Cadono nel 2022 i vent’anni a tre stelle dei fratelli Alajmo: li festeggiano al Calandrino con cicli di serate i cui menu ripercorrono i piatti storici del ristorante. Per un’esperienza che fa riflettere e godere, diverte e spiazza.
Il menu dei piatti storici del Calandrino
Tre stelle Michelin da 20 anni: i piatti storici de Le Calandre approdano al Calandrino
Quante volte, per ragioni anagrafiche o per semplice fatalità, il gourmet si è rammaricato di non aver assaggiato un piatto epocale, che mancherà per sempre dalla sua enciclopedia gustativa? La cucina, si sa, scorre veloce, ma non sempre quel “per sempre” vale. In occasione del ventennale delle tre stelle, per esempio, i fratelli Alajmo stanno organizzando presso il Calandrino cicli di serate, dedicate a menu di piatti storici, che consentono di colmare le lacune.
L’esperienza è straniante: i piatti sono presentati senza date, talvolta con leggerissimi ritocchi, talaltra intonsi. Che impressione faranno, a distanza di 20 anni, quando tecniche, concetti e palati sono inesorabilmente mutati? Torna in mente Picasso: “Non c’è passato né futuro in arte. Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non se ne deve assolutamente tener conto”. Nel senso che ognuno di quei piatti appare totalmente contemporaneo alle ultime creazioni servite dietro il passaggio alle Calandre.
Massimiliano Alajmo è un solista della cucina italiana. Non certo un autodidatta, date le esperienze ai vertici della scena mondiale e con mamma Rita, ma un cuoco che ha sempre coltivato la sua creatività in un compartimento tanto stagno alle mode del momento (e ne sono trascorse un bel po’), quanto permeabile alla cultura e alla vita. Ed è proprio lo stile che vince, filo rosso per cui transita l’elettricità di un’intelligenza inquieta.
L’avanguardia, qualcuno ha detto, se non si afferma nel tempo non è nulla. E oggi quei piatti all’apparenza ben poco avanguardisti, nell’ecumenica piacevolezza, disvelano il loro contenuto di rottura e di progresso, perfino di rivoluzione in nuce, sferzati come sono dal confronto con la contemporaneità, che ne polisce i contorni. Più recenti degli ultimi, praticamente di domani. Quale riprova migliore del motto della casa, “ciò che diventa, era”?
“L’idea è venuta a Raffaele”, racconta Massimiliano. “Stavamo programmando le serate, ma a lui non piacevano. Ripeteva che avremmo dovuto fare questo. Io ero titubante: avevo paura di deludere, perché se parli di tre stelle, è lecito aspettarsi un certo tipo di servizio, specie dovendo seguire contemporaneamente le Calandre. Il Calandrino poi ha una sua cucina, che per quanto recente non si presta a impiattamenti laboriosi. È finita che mi ha convinto e abbiamo scelto una serie di piatti stagionali, che fossero replicabili per il numero di coperti. Ed è stato curioso ripercorrere il libro In.Gredienti e ritrovare i gusti che frequentavo in quel momento: il modo per confermare o meno un pensiero o una filosofia, riconoscere un filo conduttore. Certo la tecnica in questo periodo è evoluta, ma non è che un dettaglio".
"Alcune cose le ho ripensate, rivedendo le lavorazioni; altre le ho recuperate da quel periodo. Perché la cucina è qualcosa che ti avvolge, più che tecnica è vissuto, ed è bello ogni tanto ricatapultarsi in determinati ambiti per dialogare col passato. Noi abbiamo un nostro concetto di avanguardia. Non significa cancellare il passato o lanciare nuove traiettorie a prescindere, ma anche retroguardia, ovvero far convivere ciò che è stato con ciò che viene, trascinare qualcosa in avanti con un linguaggio che resti leggibile per tutti”.
I piatti
Cos’è, se non avanguardia, il guazzetto di acqua di vegetazione sul fondo del delizioso crudo di asparagi con le uova, presenti in forma di mimosa sui generis e maionese al dragoncello? “Ma allora non era un elemento di ricerca cosciente, solo l’embrione di un pensiero".
