Chi avrebbe potuto immaginare, non fosse altro due lustri fa, di vedere un giorno un album dei fuoriclasse dell’hôtellerie e della ristorazione impegnarsi in prima linea sul fronte della protezione e dello sviluppo di ogni singolo ecosistema? Oggi il circuito Relais&Chateaux, dislocato in cinque continenti e più di 580 stabilimenti, insegna che il lusso non può più essere solo un’isola felice. Il bilancio per il settantesimo compleanno dell’associazione attraverso il racconto di Mauro Colagreco, intervistato da Andrea Petrini.
Foto di copertina di Matteo Carassale
RELAIS & CHATEAUX
Sembra ieri, ma oggi è già dopodomani. Appena soffiata la candelina del settantesimo compleanno i Relais & Châteaux alzano la posta. Mirando al lungo termine, per esigenza e ambizioni. Lontani sono le battesimali giornate del 1954 quando la guida riuniva, lungo la francofona “Route du Bonheur”, otto stabilimenti campestri, ai margini della Nazionale 7 collegante Parigi alla Costa Azzurra. Hotel famigliari e ristoranti rigorosamente solo di chef patrons – preliminare pegno di dedizione e qualità. Da quei tempi andati, la guida ha consolidato, per raggio d’azione, un’indiscussa influenza planetaria. Mettendo a fuoco, tramite ferrei criteri di selezione tutta un’arte dell’accoglienza e dell’eccellenza a tavola, quanto di meglio esiste sulla stratosfera del lusso per cinque continenti e più di 580 stabilimenti. E altrettanti percorsi nell’immaginario all’altro capo da sé. Ma nel 2025 il lusso non è più, non può più essere solo un’isola felice. È anche impegno, progetto di solidarietà, missione culturale aperta sul mondo.
Già in tempi non sospetti, nel 2010 i Relais & Châteaux, allora sotto l’impulsione del cuoco corsaro Olivier Roellinger a Cancale (Bretagne), erano scesi in campo per la salvaguardia dell’ambiente marino. Lanciando una campagna per l’astensione, in tutti i ristoranti affiliati, dall’utilizzazione del tonno rosso del Mediterraneo in via d’estinzione. Una presa di posizione che fece scalpore e anche scuola, introducendo nel mondo dall’alta gastronomia l’inedita nozione di responsabilità ambientale e sociale. Di che prendere le redini d’un movimento saturnino, seppur ben poco piramidale che dalle più altolocate sfere trovò il suo giusto riflesso nel commitment delle giovani generazioni.
Chi avrebbe potuto immaginare, non fosse altro due lustri fa, di vedere un giorno un album dei fuoriclasse dell’hôtellerie -e della ristorazione- impegnarsi in prima linea sul fronte d’un turismo durabile, della protezione e dello sviluppo di ogni singolo ecosistema, e delle tradizioni culinarie? Il tutto sotto l’egida dell’Unesco per una collaborazione dal lungo corso per fare fronte insieme al declino della biodiversità, sostenendo le culture rigenerative e gli ecosistemi marini, incentivando il benessere degli animali d’allevamento e riducendo drasticamente la propria impronta carbone. Un insieme di buone pratiche e di misure ambientali presentate per un protocollo votato all’unanimità all’ultimo congresso dell’associazione, tenutosi in assemblea plenaria a Parigi lo scorso novembre. Di che impegnare tutti i membri al rispetto del contratto disciplinare ad orizzonte 2040 per far fronte comune al Global Warming.
Ne parliamo con Mauro Colagreco, chef del Mirazur di Menton che non ha più bisogno di presentazioni, nonché emerito Good Will ambasciatore all’Unesco per la promozione della biodiversità e vicepresidente militante dei Relais & Châteaux.
In che anno hai integrato come nuovo membro i Relais & Châteaux e quanto da allora è cambiata l’associazione?
Tanto. Tantissimo. Io entrai nel 2012, appena sei anni dopo l’apertura del Mirazur, data che coincise con l’arrivo della seconda stella Michelin. All’epoca era già la più prestigiosa organizzazione di hotels sulla scena internazionale anche se restava, nonostante le sue tante ramificazioni internazionali, diciamo molto franco-centrica, almeno culturalmente. Oggi, con non meno di cinquantasette paesi rappresentati, è molto più a 360 gradi, offre uno sguardo più preciso e affilato su una concezione contemporanea del turismo e della cucina nel mondo. Per me il vero cambiamento iniziò col volontarismo di Olivier Roellinger che spinse per rimettere la cucina, nelle sue più diverse sfaccettature, al centro dell’organizzazione. Interrogando il ruolo del cuoco all’alba del ventunesimo secolo alle prese con tutti gli imperativi ecologici e la necessaria presa di coscienza del ruolo che la cucina può giocare per modificare gli equilibri attuali. In particolare, la salvaguardia della biodiversità.
