“Instagram sta distruggendo l'originalità, la concentrazione dei clienti, l'abilità di provare sensazioni profonde: siamo invasi da tante immagini, informazioni banali e ripetitive. Siamo talmente abituati a vedere i media in sequenza, che non abbiamo spazio per la riflessione”. Durante il congresso di Identità Golose Jeremy Chan ci ha spiegato come vede il futuro dell’alta ristorazione.
Foto cover credits Danny J Peace
L'intervista
Jeremy Chan non ha certo bisogno di presentazioni: lo chef bistellato, forte del 42esimo posto nel ranking mondiale della 50 Best, ha portato il suo Ikoyi all’attenzione di una platea sempre più ampia, conquistando pure la scena televisiva (vedi la partecipazione a MasterChef Italia) e i lettori gourmand con un volume di ben 80 ricette. Sul palco di Identità Golose ha captato l’attenzione del pubblico con uno speech denso di riferimenti culturali, da grande appassionato di pellicole cinematografiche. Il processo creativo? A suo dire è spesso correlato alle atmosfere fantascientifiche dei film d’autore. Il “sogno” può infatti unire mondi diversi, con relativi spunti internazionali a sommarsi nel piatto. Qui la nostra intervista esclusiva in occasione del congresso, realizzata da David Abbattista.

Nella tua lezione a Identità Golose hai parlato di “catturare il sogno”, cosa vuol dire esattamente?
Stavo leggendo l’autobiografia di David Lynch: un grande regista (purtroppo appena scomparso, ndr) di cui adoro i film. In realtà sono ossessionato dal pensiero che per fare qualcosa di estremamente originale sia necessario trovarsi in situazioni “oniriche”, talvolta dark e fumose. È un po’ l'idea di lasciarsi andare, catturare idee diverse durante i sogni e calarsi in uno stato mentale particolare.

In Italia si parla molto della crisi del fine dining. Dal tuo punto di vista, nel mondo in generale o anche in Inghilterra, qual è la situazione della ristorazione di alto livello?
Ah, terribile, perché Instagram sta distruggendo l'originalità, la concentrazione dei clienti, l'abilità di provare sensazioni profonde: siamo invasi da tante immagini, informazioni banali e ripetitive. Siamo talmente abituati a vedere i media in sequenza, che non abbiamo spazio per la riflessione.

Questo è un primo problema; un altro nodo cruciale è l'apprensione economica, l'instabilità mondiale e la relativa alimentazione di massa. Ciascuna piazza è diversa; Londra, ad esempio resta una città molto “competitiva” sul piano gastronomico, dunque risulta difficile fidelizzare i clienti, affrontando moderne sfide tecnologiche e finanziarie. Per questo la formula fine dining, o in generale la cucina elaborata e ambiziosa, fatica ad affermarsi. Certo, ci sono gli investitori, privati o “istituzionali”. Tuttavia, per un giovane chef appassionato aprire e mandare avanti un ristorante è difficile, molto difficile in una grande città. Forse in un piccolo centro, chissà… Ma il futuro per me è buio, abbiamo poche prospettive di avanzamento.

Non c'è una speranza, un qualcosa che ti fa pensare che il fine dining avrà un futuro più roseo?
La mia speranza è sopravvivere ogni giorno, e ogni giorno “spingere” il ristorante nella direzione giusta. Creare un legame di fiducia col cliente. Questo è ciò che conta: non la tecnologia, non Instagram, ma regalare ai nostri ospiti esperienze meravigliose e indimenticabili.