"L’asparago è semplicemente grattugiato come una carota, ma così perde la sua acqua, che diventa l’intingolo per condire il pane e l’insalata. È un modo diverso per vedere la stessa cosa, come un punto fotografico che mette in luce qualcosa che c’è, ma solitamente non cogliamo. Perché la potenzialità dell’ingrediente è talmente vasta, che non saremo mai in grado di abbracciarlo. Non ci resta che limitarci a fare il macro di un dettaglio per sprofondare in quel tipo di bellezza. L’asparago è prevalentemente acqua, che però sfugge nella degustazione routinaria”. Dove si segnala anche l’impiattato naïf, al limite della provocazione per i tempi.
Carne su carne è una stratificazione di carpaccio, battuta e crema di carne Cazzamali lavorata a freddo con acqua ed erbe aromatiche, dove le consistenze si fanno via via eteree, più cialda di pane e fiori per la sensazione di pascolo.
Non vi manca qualche reminiscenza della leggendaria tartara di papà Erminio, qui scomposta, con la crema per il legante del collagene estratto dalla lavorazione e la polpa che resta integra.
Già 20 anni fa Massimiliano magnificava la pasta secca, nello specifico gli spaghetti, qui conditi con i fegati delle seppie assaggiati per la prima volta nella cucina di Gennaro Esposito. L’eleganza insospettabile della frattaglia di mare, ottenuta con tecniche oggi ancora più sicure.
Il piatto del giorno però è sicuramente il risotto al fumo, unico signature rivisto, che dà modo di apprezzare un avanzamento che comunque c’è. “Tutto è nato dormendo in una camera spartana, senza comodino. Appoggiavo il mio bicchiere d’acqua vicino alla corrente e dopo qualche ora bevendo sentivo come un gusto elettrico. Così ho pensato che l’acqua potesse contenere altro, rispetto a infusioni o macerazioni, e ho iniziato a studiare l’affumicatura".
"C’è stata la pasta burro e fumo, dove il tagliolino era affumicato come il brodo; nell’antagonismo fra solido e liquido andava a fissarsi il fumo, facendo fluire la parte animante tra elementi più o meno fisici, anche senza materia. E il risotto, dove ora al posto della gelatina di brodo affumicato c’è un tofu vellutato, che con una lacrima di olio fissa l’aroma in modo straordinario, sul momento. Più il Parmigiano affumicato, un mix di spezie barbecue Patagonia, polvere di carbone e finocchietto bronzo”. Dove l’anello di cipolla fritta evoca il soffritto, ma anche l’osso del midollo, tremblotant e fondente come il tofu.
Più immediato e ludico il fish and chips alla veneziana con salsa senapata, birra al coriandolo e chips speziate, estratto dal capitolo tattilità. “L’idea era quella di rendere il cicchetto veneto internazionale, facendo vivere l’alta ristorazione nelle cose più semplici. Ricordo che all’inizio fui criticato da qualche giornalista per avere inserito ingredienti umili in menu, dove mancavano tartufi e capesante”.
Di nuovo spiazzante, per l’uso delle liquidita ma anche per l’impiego in pasticceria dell’aceto, poi ripreso molti anni dopo, il pan di babà con zuppetta di mela al cardamomo verde, olio e sorbetto di marasche, arricchito per l’occasione di una pasta di fiori di sambuco appena raccolti.
Dove l’aceto di lamponi, dall’espressione fruttata decisa, veicola alle narici i profumi floreali. Ed è un nuovo concetto di imbibimento per il pan di Spagna ipermorbido, che intendeva emulare le guanciotte della primogenita appena nata. “Un omaggio ad Adele, come un bouquet di aromi”.
Omaggio che ricorre nel cappuccino al contrario estratto dal Gioc’Adele, percorso dal ciuccio alla pipa ispirato alle fasi della vita umana, dove la medesima modalità di fruizione chiude il cerchio. “Parla della bellezza di bambini e anziani, che condividono lo stesso sguardo, parlano poco ma comunicano molto”. In pratica il cremoso di cioccolato bianco è innaffiato di crema di caffè, per un concerto di cremosità aromatiche.
Foto di Lido Vannucchi
Indirizzo
Il Calandrino
Via Liguria 1- 35030 Rubano (PD)
Tel: +39 049630303
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