Il pizzaiolo campano porta mezzo mondo nella sua pizzeria a Caiazzo, in provincia di Caserta. Abbiamo provato a capire quale sia il motivo, oltre alla pizza.
È un compito arduo quello di descrivere chi brilla nel firmamento della gastronomia; specialmente quando si tratta di cibo, dove il palato è un regno di soggettività e ogni boccone racconta una storia diversa. A me una cosa può piacere, a te può non piacere, è complicato trovare un’oggettività. Per questo motivo, in questo resoconto mi concentrerò sulle idee che circondano il prodotto, piuttosto che sul prodotto stesso. A inizio anno ho avuto occasione di sedermi a uno dei tavoli di Pepe in Grani di Franco Pepe a Caiazzo. Il pizzaiolo campano non ha di certo bisogno di una mia presentazione, il noto gastronomo e premio Pulitzer Jonathan Gold, scomparso nel 2018, su Food&Wine, ammise “probabilmente ho mangiato la migliore pizza del mondo da Franco Pepe”. Questo per citare solo uno dei tanti riconoscimenti ricevuti a livello internazionale nel corso della sua carriera.

Ne avevo sempre sentito parlare, avevo visto il documentario che gli ha cucito addosso Netflix, ma vivere l'esperienza e cercare di capire dalle sue parole quale sia effettivamente la sua idea di pizzeria e di pizza, è un'altra cosa. Scambiando qualche chiacchiera con lui, l’impressione è che sia un po’ “scocciato” dal fatto che molti addetti ai lavori parlino e scrivano della sua pizzeria per sentito dire, senza effettivamente averci messo piede né aver assaggiato le sue pizze. La sua idea è che si debba provare, conoscere, per parlare di qualcosa, stessa cosa valida per chi negli anni gli ha chiesto di collaborare. Come accaduto con il proprietario de L’Albereta, che venne a Caiazzo a toccare con mano e palato prima di riuscire a portare alcune ricette di Pepe in Franciacorta con il format La Filiale. Ricette che si potranno trovare anche nei due pop up estivi al Capri Palace nell’isola campana e anche nel resort 7Pines in Costa Smeralda.

Il viaggio
Iniziamo dal viaggio. Caiazzo è una cittadina di poco più di 5mila abitanti, arrampicata su una piccola collina a 200 metri sul livello del mare, in provincia di Caserta. I mezzi per raggiungerla sono due: l’automobile - usata dai più - e (mezzo che ho scelto) uno dei pochi treni che arrivano dalla città della Reggia - devo dire puntuali, in barba al caos ferroviario nazionale di questi mesi. Inutile negare che Pepe in Grani è diventato, negli anni, l’attrazione della città. Che sia per i forestieri o per i locali. Si trova in un ex rudere abbandonato, ripreso e trasformato da Franco Pepe e il suo team in una scatola magica. Non mi viene in mente definizione migliore, perché il locale è pieno di cassetti (sale) e sorprese che non ti aspetti.

Per arrivarci dalla piccola stazione - un binario! - si percorre il centro fino a infilarsi in un vicoletto in discesa, con delle scale molto ripide e a gradoni lunghi. Ci si accorge di essere arrivati quando si nota una piccola fila davanti alla porta. Era inizio gennaio e il locale era pieno: posso immaginare che in alta stagione la fila possa essere più corposa, anche se il sistema di prenotazioni è stato reso più efficiente per evitare le lunghe attese del passato e far vivere al meglio l'esperienza al cliente, che solitamente ha percorso (più o meno) chilometri per arrivare.

La stella che brilla, ma che non c’è
Resta appunto stupefacente la capacità di Franco Pepe di portare qui persone da tutto il mondo per mangiare la sua pizza. Mettersi in macchina o prendere uno o più treni, se non un aereo, per raggiungere un paesino così piccolo non è una cosa scontata, fino a poco tempo fa, si pensava che ciò fosse riservato solo agli stellati Michelin - non è un caso che i tre stelle siano definiti dalla Rossa come ristoranti “che valgono il viaggio”. E a proposito di stelle, tra i tanti che hanno messo piede qui negli anni ci sono anche grandi chef. Tra gli ultimi, Alain Ducasse. Con il suo aereo privato, ha fatto un’andata e ritorno Parigi - Napoli in giornata. Voleva vivere l'esperienza completa dopo essere rimasto colpito dalla pizza di Pepe in un evento esterno.

Fino a pochi anni fa era impensabile che i pizzaioli potessero dialogare con l’alta cucina, per Franco - guai a chiamarlo ‘maestro’ - questo è dovuto al cambio generazionale e di mentalità dei pizzaioli che hanno compreso l’importanza degli ingredienti usati per condire la pizza, allargando l’orizzonte oltre il solo studio dell’impasto, acquisendo sapere dagli chef. Tuttavia, per lui, la vera arte sta nel non stravolgere la pizza con eccessi, ma nel celebrare la sua essenza popolare, evitando di appesantirla con condimenti troppo elaborati.

La scatola magica
Il locale si sviluppa su tre piani: al piano terra troviamo subito la cucina, con due forni attivi e un caos controllato di un ristorante in pieno servizio. Sullo stesso livello ci sono due sale; per la prima non trovo definizione migliore di “una pizzeria”, il suo rumore, il suo vociare, niente fuori dalle righe ma una situazione super conviviale. Subito accanto una sala-veranda - che con la luce d’estate deve essere sensazionale - aperta nella bella stagione con altri tavoli disponibili all’aperto. Qui l’atmosfera sembra meno caotica, probabilmente per la minore densità di tavoli.

