20 anni di attività e 17 di stella Michelin con l’entusiasmo del primo giorno: Iside De Cesare porta avanti l’idea di fine dining “on demand” alla Parolina. “Oggi mi diverto ancora a giocare e sperimentare, mi piace definirmi un’apprendista con esperienza. Tuttavia, il vero punto di arrivo è la semplicità, l’obiettivo che tutti gli chef dovrebbero perseguire in linea con le tendenze attuali”.
LA STORIA, LA CHEF, I PROGETTI
“La Parolina è nata nel 2005 in quella casetta gialla con le porte rosse”, racconta chef Iside De Cesare affacciandosi dalla sede attuale del ristorante, da cui quella casetta dista solo un centinaio di metri. Siamo a Trevinano, frazione di Acquapendente, provincia di Viterbo, terra di confine tra Lazio, Umbria e Toscana, un paese di 140 abitanti lontano dai ritmi frenetici della città, in cui il tempo sembra essersi fermato.


“All’epoca io e Romano lavoravamo in Toscana, si trattò di una coincidenza, accadde tutto per caso”. Proprio là, infatti, i due conobbero una ragazza che segnalò loro quel locale: “Aveva già cambiato gestione tre volte, ma per noi fu un colpo di fulmine. Per fortuna i proprietari si resero disponibili ad aiutarci con la ristrutturazione, così decidemmo di iniziare questa avventura, partendo con un investimento personale di 6.500,00 euro, senza soci, né finanziatori, ma vendendo le nostre auto per comprare le attrezzature necessarie”, prosegue Iside.


Come ogni inizio non fu semplice, ma la tanta gavetta fatta in precedenza aiutò. Romana, classe 1973, Iside De Cesare lascia la facoltà di ingegneria per dedicarsi alla cucina: inizia a Roma da Agata e Romeo, poi alle Colline Ciociare di Salvatore Tassa, quindi a La Pergola di Heinz Beck per due anni e altri due a La Frasca, in Romagna, all’epoca due stelle Michelin, dove conosce il futuro marito Romano Gordini, classe 1981, con esperienze varie, tra cui quella da Gualtiero Marchesi.


Le cose iniziarono a volgere al meglio quando tra gli addetti ai lavori si iniziò a parlare di questo nuovo ristorante nella Tuscia, grazie alla visita di Luigi Cremona prima e del Gambero Rosso poi: “Entrammo subito nella guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso con due forchette, poi nel 2009 arrivò la stella Michelin”, racconta Iside. Tuttavia, nonostante i riconoscimenti, c’era qualcosa che non andava in quella sede, che impediva a Iside e Romano di essere completamente soddisfatti: “Uno degli aspetti che ci aveva colpito di quel locale, era senza dubbio la vista. Si poteva vedere l’intera vallata, volevamo fosse fruibile per tutti, invece se ne poteva godere solo dalla cucina, non dalla sala”.

Così nel 2012 decisero di comprare la collina su cui sorge l’attuale sede e nel frattempo nacquero i loro due figli, Azzurra e Giacomo: “La prima cosa che feci fu disegnare da una parte la nostra abitazione, dall’altra la cucina del ristorante, per cercare di conciliare al meglio lavoro e vita privata. Doveva essere comoda, funzionale e anche sostenibile, termine all’epoca ancora poco utilizzato”.

A parte qualche cipresso, omaggio alla Toscana, e alcuni ulivi, intorno al ristorante si trovano esclusivamente piante commestibili, come lavanda, rosmarino prostrato, alloro, menta, salvia, melissa, timo e finocchietto selvatico, l’erba regina di queste zone. Alle spalle del ristorante si trova l’orto, che copre il fabbisogno giornaliero di alcuni vegetali e delle tante erbe aromatiche: “Adoro l’idea di poter servire un’insalata potendola cogliere al momento in cui viene richiesta”, dice Iside. Nel 2012 è stato inaugurato anche il Bed & Breakfast La Letterina, che consente ai viaggiatori di pernottare per immergersi maggiormente in un territorio ricco di fascino e di poter godere di una splendida colazione che spazia dal dolce al salato e omaggia tante produzioni locali: “Nel prossimo futuro vogliamo creare una piscina a sfioro con un impianto di illuminazione completamente automatico, per rendere il soggiorno ancora più esclusivo”, spiega Iside.

