Con ben 94 ristoranti sparsi tra Regno Unito, Stati Uniti, Dubai e Singapore, Ramsay non si è mai accontentato di essere semplicemente uno chef.
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La notizia
Gordon Ramsay non è solo uno chef, ma un’icona globale della gastronomia. Con oltre trent’anni di carriera alle spalle, il suo nome brilla, oltre le cucine stellate, anche sul piccolo schermo e nei consigli d’amministrazione delle sue aziende. Il segreto? Una visione imprenditoriale ferrea e un’incessante ricerca dell’eccellenza. In un’intervista a Forbes, il cuoco britannico ha ribadito con il suo classico piglio diretto: “Puoi essere uno degli chef più talentuosi al mondo, magari con 3 stelle Michelin, ma se non riesci a trasformare questa abilità in soldi sei solo un idiota. Dietro ogni cuoco di successo serve una mente imprenditoriale, ma in genere non siamo bravi a gestire le aziende. Siamo troppo lassisti”. Del resto, è proprio questa mentalità che lo ha portato a creare un impero gastronomico dal valore stimato di un miliardo di dollari.

Con ben 94 ristoranti sparsi tra Regno Unito, Stati Uniti, Dubai e Singapore, Ramsay non si è mai accontentato di essere semplicemente uno chef. Il suo ultimo progetto, il ristorante al 22 Bishopsgate di Londra, è la dimostrazione più tangibile della sua ambizione. Situato all’interno del grattacielo più alto della città, questo spazio non è solo un ristorante, ma un’esperienza: include locali come il Lucky Cat, il Restaurant Gordon Ramsay High e la Gordon Ramsay Academy, con l’intenzione di espandersi ulteriormente con un nuovo Bread Street Kitchen. Un’operazione da 25 milioni di dollari che, come ogni grande investimento, porta con sé rischi. Ma Ramsay non si lascia scoraggiare: le prenotazioni hanno già toccato quota 20.000 e il ristorante riceve circa 1.000 chiamate al giorno. “Abbiamo dovuto affrontare una concorrenza spietata per ottenere questo spazio. Non avrei mai immaginato di avere i fondi o il pubblico per realizzare una cosa del genere. A dire il vero, è un sogno che si avvera”, ha dichiarato.

Uno dei pilastri della sua strategia è la capacità di parlare a clienti diversi. Il suo ristorante a Chelsea ha mantenuto tre stelle Michelin per oltre vent’anni, ma Ramsay ha saputo attrarre anche i fan della cucina più accessibile grazie a format come Hell’s Kitchen. A Las Vegas, il suo Beef Wellington è diventato leggenda, con orde di visitatori pronti a mettersi in fila per assaggiarlo. Il suo progetto Lucky Cat, invece, è un omaggio alla contaminazione tra alta cucina e tradizione giapponese, ispirato alla sua esperienza con Joël Robuchon a Parigi. “Ricordo di aver lavorato con il defunto Joël Robuchon, e quello che ho visto era iconico. Fu la prima volta che assistevo a una fusione tra la cucina asiatica e l’alta gastronomia”, ha raccontato lo chef. Il primo Lucky Cat, aperto a Mayfair nel 2019, ha riscosso un successo tale da spingere Ramsay a replicarlo a Miami, dove le prenotazioni sono sold-out settimane prima. Essere sotto i riflettori, però, significa anche dover affrontare polemiche. Lucky Cat, per esempio (al centro di un dibattito pure per gli oggetti rubati dagli ospiti in sala) è stato bersaglio di critiche per la sua presunta mancanza di autenticità. Ramsay ha replicato con fermezza, sottolineando che il talento conta più dell’origine: “Non è una questione di etnia o provenienza. Se sei bravo in quello che fai, meriti rispetto”.

Anche il 22 Bishopsgate non è stato esente da problemi: tra furti e comportamenti scorretti dei clienti, lo chef ha dovuto fare i conti con situazioni complesse. Ma la sua filosofia resta chiara: “Ora ho la pelle dura come quella di un rinoceronte. Mi punzecchiano e mi sfidano di continuo, ma il segreto è non abboccare e concentrarsi sul lavoro”. La trasformazione da chef a magnate della ristorazione non è stata indolore. Nel 2010, Ramsay si è trovato a dover ristrutturare la sua azienda a seguito di problemi finanziari legati alla gestione del suocero. Ha dovuto assumere il controllo totale della Gordon Ramsay Holdings, diventando CEO, CFO e direttore operativo. “Ho dovuto ricostruire tutto. Ho dovuto imparare a leggere un bilancio e capire profitti e perdite”, ha spiegato. Nel 2019, per spingere la crescita del suo marchio negli Stati Uniti, ha stretto un accordo con Lion Capital, ottenendo un investimento di 100 milioni di dollari.

Sebbene il suo volto sia ormai conosciuto in tutto il mondo, Ramsay non si considera una celebrità nel senso classico del termine. “Non ho scelto di essere famoso, ho scelto di essere impegnato. Ho scelto di padroneggiare il mio mestiere”, ha dichiarato, ribadendo che la televisione è solo una parte del suo percorso, ma non il suo obiettivo finale. E così, mentre il suo impero cresce, Ramsay continua a dimostrare che dietro la cucina c’è molto di più: strategia, rischio, visione e una buona dose di determinazione. E se c’è qualcuno che può trasformare un piatto in un business globale, è proprio lui.