ne attenua la grassezza per lasciare una gradevole scia fresca sul finale. Ben presente pure il sottofondo green, con il "contorno" dai toni pimpanti che tiene testa al protagonismo del salmone. "Per me le primizie possono dialogare alla pari con la proteina", spiega lo chef Marcello Romano. "Nei secondi sono attento ad inserire diversi elementi vegetali, purché siano complementari fra loro. A volte serve una punta amara, oppure una sferzata citrica per aggiustare il tiro. Viceversa, nelle Candele il pomodorino arrostito stempera il sale con la sua rotondità di fondo".

In modo simile, si fissano nella memoria i dessert della pastry chef Martina Emili, accomunati dalla giostra di effetti tattili e termici. Immancabile il Tiramisù Hassler, un lingottino multilivello composto da savoiardo, crema al mascarpone e panna montata e mousse di caffè in superficie: l'upgrade del dolce a strati, rivisto nella quota di zuccheri e nella silhouette lineare. Non da meno la Delizia al caramello, pere e cannella, che sfrutta la spezia per riattivare le papille in vista della piccola pasticceria.


A proposito, concedeteci un piccolo spoiler per il giorno successivo: tra Maritozzo Hassler, fragranti sfogliatelle e -se siete fan delle uova al risveglio- omelette ai gamberi rossi di Mazara con avocado, il detto della "colazione da re" rischia di diventare seriamente realtà. Nessun senso di colpa, finché il check-out non ci separi!

Contatti
Hotel Hassler- Salone Eva
Piazza della Trinità dei Monti, 6, 00187 Roma RM
Telefono: 06 699340