Salendo di mezzo piano ci si imbatte in una sala privata che può accogliere fino a 10 ospiti; completando la salita al secondo piano ci si imbatte ancora due sale, una in particolare colpisce l'occhio. O meglio uno dei suoi tavoli: è di vetro trasparente e ha il suo centro esattamente sopra la bocca del forno al piano terra, e tramite una sorta di oblò si possono vedere gli addetti all'opera. Così come si possono vedere nell’altra sala allo stesso piano dove sono proiettate live le immagini dalla cucina - forse è una scelta po’ kitsch ma fa il suo effetto. Sullo stesso piano troviamo la sala degli impasti, dove solo 4 o 5 persone portano avanti il lavoro - rigorosamente a mano - con un blend di farine personalizzato Zero Pepe, con una maturazione a temperatura controllata in cassette di legno. Un unico impasto utilizzato per tutti i tipi di cottura e per tutti i prodotti: forno, fritto, salato, dolce.


Salendo ancora di mezzo piano si trova una terrazza con 5-6 tavoli, perfetta per le serate estive. Arrivati all’ultimo livello, dietro una delle tre porte, troviamo Authentica: una sala con un'esperienza nell'esperienza. Qui c'è un bancone vista forno a legna, dove Franco Pepe prepara e sforna un menu degustazione per un massimo di 8 ospiti, per un momento più intimo e colloquiale, praticamente faccia a faccia con il cliente. È qui che Ducasse e altri nomi della cucina si sono seduti, ne trova testimonianza la parete con le firme dei grandi nomi della ristorazione mondiale.

Le altre due porte del piano sono due stanze per gli ospiti. Un modo per completare l’offerta e per concepire la pizzeria, non come un momento rapido - un fast food - ma come una vera e propria locanda. L’idea è dare la possibilità al cliente di rallentare e far assimilare l’esperienza vissuta passando la notte nello stesso edificio che fino a qualche ora prima brulicava di persone ed energia. Le stanze sono molto minimal ma con tutti i comfort del caso, unica pecca al momento è il servizio di colazione assente, ma sostituito con un voucher utilizzabile in uno dei bar cittadini.

È (anche) questo il segreto?
Ciò che rende unico il modello Pepe in Grani è l’intuizione di Franco di aver diviso la figura del pizzaiolo in diversi ruoli. In questo modo il carico di lavoro che storicamente è sempre stato sulle spalle di un'unica o pochissime persone, viene ripartito tra diverse squadre: impastatori, pizzaioli, cuochi fino al controllo prima dell’uscita in sala; è così che la qualità del lavoro e dunque del prodotto finale può crescere. Anche le figure di sala rivestono un ruolo fondamentale - portare in tavola un complessivo di quasi 1000 pizze a sera non deve essere compito semplice, dovendo mantenere anche uno standard di racconto elevato, senza però arrivare all’invadenza, o al contrario alla sufficienza.

Figura importante all’interno di questa scatola magica è anche quella del sommelier - sono ben 4! - il padrone di casa tiene molto a questa figura, al suo lavoro, e ad avere una carta dei vini ben costruita, perché è proprio il vino ad avergli cambiato prospettiva sulle potenzialità del mondo della pizza. Galeotto fu un incontro del 2005 con Luigi Veronelli che per la presentazione di un vino gli propose di abbinare una delle sue pizze - il calzone di scarola riccia. Sono tanti i momenti che Franco mi ha raccontato con l’occhio di chi sta raccogliendo risultati dopo un lungo percorso professionale e personale, e fa quasi commuovere quando mi racconta di quella volta che ha preparato pizze al “Carrousel du Louvre” (sono andato a cercare, era il 2014!) - dove ha compreso la necessità di adattarsi utilizzando un forno elettrico.
A tavola!
Sì va bene, ma le pizze? Ho scelto il menu degustazione che comprende un fritto, un cono e 5 tranci diversi (€45, comprensivo di 2 dolci), è l'opzione mediana, ci sono altri due percorsi degustazione (€35 e €65), oltre alla carta. Ah dimenticavo, tra le varie modalità di fruizione, oltre alle diverse sale, c’è anche l’asporto.

Credo sia doveroso sottolineare che alcune pizze del menu alla carta del menu rientrano nel progetto 'Pizza Mediterranea' in collaborazione con AIRC, mirato a presentare la pizza come un piatto equilibrato e salutare. Le sette pizze coinvolte “oltre alla mediterraneità rispondono ed incarnano tutti quei principi di sana alimentazione promossi da sempre dalla Fondazione”. Se tra uno, tre o cinque anni mi dovessero chiedere cosa mi ricordo metterei in cima due preparazioni diverse: la prima è la Margherita sbagliata che nasce per esaltare il pomodoro riccio di Caiazzo, mantenendo inalterato il valore nutrizionale. Questa tonda sembra un quadro: in cottura mozzarella di bufala campana Dop, mentre in uscita viene aggiunta la passata di pomodoro riccio cruda e una riduzione di basilico.

La seconda che porterò con me è un ricordo di famiglia per Franco Pepe, il calzone ripieno di scarola riccia, ricetta del padre Stefano. Una preparazione tradizionale portata nel presente con dei piccoli accorgimenti tecnici come il non bucare il calzone, che diventa così un “forno a vapore” per la verdura inserita da cruda.

Conquisterà spazio nei ricordi anche il conetto Ciro con una fonduta di Grana Padano, pesto di rucola e polvere di oliva caiazzana. Il pensiero è stato “portamene altri dieci”. Dunque, Pepe in Grani vale il viaggio? Decisamente sì. E ne vale altri dieci.
Contatti
Pepe in grani
Vicolo S. Giovanni Battista, 3, 81013 Caiazzo CE
Tel: 0823 862718