Parallelamente al progetto di ristorazione viaggia quello della formazione, tema molto caro a chef De Cesare, con “Chef in Campus”, scuola di cucina immersa nella riserva naturale di Monte Rufeno, che consente agli studenti di vivere insieme e confrontarsi come in una vera brigata, oltre a poter toccare con mano come si gestisce un’attività ristorativa: “Per me insegnare è prima di tutto un dovere morale e vorrei che fosse così anche per i miei colleghi” – ammette Iside – “Perché andando nelle scuole mi rendo conto che i ragazzi di oggi non hanno sogni e lo trovo inaccettabile: le tecniche di base prima o poi si imparano, donargli speranza nel futuro è la vera sfida. Non è un caso se negli istituti alberghieri neanche due ragazzi per classe arrivano a fare i cuochi. E gli altri? Bisogna trasmettergli fiducia, dargli supporto emotivo e motivazionale, insegnargli come costruire la propria professionalità facendo leva sui tanti strumenti a loro disposizione per imparare”.

IL RISTORANTE, LA VISIONE, I PIATTI
Un ambiente rustico perfettamente coerente con il contesto territoriale, caratterizzato da soffitti in legno, pavimento in cotto e sedie di paglia, che fanno solo da sfondo alla splendida vetrata che domina la sala e affaccia sulla vallata e sul monte Amiata, contribuendo ad impreziosire quell’atmosfera semplice e festosa tipica dei pranzi domenicali in campagna, che il ristorante vuole omaggiare.

La cucina attinge a piene mani dal territorio, raccontandolo attraverso materie prime reperite in loco da piccoli produttori ormai amici, che spaziano dalle carni ai legumi, dai pesci di lago ai vegetali selvatici: “Questa zona è un vero luna park per un cuoco”, conferma Iside. Piatti diretti e preparazioni semplici quindi, leggibili e immediate, che diano sempre risalto al sapore, elemento fondamentale di ogni proposta. Una cucina dinamica, che la chef è disposta a modulare in funzione dei clienti, secondo lei “i veri proprietari del ristorante”, senza troppe preclusioni, con l’unico limite di non snaturarsi, ovvero di non rinunciare al concetto di qualità, travalicando così gli stereotipi e la rigidità propria di certi ambienti e di certe etichette.

“Tante persone sono spaventate dal concetto di fine dining, entrano per caso aspettandosi di trovare una trattoria e restano spiazzati, perché dovrei rifiutarmi di preparare una semplice tagliatella al ragù? Non mi sento sminuita, anzi, credo che l’accoglienza consista proprio nel non far sentire fuori posto le persone. In più la vedo come un’opportunità, molti sono diventati clienti in questo modo, sentendosi a casa loro”, spiega. Fine dining, certo, ma rivisto e adattato al contesto, legato ad un approccio attento e consapevole, mai troppo formale o complesso: “Dopo vent’anni mi diverto ancora a giocare e sperimentare, mi piace definirmi un’apprendista con esperienza. Tuttavia il vero punto di arrivo è la semplicità, l’obiettivo che tutti gli chef dovrebbero perseguire, in linea con le tendenze attuali: se creiamo almeno un piatto che entra nelle case della gente comune, abbiamo abbattuto qualsiasi barriera ideologica e raggiunto il nostro obiettivo”, afferma Iside con convinzione.

