Lo chef procidano in meno di due anni dall’inizio del progetto ha creato un’insegna solida e matura, per un percorso culinario che va al di là del cibo, riflettendosi nel valore dell’esperienza e nello studio dei popoli.
Foto di Letizia Cigliutti e Mary Ianniciello
Lo chef
Quando si abbandona l’iconica sala in stile ottocentesco che ospita il ristorante Sustànza all’interno di ScottoJonno, palazzo gastronomico all’interno della rinnovata Galleria Principe di Napoli, si ha l’idea più che nitida di aver assistito a un’esperienza unica nel suo genere. L’insegna fine dining dello stabile riportato in vita dall’imprenditore Luca Iannuzzi ha la fortuna – oltre quella di avere al suo interno opere d’arte, pezzi di antiquariato e arredamenti in stile Art déco per un restyling che porta la firma dell’artista Eugenio Tibaldi – di essere guidata da Marco Ambrosino, chef partenopeo nel pieno della sua maturità culinaria.


Una maturità che va oltra la tecnica e la conoscenza degli ingredienti, perché il cuoco originario di Procida è uno studioso e un creativo, amante dell’antropologia umana e curioso di andare a indagare quei popoli che per secoli hanno abitato il Mediterraneo, bacino geografico protagonista della sua cucina. Le diverse culture di questa regione che hanno influenzato la penisola italiana, sono il filo conduttore dei piatti di Marco Ambrosino, che dopo i 10 anni milanesi trascorsi al 28 posti, è tornato vicino alla sua terra natia desideroso di portare a Napoli qualcosa di nuovo e di sfidare così la tradizione, termine “sacro” e indissolubile in ogni quartiere della città.


“Nella ristorazione napoletana c’è questo ingombro enorme che definisco pseudo-tradizione – racconta lo chef –, anche se non è facile trovare in città un indirizzo dove mangiare veramente bene le ricette che hanno fatto la storia gastronomica della città”. Una sfida che lo chef ha affrontato con dedizione sin dall’apertura di Sustànza nel 2023 e di cui oggi non si pente: “Napoli non è una città facile, ma rispetto ai miei inizi in cucina la trovo molto più aperta al cambiamento. Nonostante ciò è difficile far capire le mie idee al pubblico napoletano, infatti la maggior parte dei clienti è straniera oppure viene da fuori regione” commenta Ambrosino.

Scottojonno
Se l’esperienza più esclusiva si compie al primo piano di ScottoJonno, al piano terra va in scena la proposta più informale del bistrot da abbinare ai drink che caratterizzano l’offerta dell’Archivio Storico, cocktail bar dove la mixology è pensata da Mirko Lamagna che trasforma i racconti più famosi di Napoli in ricette liquide, alcoliche o no, da gustare nelle sale interne o all’esterno, al riparo della volta della Galleria Principe di Napoli. Un luogo che riporta gli ospiti alla Belle Époque del 1800, quando un tempo questi spazi erano di proprietà di Vincenzo ScottoJonno – a cui l’attuale proprietario Luca Iannuzzi ha dedicato il nome del progetto –, anche lui procidano come Ambrosino, che in questo luogo ameno accoglieva letterati e artisti.


Un passato che rivive ancora oggi grazie alla proposta enogastronomica sia di Sustànza che del bistrot: un indirizzo che oltre al bravissimo Marco Ambrosino può contare anche su Federico Andreini, giovane pastry chef classe 1996 che con il cuoco condivide la passione per la storia e per quei popoli mediterranei che hanno intriso positivamente la nostra cultura.

I piatti
Prima di sedersi a tavola ci si accomoda in un piccolo salottino dove il palato viene riscaldato da un Tonico homemade intriso di spezie mediterranee e un infuso ai chiodi di garofano, accompagnato da un Cubetto di melone bianco in infusione di aceto di riso con lime, pepe e foglia di cappero e un Waffle con farina e hummus di ceci. L’intenzione è chiara: abituarsi alle spinte acide dei piatti che sono una delle cifre stilistiche di Marco Ambrosino. Finiti i convenevoli la degustazione prosegue in una delle sue sale dove grandi tavoli rotondi riempiono gli spazi. L’amuse-bouche è un Flan di verdure con miso, olive, misticanza e olio siciliano, con i camerieri che esortano alla scarpetta con il danubio fatto in casa – la cui fragranza fa tornare bambini – mentre il Macaron burro e alici lascia ottime sensazioni palatali.

