“Quando sei abituato a lavorare 18 ore al giorno (in condizioni a volte orribili), tutto il resto diventa una passeggiata”: Matt Tebbutt si racconta all’Independent, non lesinando su dettagli relativi alla dura vita nelle cucine: “La ristorazione è un po' come arruolarsi nell'esercito.”
Lo chef
In un periodo in cui non si vorrebbe più sentir parlare di guerra, il celebrity chef britannico Matt Tebbutt utilizza questo termine per descrivere l’atmosfera che pervade la maggior parte delle cucine dei ristoranti. Il clima che le brigate respirano durante le numerose ore di lavoro (in qualsiasi tipo di locale lavorino, tiene a sottolineare) è ben diverso da quello paillettes e lustrini, che appare nei vari cooking show. Tebbutt lo sa bene tanto che dal 2014 ha deciso di abbandonare la carriera dietro i fornelli per dedicarsi interamente a programmi televisivi dedicati alla gastronomia. “Le cucine sono un po' come arruolarsi nell'esercito. Ci entri dal basso, tieni la testa bassa, trovi la tua strada e ti costruisci lentamente. È brutale, ma impari molto”, confida lo chef all'Independent.
E’ tutto dire per uno chef che ha scoperto la sua vocazione a 16 anni dopo aver letto “White Heat" di Marco Pierre White: "In quel libro Pierre White ha fatto apparire gli chef cool, sexy e davvero rock and roll. È stata la prima pubblicazione in cui questo chef dall'aspetto un po' rude ha raccontato il mondo dei ristoranti e quello del cibo. Ha fatto emergere la giustapposizione tra il sudore, il sangue e le lacrime nelle retrovie e l’apparente perfezione visibile dal commensale, me ne sono semplicemente innamorato”. Dopo quella lettura Tebbutt ha capito di voler far parte di quel mondo, così, si è formato alla Leiths School of Food and Wine, per poi lavorare ai massimi livelli al fianco di nomi altisonanti come Marco Pierre White e Sally Clarke.
Negli anni ne ha viste di cucine, situazioni estreme e scenate, ma l’episodio che più lo ha turbato l’ha vissuto da commensale quando lavorava a Londra. “Una sera non lavoravo e sono andato a mangiare in un ristorante con degli amici. In cucina avevano una porta aperta e abbiamo visto lo chef fare a pezzi il personale di cucina. Tutti erano a testa bassa, sembravano distrutti. Poi è arrivato il cibo, era molto bello, ma non siamo riusciti a mangiarlo, avendo visto la miseria che c'era dietro”, racconta. Proprio la pressione della cucina, così come quella mediatica, hanno portato Tebbutt a chiudere Foxhunter, il gastropub, che, con successo, da quattordici anni gestiva con sua moglie.
"Non ci si poteva fermare, abbiamo resistito, eravamo instancabili, abbiamo vissuto così per 14 anni. Ho fatto i salti mortali tra TV e ristorante per un bel po' di tempo poi, però, ho raggiunto un punto in cui mi sono reso conto che tutto ciò non era più sostenibile, ero distrutto. I piccoli pub di campagna, per quanto siano incantevoli e tutti li vorrebbero a portata di mano, devono essere sostenuti perché è davvero dura mantenerli attivi. Stanno lottando, i prezzi stanno andando alle stelle, i costi dell'energia, i costi del cibo, il personale. Tutto questo ostacola la crescita: i numeri dei pub che chiudono ogni settimana hanno raggiunto cifre assurde. Penso che sia un vero peccato ed è qualcosa che vale la pena provare a salvare. Quando ho iniziato a lavorare in TV e lavoravo 10 ore al giorno o qualcosa del genere, c'era gente che mi diceva, 'Stai bene?', 'Hai bisogno di sederti?', 'Hai bisogno di un drink?' Mi veniva da ridere e rispondevo “No, sto bene!” Quando sei abituato a lavorare 18 ore al giorno in condizioni a volte orribili, tutto il resto è una passeggiata".