La visibilità online è una vetrina che può trasformarsi in salvagente o in condanna: secondo Denny Imbroisi il digitale è ormai un ingrediente imprescindibile della cucina contemporanea.
La notizia
Chi entra oggi in un ristorante non cerca soltanto un piatto ben cucinato, ma un’esperienza che coinvolga i sensi, il cuore e perfino la coscienza. Denny Imbroisi, chef e imprenditore dallo spirito acuto e dalla visione limpida, lo ha ribadito con forza durante il Food Hotel Tech 2025, come racconta la testata Food&Sens, partecipando a una tavola rotonda dedicata alle grandi sfide che la ristorazione contemporanea si trova ad affrontare: calo delle presenze, aumento dei costi e cambiamento radicale delle aspettative dei clienti. In un panorama sempre più instabile, tra crisi che si rincorrono e modelli economici che traballano, Imbroisi non si nasconde dietro frasi di circostanza. La sua voce è quella di chi ha già attraversato tempeste – dagli attentati terroristici ai gilet gialli, fino all’uragano della pandemia – e ha imparato a leggere il vento per aggiustare la rotta: «La sola regola che conta davvero è adattarsi o sparire». La cucina da sola non basta più. Il tempo in cui bastava servire un buon piatto per attirare clienti è finito. Oggi il pubblico chiede molto di più: vuole vivere un’esperienza completa, che sappia stupire, coinvolgere e lasciare il segno. “Il cliente vuole un momento, un’emozione, un contesto”, dice Imbroisi. Insomma, desidera sentirsi protagonista di una piccola pièce teatrale dove ogni dettaglio, dalla luce al suono, dal racconto al servizio, contribuisce a costruire la magia.

Per rispondere a queste nuove esigenze, il ristorante deve trasformarsi in una scenografia immersiva, dove nulla è lasciato al caso. L’ambiente va curato come un set cinematografico: l’illuminazione deve accarezzare, la musica avvolgere, il design raccontare qualcosa ancora prima che arrivi il menù. Ma non basta: “Bisogna creare un legame con il cliente, raccontare la provenienza dei prodotti, la storia che c’è dietro ogni piatto”. È l’era del racconto, dell’intimità che si costruisce a tavola come in un romanzo da sfogliare boccone dopo boccone. E poi, servono format dinamici, eventi che creino attesa e sorpresa: “I menù a tema, le collaborazioni con altri chef, le cene una tantum… sono tutte strategie che funzionano perché rompono la routine e invitano a tornare”. In un contesto economico in cui i costi salgono vertiginosamente – dalle materie prime all’energia – aumentare semplicemente i prezzi non è una via percorribile. Imbroisi lo dice chiaramente: “Non puoi alzare i prezzi senza offrire nulla di più. La gente guarda il portafogli, è attenta, e bisogna essere intelligenti per restare accessibili senza autodistruggersi”.

La risposta? Una gestione più snella, creativa, strategica. Nei suoi ristoranti, lo chef adotta una logica di ottimizzazione rigorosa: si lavora con prodotti di stagione, si privilegiano i fornitori locali, si evita ogni spreco. Persino un “brutto” pomodoro trova nuova vita in una salsa: niente finisce nella pattumiera se può trasformarsi in valore. E poi c’è la diversificazione: “Oggi bisogna far girare il fatturato anche fuori dalla sala. Offriamo corsi di cucina, delivery, formule in abbonamento… Non si può più dipendere solo dai coperti”. Mangiare è diventato un atto culturale e anche politico. Il cliente contemporaneo non si accontenta del gusto: vuole sapere. Da dove arriva il prodotto? È sostenibile? È stato coltivato o allevato con rispetto per l’ambiente e le persone? “La gente cerca senso, non solo sapore”, osserva Imbroisi. Ecco perché nei suoi locali trasparenza e autenticità sono diventati pilastri. Ogni scelta viene spiegata, ogni produttore valorizzato, ogni piatto raccontato come un gesto coerente e consapevole. Anche il servizio deve cambiare pelle: dev’essere rapido, fluido, capace di adattarsi ai tempi serrati della vita moderna. “Oggi il cliente vuole poter prenotare con un clic, portare via il pranzo o ordinare in pochi minuti. Non è solo un ristorante, è un ecosistema flessibile”.

Il digitale è ormai un ingrediente imprescindibile della cucina contemporanea. “Una recensione negativa su Google può affondarti, un profilo Instagram ben curato può salvarti”. La visibilità online è una vetrina che può trasformarsi in salvagente o in condanna. Ma non basta essere presenti: bisogna esserlo con criterio. Raccontare il proprio progetto sui social, curare l’estetica dei contenuti, interagire con il pubblico, ma senza trasformarsi in influencer compulsivi. “Bisogna comunicare con verità, non con ansia da prestazione”. Allo stesso tempo, la tecnologia può semplificare la vita dietro le quinte: prenotazioni automatizzate, controllo delle scorte, analisi dei flussi in cucina. Strumenti che, se ben usati, liberano energie e aumentano l’efficienza. E attenzione alle piattaforme di delivery: “Sì, possono aiutare, ma bisogna evitare che si mangino il 30% dei tuoi guadagni. L’equilibrio è la chiave”. Dietro ogni piatto, ogni sorriso, ogni tovagliolo piegato con cura, deve esserci una mente imprenditoriale lucida. “Aprire un ristorante perché ami cucinare è nobile. Ma se non ci metti anche la testa da manager, non durerà”.

Tenere d’occhio le marginalità, conoscere i costi di ogni ingrediente, investire nella formazione e nella motivazione del personale. “Uno staff felice è un ristorante che funziona”. La squadra va coltivata come si fa con le erbe aromatiche: con attenzione, rispetto e cura costante. E ancora una volta, la tecnologia torna a essere alleata: dalla previsione della domanda alla gestione dei fornitori, ogni dato può trasformarsi in bussola. Non c’è una formula magica, dice Denny Imbroisi. Ma c’è una certezza: chi resta immobile è perduto. “Il mondo cambia, i clienti cambiano, i modelli cambiano. Bisogna sapersi rimettere in discussione continuamente”. Il ristoratore del futuro – e del presente – non può più essere solo un cuoco ispirato. Deve essere un narratore, un manager, un artigiano dell’accoglienza. E soprattutto, deve avere il coraggio di cambiare pelle ogni volta che serve. Perché, oggi più che mai, in sala si serve anche il coraggio.