Una cucina di stampo classico e fortemente orientata al cliente in un ambiente casual luxury: la perfetta alchimia tra sala e piatti da Enoteca La Torre.
LA STORIA
Una bella amicizia, le competenze professionali, il catering e le capacità imprenditoriali, la passione e la lungimiranza. Si snoda attraverso questi aspetti la storia dell’Enoteca La Torre, che nasce a Viterbo grazie a Roberto Pepponi, quindi a Michele, suo figlio e a Silvia Sperduti, moglie di Michele e grande esperta di eventi e catering. L’amicizia è quella tra Kotaro Noda e Luigi Picca, chef e restaurant manager del neonato ristorante, conosciutisi all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, a cui spetta il compito di indirizzarne la rotta. Lo fanno egregiamente, poiché nella guida 2008 del Gambero Rosso, a neanche un anno dall’apertura, l’Enoteca La Torre di Viterbo è tra i migliori 15 ristoranti del Lazio, mentre nel 2010 arriva la stella Michelin. Dal 2011 in poi molti cambiamenti, a partire da quello più clamoroso, il divorzio improvviso dallo chef giapponese, primo in Europa ad aver ottenuto la stella Michelin, che lascia le redini a Danilo Ciavattini, allievo di Salvatore Tassa e in passato chef di Pipero ad Albano Laziale.
Nel 2013 il trasferimento del ristorante gourmet a Villa Laetitia, residenza romana della stilista Anna Fendi Venturini, già cliente del ristorante di Viterbo per alcuni catering e desiderosa di dotare il suo lussuoso boutique hotel romano di un ristorante adeguato. Nello stesso anno, alla squadra capitanata da Luigi Picca, si aggiunge il sommelier Rudy Travagli, romagnolo, anch’egli con un passato da Pinchiorri e al Fat Duck di Heston Blumenthal. Nel 2016 un altro avvicendamento ai fornelli, a riempire il posto vacante lasciato da Danilo Ciavattini arriva il ventisettenne campano Domenico Stile, forgiato da esperienze rilevanti con Cannavacciuolo, Bottura, Vissani e Nino Di Costanzo, oltre a quella da Alinea a Chicago, pronto a prendersi la responsabilità di dirigere il nuovo corso. Nel 2019 anche Luigi Picca lascia l’incarico e Rudy Travagli prende il suo posto come restaurant manager. Nel 2022 arriva la seconda stella Michelin, che premia il raggiungimento di una solidità a lungo inseguita e oggi più che mai concreta.
IL RISTORANTE
Un luogo solenne, istituzionale e bellissimo, all’interno di una villa progettata all’inizio del 1900 dall’architetto romano Armando Brasini, che unisce elementi rinascimentali e stile barocco, come quello delle colonne, dei lampadari e degli stucchi alle pareti. L’ampia vetrata che domina la sala ristorante è realizzata in stile Liberty e fa da sfondo ad un ambiente elegante, ricercato e lussuoso come pochi altri, dona una luce splendida durante la giornata e delimita il bel giardino circostante. Al piano terra anche altri spazi, come la tea room e il bar, ideale per bere un cocktail prima di cena o mangiare qualcosa di più semplice, come club sandwich, mozzarella in carrozza con salsa ai capperi e rigatoni cacio e pepe: “Mi rendo conto che una location del genere possa mettere in soggezione, per questo abbiamo scelto un approccio casual luxury, che non prevede l’imposizione di alcun dress code, in modo da alleggerire l’esperienza e mettere il cliente maggiormente a proprio agio”, spiega Rudy Travagli.
In questo contesto si inquadra la cucina di Domenico Stile, curata e rigorosa, come impongono i dettami classici della scuola francese, ma anche moderna, grazie all’utilizzo di cocktail e distillati sotto forma di essenze e al legame forte con le sue radici napoletane che rompono gli schemi, divertono e caratterizzano. Questa sintesi genera proposte trasversali, dirette e ricche di gusto, frutto di lavorazioni lunghe e complesse eseguite con grande impegno e passione, senza mai una sbavatura: “La conquista della seconda stella Michelin non ha cambiato la mia idea di cucina, semmai ha rafforzato la convinzione che passano le mode, ma non i classici”, afferma lo chef. Da sottolineare anche la componente estetica nei piatti di Stile, che armonizza perfettamente forma e sostanza: “Domenico è stato molto bravo, dal 2016 ad oggi ha migliorato notevolmente questo aspetto, rendendo i suoi piatti sempre più belli e aderenti all’ambiente”, ammette Travagli. La proposta gastronomica prevede tre diversi menu degustazione: 3 portate a scelta del cliente a 180 euro, “Un viaggio ad occhi chiusi”, ovvero 6 portate a sorpresa a 200 euro e infine “In movimento” un percorso degustazione di 8 portate a scelta dello chef a 220 euro.