Il primo antipasto è un Consommé con verdure di stagione, in conserva e fermentate. Un piatto che racconta già molto della filosofia di Sustànza perché è un brodo rinnovato ogni giorno con le verdure fresche, in quanto la sua preparazione risale all’apertura del ristorante. Un “metodo solera” applicato al vegetale, per un risultato notevole. Il Carciofo alla brace, tartufo nero, olive, cucunci, bitter contadino e noce Moscata è una portata fatta di tanti momenti e sapori differenti, con una perenne spinta acida voluta e cercata. La curiosità? Il tartufo non è a scaglie ma “sacrificato” nel brodo per nobilitare il piatto.

È sempre la brace che caratterizza l’Ostrica glassata con finocchio fermentato alle rose e condita con scalogno, maionese alle ostriche, finocchio di mare, vino di pane fermentato e olio al lentisco. Originale e concettuale, questa creazione è un’altra dichiarazione d’intenti di Ambrosino: da Sustànza non c’è nulla di pronto messo a tavola, la manipolazione degli ingredienti è un mantra.

L’ultimo degli antipasti fa palpitare il cuore: Chiaiozza, uno dei signature dello chef, è un crudo di cannocchie ricoperto da un’insalata di cavolo cappuccio grigliata, olio al pino marittimo, nero di seppia e gelato al riccio di mare. Un omaggio alla famosa insenatura di Procida, dal gusto intenso e goloso, che con i suoi sentori iodati ricorda una passeggiata in riva al mare. É intrisa di storia la Minestra di pasta e pane macerato, cipresso, sgombro marinato, moretum di mandorle, olio di argan e aceto di pasta. Il moretum è infatti una preparazione inventata dai romani per conservare il cibo – pratica spesso utilizzata dai marinai sulle navi – che viene preparata al momento e mescolata insieme alla pasta mista cotta al chiodo. Una preparazione essenziale, dove il racconto al tavolo è parte integrante dell’esperienza.



Pecora e agnello sono i protagonisti del secondo piatto, Transumanza, due ingredienti che raccontano il modo di mangiare di diversi popoli, dalla Spagna fino al Medio Oriente, luogo in cui la convivialità è un altro aspetto fondamentale dello stare a tavola. Si comincia dalla Spalla di agnello con fondo di stracotto di pecora e quenelle di ceci e rapa per poi passare al Burek farcito con agnello e pecora e glassato con riduzione di succo di melograno. Nel mezzo un Bouquet aromatico arricchito da una polvere di carne di pecora cruda marinata ed essiccata; a chiudere i diversi assaggi le Crépinette con interiora di agnello e kimchi di torzella. Un viaggio culinario intriso di storie di Paesi differenti, da godere step by step.

Il dialogo con il Mediterraneo continua con i sorprendenti dolci di Federico Andreini. Tra questi il Mare Clausum che analizza il concetto politico di tale fenomeno. “Nel 1600 c’erano lunghi periodi in cui la navigazione era interdetta e le navi restavano bloccate in porti lontani – racconta il pasticcere –. I prodotti alimentari trasportati dalle imbarcazioni iniziavano così a scendere dalle navi, e a mescolarsi con quelli delle città costiere, generando contaminazioni e trasformazioni culturali profonde." Ed è un Raviolo di Marzapane a racchiudere l’essenza di questo pensiero, composto da mandorle verdi e ripieno di erbe di Costiera, glassato con la baharat (salsa marocchina) e bagnato con brodo di alghe, olio di pino marittimo e granita di Amaro Mediterranea, un’estrazione a freddo di limoni e spezie.

Contatti
Sustànza
Galleria Principe di Napoli, 13, 80135 Napoli
Telefono: 0813795766