Questo concetto cavalca anche il difficile momento storico legato all’aumento indiscriminato sia dei costi fissi che di quelli variabili, che complica gli aspetti gestionali e mina la sostenibilità di un ristorante. La bravura di un imprenditore sta nel trovare soluzioni adeguate e assecondare certe richieste va in questa direzione: “Siamo anche disponibili per eventi occasionali e per formule aperitivo ad hoc, ma questa elasticità sarebbe molto più complicata senza una gestione familiare dell’impresa ristorativa, come la nostra. Poi ci sono le consulenze esterne, che porto avanti anche grazie a tanti ex allievi validi che con cui collaboro e mi confronto giornalmente”, dice la chef.

Anche il menu risente delle oscillazioni dei prezzi di cui sopra e, anziché cambiare stagionalmente, varia spesso, in base a ciò che si riesce a reperire sul mercato. Si può mangiare alla carta, oppure scegliere uno dei tre menu degustazione previsti, rispettivamente a 75 euro, 100 e 150 con possibilità di abbinare 3 calici a 75 euro, 4 a 50 e 5 a 75 euro.

Tra i piatti assaggiati, l’iconico “Caviale di lenticchie nere di Onano”, servito con limone e panna acida per ricordare il caviale classico; l’ottimo “Carciofo, brasato alla romana, con infuso al tè verde e polvere di olive di Gaeta disidratate”; gli “Gnocchetti di patate di Grotte di Castro, asparagi di Tarquinia, finocchietto e gamberi di fiume”, ben fatti; i “Cappelletti di Cinta Senese in brodo di cipolla di Nepi progressivo”, da degustare prima con un brodo tradizionale, poi con l’aggiunta di una gelatina affumicata e infine con alloro, in modo da aumentare gradualmente l’intensità del sapore.



Tra i secondi, uno dei piatti più centrati, lo “Spiedo di piccione, il suo consommé con canederlo delle sue rigaglie e crostino con ragù di piccione”, servito tiepido e cotto molto bene, ma avrebbe meritato una spiegazione meno sbrigativa: “Abbiamo sempre pensato che dovesse essere il sapore dei patti a parlare per noi, per questo spesso abbiamo lasciato in secondo piano la descrizione e lo storytelling. Siamo una voce fuori dal coro, gestiamo autonomamente i social media e non abbiamo un ufficio stampa, ma con il passare del tempo ci siamo resi conto che questo approccio può essere penalizzante”, confessa la chef.

Ad accompagnare il percorso, una carta dei vini ragionata, non molto ampia, che si apre con la sezione dell’aperitivo, con cocktail (anche alcool free), qualche bevanda e le proposte del giorno al calice. A seguire un consistente omaggio alla Tuscia, sia per i bianchi che per i rossi, con le diverse aree di produzione e una selezione delle bollicine italiane e francesi più prestigiose. Per concludere, una panoramica sintetica dell’enologia nazionale con le etichette più rappresentative e qualche referenza da Francia, Austria e Germania.

Il servizio è premuroso e garbato, seppur con qualche incertezza, dovuta sia ai continui avvicendamenti in sala, sia alle tempistiche non sempre corrette. “La celerità è una nostra caratteristica da sempre” – confessa Iside De Cesare – “Io per prima non amo i tempi lunghi di certa ristorazione, tuttavia anche i clienti sembrano apprezzarla molto, perché riescono a rientrare a casa prima, o a ritirarsi in camera presto. Sicuramente la difficoltà nel trovare personale qualificato non aiuta, la richiesta è tanta e ci sono sicuramente destinazioni più appetibili di Trevinano. Io invece, dopo tanti anni, difficili e divertenti in egual modo, sono ancora innamorata di questi luoghi e, in particolare, di certi tramonti, così belli e sempre diversi che assomigliano a quelli visibili al mare. In camera non chiudo mai gli oscuranti delle tapparelle, così posso gustarmi il panorama anche appena sveglia”.

Contatti
La Parolina
Via Giacomo Leopardi, 3, 01021 Trevinano VT
Tel: 0763 717130