Attualità enogastronomica

Mangiare soli nei locali, la riflessione sul The Guardian: “Dovrebbe essere sempre possibile”

di:
Elisa Erriu
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La solitudine a tavola è spesso vista quale segno di isolamento o infelicità, come sottolineato da una recente ricerca del World Happiness Report. Di contro, l’autrice Emma Gannon ne evidenzia i lati positivi: tutti dovrebbero poter fruire dell’esperienza che desiderano.

L'opinione

Nel corso degli ultimi anni, il tema del "pasto solitario al ristorante" è stato spesso oggetto di dibattito, con la platea food intenta a domandarsi se mangiare da soli sia una scelta di ripiego o, al contrario, un atto di consapevole introspezione. Emma Gannon, autrice del libro Table for One, ha scritto abbondantemente sui vantaggi di concedersi un pasto in solitudine, difendendo questa pratica dall'etichetta di "tristezza" che spesso le viene applicata. Quando racconta di un viaggio a Amsterdam in cui si è dedicata al piacere di mangiare da sola, riceve una domanda che potrebbe sembrare innocente, ma che racchiude un pregiudizio: "Non hai amici con cui andare?". Ma perché mai una persona dovrebbe essere considerata introversa solo perché sceglie di trascorrere un pasto in solitudine?

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Certo, la solitudine a tavola è spesso vista come un segno di isolamento o infelicità, come sottolineato da un recente rapporto del World Happiness Report, che ha messo in evidenza quanto la mancanza di compagnia e della condivisione in gruppo possano essere segnali di una società che sta perdendo il contatto con le sue radici sociali. Ma nonostante queste osservazioni, Gannon, in un bellissimo articolo sul The Guardian, si schiera fermamente contro l’idea che mangiare da soli sia, di per sé, un indicatore di infelicità. Al contrario, lo considera un'opportunità per esplorare se stessi, per dedicarsi senza distrazioni alla qualità di un pasto, senza le pressioni sociali o il rumore delle conversazioni.

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Il fenomeno del solo dining, cioè il mangiare da soli al ristorante, ha visto un vero e proprio boom negli Stati Uniti, con un aumento del 64% dal 2019 secondo OpenTable. Questo cambiamento di tendenza suggerisce che sempre più persone stanno accettando e abbracciando l'idea di vivere l'esperienza gastronomica da soli, senza vergogna o disagio. Eppure, non è sempre facile. La maggior parte dei ristoranti, infatti, è strutturata per accogliere coppie o gruppi. Sono numerosi i locali che offrono menù "due per uno", piatti da condividere, e persino vini che vengono serviti solo in bottiglie intere, un inconveniente per chi preferisce un bicchiere o due da gustare in tranquillità. La solitudine, insomma, non è sempre ben vista nei luoghi pensati per la convivialità. Gannon, che pur essendo sposata da 13 anni con il suo partner, considera uno dei piaceri più grandi della sua vita quelli di concedersi una cena solitaria, parla anche delle difficoltà incontrate nei ristoranti. "Spesso, a New York, mi trovo sistemata scomodamente all'angolo del bancone, su uno sgabello troppo alto, con un menù da snack e senza che mi venga offerta una vera e propria esperienza culinaria," racconta. "Anche a Londra, mi è capitato che mi dicessero che avrei dovuto lasciare il tavolo entro 45 minuti, con l'impressione che pensassero che fossi lì solo per un pasto rapido, magari per motivi di lavoro."

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Eppure, in altre parti del mondo, il solo dining è una pratica rispettata e accettata. In Giappone, ad esempio, è perfettamente normale mangiare da soli, e ci sono persino catene di ristoranti come Ichiran che offrono cabine private dove il cliente può godersi il pasto in totale solitudine, senza necessità di interagire con gli altri. In questo caso, la solitudine non è un simbolo di tristezza, ma un'opportunità di riflessione, un modo per vivere pienamente l'esperienza del cibo senza distrazioni. La bellezza di un pasto in solitudine sta nel poter assaporare ogni singolo boccone con calma, senza fretta, magari accompagnato da un libro o da un podcast, in completa armonia con se stessi.

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L'autrice riflette anche sull'epoca post-pandemica. Dopo mesi di isolamento, molti di noi hanno iniziato a riscoprire il piacere di stare soli, di concedersi del tempo per sé stessi, e il solo dining potrebbe essere diventato una delle risposte a questa nuova ricerca di tranquillità. "C’è una bellezza in questo momento di solitudine che non va considerata come tristezza, ma come un’opportunità di piacere personale", scrive Gannon. "Mangiare da soli non deve essere sinonimo di infelicità. C’è un mondo di sfumature che va oltre il pregiudizio di chi pensa che mangiare solo sia una condizione da evitare." Insomma, non c’è niente di sbagliato nell’imparare a godersi la propria compagnia, nel dedicarsi un momento di tranquillità e di piacere puro, lontano dal caos quotidiano. Mangiare da soli non significa essere tristi, anzi. È un invito ad ascoltare i propri desideri e a prendersi cura di sé, senza aspettative esterne. Che si tratti di una semplice cena, di una mostra d'arte, di un viaggio, non fa differenza: ogni esperienza mirata può diventare un’opportunità per scoprire e riscoprirsi. E, perché no, trasformare il "table for one" in uno dei momenti più gratificanti della vita.

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