Come si diventa membro dei Relais & Châteaux? E perché hai deciso di diventarlo?
Perché nel 2012… mi son venuti a cercare loro. Ero ancora un novizio, il Mirazur iniziava appena ad essere riconosciuto. La cosa mi lusingò e non poco, probabilmente Roellinger vide nella mia cucina marina attenta alla dimensione vegetale un’etica creativa condivisa da tanti altri, più o meno della stessa generazione, basti pensare in Francia ad Alexandre Gauthier della Grenouillère, a Laurent Petit allora al Clos des Sens di Annecy. O a Alexandre Couillon a Noirmoutier che proprio quest’anno ha integrato la nostra associazione. Per tradizione, i ristoranti che vengono da noi sollecitati, oltre a corrispondere a dei criteri d’eleganza, di confort e di savoir-faire culinario, devono possedere almeno due stelle Michelin.
Se dipendesse solo da me, e parlo a titolo strettamente personale, io farei saltare questa barriera. Più ancora delle stelle, quel che mi preme è il ruolo, la vera forza propulsiva che uno chef può esercitare nel suo territorio mettendone in luce le ricchezze, le particolarità, le poste in gioco per salvaguardare i produttori locali nel rispetto della natura. Dovessi citare due possibili candidati, ognuno specchio del proprio paese e territorio, che potrebbero apportare del sangue nuovo al nostro gruppo, mi sembra ovvio di pensare a due colleghi che stimo tantissimo, Ana Roš col suo Hiša Franko a Kobarid in Slovenia e Nicolaj Nørregaard, lo chef di Kadeau a Copenaghen. Ma potrei fare tanti altri nomi (1).
Tra le varie sedute di lavoro presentate all’ultimo congresso ci fu anche l’esortazione ufficiale ad evolvere congiuntamente verso dei menu il più possibile vegetali.
Certo, ma intendiamoci bene. Io sono argentino, vengo da un paese che è il più grande consumatore di carne al mondo. Non milito per la soppressione pura e semplice della carne dalle nostre carte e menu. Capisco pure che la nozione di cucina “plant based” possa sembrare troppo radicale, almeno al momento attuale. Non dimentichiamoci che andare a mangiare nei nostri stabilimenti deve essere innanzitutto un momento di piacere, di convivialità e condivisione di sapori. Eppure son straconvinto che privilegiare progressivamente l’opzione vegetale non solo corrisponde a dei cambiamenti che hanno già libero corso nella nostra società e sono già accettati da tanti clienti – non si mangia più come trenta anni fa – ma permette di aprire ancora di più il campo della creazione. Non dico stop alla carne ma solo al predominio delle proteine che possono invece dialogare più proficuamente con verdure, legumi e altre forme nutritive. Facciamo appello al buon senso: se hai uno stabilimento in montagna perché far venire sogliole, triglie e astici da porti lontani quando puoi utilizzare pesci di fiumi e di laghi di una accorta rete di pescatori locali che puoi contribuire a sostenere finanziariamente?
Il giorno in cui venissero a scomparire sarebbe una perdita enorme per la diversità culturale e economica dei nostri territori. Se sei in Bretagna e hai accesso ai magnifici agnelli dei Prés Salés che senso ha importarne dalla Nuova Zelanda o del Wagyu Beef dall’altro capo del mondo? Il mondo del lusso è cambiato, deve ancora cambiare, e tanto, ma può già permettersi di essere una luce, un faro, un esempio che altri possono seguire. Quando vedo che anche in Cina, fino a poco fa un mercato poco sensibile alle tematiche sulla sostenibilità e un’alimentazione più accorta, un giovane cuoco come Gary Yin ha fatto del suo King’s Joy a Pechino un ristorante fine dining d’avanguardia e 100% vegetariano, plebiscitato da una clientela non solo internazionale ma anche locale, mi dico che i margini di manovra sono veramente grandi. Allora rimbocchiamoci le maniche.
Vuoi dire che non vedi più resistenze in atto contro il cambiamento?
Le resistenze ci sono, ma non vengono tanto dai clienti, anzi, semmai da certe frange della corporazione. Nel 2010 abbiamo lanciato l’allarme sul tonno rosso del Mediterraneo in via d’estinzione. Oggi, l’anguilla rischia la stessa sorte, per questo con i R&C spingiamo per una moratoria di almeno una decina d’anni se non vogliamo vederla scomparire dal nostro repertorio culinario. Cosa sono dieci anni rispetto a questa possibile incommensurabile perdita? Ebbene, l’amico Pedro Subijana, il grande cuoco tre stelle di Akelare da lustri prestigioso membro della nostra associazione, si è fatto il portavoce dell’iniziativa. Ritrovandosi sotto il tiro incrociato di violentissime critiche di tanti esponenti del mondo della ristorazione non solo dei Paesi Baschi ma un po’ attraverso tutta la Spagna. Incredibile ma vero.