“Per la cucina servire un menu degustazione è più semplice, tutto è già deciso. La scelta dei piatti da proporre ricade quasi sempre su quelli più classici, poiché circa l’80% della nostra clientela è straniera e alcuni sapori troppo intensi potrebbero non piacere. Non dobbiamo mai dimenticare che cuciniamo per gli ospiti e che l’offerta deve sempre essere calibrata sulla domanda”, sostiene lo chef. Tuttavia il ristorante punta molto sul menu alla carta, il modo più immediato per fidelizzare i clienti: “Fare ristorazione significa anche far quadrare i conti e lo si può fare con gli eventi, le consulenze, ma il modo migliore è quello di spingere gli avventori a tornare più volte. Se noi proponessimo solo menu degustazione, tutti quei professionisti e imprenditori che oggi vengono anche per mangiare solo un piatto, verrebbero per fare un’esperienza una o due volte l’anno, non di più”, precisa il restaurant manager.
In sostanza basterebbe mantenere questa impostazione e questi standard per far sì che tutto vada per il meglio, tuttavia il pensiero costante è rivolto agli aspetti da migliorare o modificare per poter ambire a nuovi riconoscimenti e traguardi. Il primo obiettivo è quello di implementare il servizio, al fine di creare una maggiore sinergia tra sala, cucina e cliente: “Vogliamo che sempre più piatti siano preparati o ultimati in sala davanti agli ospiti, come facciamo con il babà, uno dei signature dish dello chef, perché alle persone piace molto vedere il procedimento che porta alla realizzazione del piatto”. Questo sarà possibile grazie ad una squadra che, dopo qualche difficoltà, ormai può dirsi affiatata, rodata e collaudata, costruita intorno allo stesso Rudy Travagli e al maître Alessandro Nocera, figure fondamentali per offrire un servizio impeccabile, mai ingessato, scrupoloso, senza essere invadente, elegante e formale, senza mai sfociare nel manierismo.
Le novità non mancheranno neanche dal punto di vista del menu poiché si pensa di dedicare un apposito percorso ai piatti storici dello chef: “Mi piacerebbe che questo locale assomigliasse sempre più agli iconici tre stelle Michelin italiani, penso a Da Vittorio e Santini su tutti, posti del cuore in cui alla certezza di mangiare bene si somma il calore di un ambiente familiare e l’abbraccio di un’accoglienza straordinaria, in grado di rendere l’esperienza complessiva indimenticabile”, chiosa Rudy Travagli.
I PIATTI
Gli amuse bouche sono l’esatto preludio di quella che sarà l’esperienza a tavola, riassumono con grande coerenza la cifra stilistica e l’approccio dello chef campano. Ne sono un esempio il raviolo di rapa rossa con tartare della stessa e maionese al lime, la pizzetta alla marinara con sugo di pomodoro, olive nere e acciughe e la sfera farcita con ricotta di bufala, ricoperta con gel di Aperol Spritz e arachidi, passando per il casatiello e i classici taralli napoletani con pepe e sugna, alleggeriti negli anni per non compromettere il pasto. Il percorso inizia con “Gamberi, lattuga di mare e terra, pere”: i crostacei vengono marinati con olio, sale, lime e vodka, alla base una salsa verde fatta con lattuga fermentata, cetriolo e purea di pera e una salsa rosa fatta con tuorlo marinato alla soia, alghe, caviale e polvere di lattuga, un piatto molto piacevole che restituisce sapori contrastanti, freschezza, acidità, ma anche grassezza e sapidità.
Segue la “Triglia di scoglio alla livornese, Blue Label e ananas”, farcita di triglia stessa, olive nere e pomodoro, aromatizzata con spuma ed essenza di Blue Label di Johnny Walker e cubetti di ananas per dare freschezza ad un piatto goloso rivisto in chiave internazionale, senza tuttavia rinnegarne le origini e la prelibatezza. Il “risotto ai limoni, cannolicchi, vongole veraci, asparagi e yogurt” è un altro signature dish dello chef, con il limone lavorato in otto modi diversi; alla base vongole veraci e la loro emulsione, cannolicchi, yogurt e asparagi per dare croccantezza. Un piatto che parla di Sud, di mare e iodio, di contrasti tra terra e mare, tra sapidità e acidità.
Tuttavia quello che segue è il vero manifesto della cucina di Domenico Stile, oltre ad un inno alla sua terra, ovvero i “Ravioli di coniglio all’ischitana, piperna, peperone crusco e tabaccone”, una pasta bianca ripiena di coniglio, alla base una salsa di pomodoro all’ischitana insaporita con aglio e riduzione di totano nero, a cui si aggiungono olive nere alla brace, ketchup al peperone crusco e totano a pezzi: piatto elegante e raffinato nell’esecuzione, ma deciso e sfrontato, una sferzata di gusto che racconta il Sud più popolare, verace e autentico.
Si continua con un fuori programma irrinunciabile: “Uovo di quaglia, taleggio di bufala e trombette dei morti croccanti”, alla base ragù di funghi misti e tartufo bianco a completare un grande classico, rivisto e arricchito. L’ultimo piatto salato è la “Faraona in crepinette, vermouth rosso, prugne e cacao”, porzionata direttamente al tavolo: la faraona viene marinata nel vermouth e poi cotta perfettamente in crepinette, servita con chutney di cacao e vermouth rosso e battuto di prugne in agrodolce, forse in quantità eccessiva. Accanto una crocchetta ripiena con il fegato della faraona e una tartelletta di farina di grano saraceno ripiena con stufato di cosce di faraona e gel al vermouth, fondo e olio alle erbe.
Si conclude con il famoso babà, ultimato e impiattato direttamente al tavolo e con un dolce al cacao, in cui si ritrova tutta quella complessità della cucina dello chef cui si accennava in precedenza e che rappresenta il fil rouge dell’intera esperienza: si tratta di un’estremizzazione della torta Setteveli con dieci strati di cioccolato, in consistenze e percentuali di cacao diverse, dal latte fino al fondente all’82%. Ad accompagnare la torta una mousse di mucillagine, ovvero la parte esterna della fava di cacao, dal sapore dolce e acido allo stesso tempo, che completa l’assaggio attenuandone le note grasse. L’infuso servito alla fine è fatto con fava di cacao, peperoncino, anice stellato e cannella e lascia un piacevole senso di freschezza: “questa era considerata la bevanda degli dei, secondo gli antichi Maya”, spiega lo chef.
La cantina vanta oltre mille etichette, spazia dai grandi champagne, millesimati e non, alle bollicine più rappresentative di Franciacorta e del resto d’Italia. Tanti rossi, soprattutto Piemonte, diviso per zone di produzione e Toscana, divisa per province, con tanta profondità e diverse verticali, ma anche il Lazio con le etichette più rappresentative, poi molta Francia e infine Svizzera, Spagna, Slovenia e Albania. Il classico abbinamento vino è sostituito da suggestivi Wine Tour, selezioni attente di etichette che raccontano una determinata zona, tra cui Italia, Europa, Champagne e Diamond, la più prestigiosa, che racchiude una sintesi delle migliori zone vitivinicole del mondo. I prezzi per 3 calici di vino vanno dai 175 euro ai 750 se si sceglie il Wine Tour Diamond, mentre per 5 calici si possono spendere dai 200 fino ai 1550: “Non mi piace abbinare un vino ad ogni piatto, perché il cliente medio stenta” – spiega Rudy Travagli – “I Wine Tour invece sono pensati per essere un accompagnamento al pasto, non un abbinamento vero e proprio. Sono modulabili e, a differenza di quando si sceglie una bottiglia dalla carta, mi danno la possibilità di interagire maggiormente con gli ospiti e di esprimermi al meglio”.
Indirizzo
Ristorante Enoteca La Torre Villa Laetitia
Lungotevere delle Armi, 22 – Roma
Tel. +39 06 45668304
Sito web