E’ cambiato il modo di mangiare, d’accordo – ma quello di viaggiare? Come controbilanciare l’impronta carbone prodotta dal turismo transcontinentale?
Anche per questo settore i cambiamenti sono di fondo, e coinvolgono ovviamente in prima linea i Relais & Châteaux. Seppur consapevoli dell’impatto dell’impronta carbone non si può rinunciare in toto al piacere del viaggio, ma lo si fa in modo più consapevole. Le richieste, le aspettative sono sempre più alte. Viaggiare si, eventualmente anche meno, ma scegliendo sempre più oculatamente. I nostri migliori clienti desiderano qualcosa in più, una visione, una singolarità mai forzata, una linea narrativa affermata. Avere la certezza d’uno standing d’accoglienza elevato ai giorni nostri non basta più. Desideriamo, e qui parlo pure a nome del nostro presidente Laurent Gardinier totalmente investito nella definizione del nostro approccio al futuro, che il pubblico privilegi i nostri stabilimenti anche per la trasparenza manifesta sul nostro impegno per la causa ecologica Ma non è tutto. Oggi dobbiamo oltrepassare i vecchi modelli, pensare alle tante diverse esigenze, non solo a quelli che viaggiano in coppia o in famiglia, con o senza bambini, con i cani o addirittura da soli, personalizzando al massimo per ciascuno l’offerta. Il viaggio, un soggiorno nelle nostre sublimi località fuori dai circuiti battuti, più che una mera vacanza di qualche giorno deve offrire la possibilità di diventare una full immersion, una vera esperienza culturale.
Anche per questo quella che da anni era comunemente chiamata la guida dei Relais & Châteaux è diventata un Travel Book, pubblicazione annuale con reportage e inchieste d’alto livello redatte da grandi firme del giornalismo internazionale. Dove la posta non è tanto, o non più solo, mettere in luce l’attrattività dei nostri stabilimenti quanto la dimensione olistica dell’esperienza R&C. Vi rendiamo conto delle tante iniziative intraprese, penso al sodalizio con l’Unesco col quale abbiamo un importante progetto di riforestazione. Non posso annunciare adesso in dettaglio tutte le misure, saranno svelate poco a poco. Col nostro Sustainability Commitment al quale tutti gli aderenti hanno sottoscritto lavoriamo sul medio e sul lungo termine. Faccio un esempio: ci impegniamo tutti, per il rispetto della biodiversità in tutti i cinque continenti, sostenendo i produttori locali selezionati ad un massimo di due ore dai nostri stabilimenti, dei quali ci impegniamo ad acquistare regolarmente, per tutto l’anno o secondo la stagionalità, la loro produzione di cultura strettamente biologica. Non è del blablà, sono invece delle misure concrete, verificabili empiricamente. Che possono produrre dei grandi cambiamenti. Il turismo evolverà e non smetterà di mutare spinto da tante convergenti esigenze: con l’arrivo di nuovi stabilimenti, dal nord America all’Egitto passando per l’Asia, l’Africa, i Caraibi ma anche l’Himalaya, Tel Aviv, la Transilvania o addirittura un’isola privata nel Botswana, un sito unico al mondo iscritto al patrimonio mondiale dell’Unesco, arricchiamo la diversità della nostra proposta.
E, seppur nei limiti di hotel e ristoranti d’altissimo livello che, per motivi di costi, sfortunatamente non possono essere accessibili a tutti, vogliamo batterci per essere i più inclusivi possibili. In tutti i sensi. Al congresso a Parigi, durante la giornata fitta di dibatti e di riflessioni, abbiamo affrontato delle tematiche poco usuali, e alle quali dobbiamo essere i primi e i migliori a rispondere, come il boom dei soggiorni per delle famiglie monoparentali o LGBT. Il turismo gay, una cosa impensata o impensabile per noi appena qualche anno fa. Ma che oggi dobbiamo tutti prendere in conto. Per accompagnare il giusto e profondo cambiamento del nostro mondo. Indietro non si torna.
- Che il lettore ci permetta di graziosamente suggerire anche il cuoco fiammingo Willem Hiele col suo restaurant with rooms nei pressi d’Ostende, all’avanguardia in Belgio d’una cucina marina attentissima al vegetale e iniziatore d’un progetto di riforestazione selvaggia nella campagna ai margini di Oudenburg per una botanica riserva naturale aperta al pubblico. Migliori credenziali son difficili da trovare…..