Somiglia a un film la storia di Sung Anh, chef patron del tristellato Mosu a Seul, che il capriccio del destino ha strappato a una carriera da meccanico. Oggi porta avanti il ristorante più importante della Corea, dove “il vero lusso è il comfort”.
Lo chef
Oggi Sung Anh è uno chef di successo: detiene le uniche tre stelle della Corea del sud presso il Mosu di Seoul, che si è classificato quarantunesimo nella classifica di The World’s 50 Best Restaurants e quest’anno ha ricevuto dai colleghi asiatici il premio Damm Chefs’ Choice Award. Il modo in cui ci è arrivato, tuttavia, suona rocambolesco nell’intervista concessa al magazine della manifestazione.
“È stato qualcosa di abbastanza casuale. Non avevo mai programmato di fare questo mestiere. Non sapevo neppure cosa fosse uno chef. Fin quando non ho messo piede in una scuola di cucina, non immaginavo che fosse possibile campare di questo. Avevo visto le toques immacolate nei film, ma non avevo mai pensato potesse essere una scelta di carriera. È stata una decisione spontanea che ho preso. La vita a volte ti porta laddove non avresti mai immaginato. Parlo ancora con mia madre della carriera che ho scelto e siamo entrambi tuttora sorpresi”.
Come sia accaduto, non è un racconto lineare. Nato in Corea del sud, Sung Anh emigrò in California a 13 anni con i genitori, spaventati della competitività del paese asiatico e intenzionati piuttosto a perseguire il sogno americano. Il ragazzo iniziò a lavorare nel ristorante da asporto dei genitori, senza mai sentire la tentazione di passare ai fornelli. Maturata la decisione di studiare per diventare meccanico, proprio partendo per l’Arizona, sede della scuola, si imbatté sulla strada in un’accademia di cucina che stava aprendo. “E allora sono rimasto affascinato. Avrei potuto vivere del lavoro di chef. Così ho chiamato la scuola da meccanico e ho comunicato che non l’avrei frequentata, firmando sul posto per quella di cucina. Sembra una follia, ma ho iniziato due settimane dopo”.
Durante i corsi Sung Anh ha lavorato come lavapiatti, poi ha aperto ostriche ed è passato a cucinare in un bistrot. Dopo un anno e mezzo si sentiva pronto per passare a qualche brigata importante, ma ha dovuto sopportare parecchi rifiuti. Alla fine è riuscito a entrare nel ristorante giapponese Urasawa di Beverly Hills, a titolo gratuito, ma le difficoltà non sono mancate. “C’è sempre un prezzo da pagare, per imparare grandi cose. Dopo qualche anno parlavo fluentemente giapponese e avevo assimilato il modo di pensare e di cucinare di Urasawa, compreso il rispetto dell’ingrediente, che tuttora osservo. Ma non volevo essere un cuoco giapponese”.
Fu Corey Lee, di passaggio da Urasawa, a proporgli dopo cena un’esperienza a The French Laundry: nel giro di un mese, Sung Anh era in Napa Valley. Quando poi, dopo qualche anno, lo chef lasciò per aprire il suo Benu, il giovane lo seguì. Dopo un paio d’anni l’ennesimo colpo di scena: Sung Anh si imbarcava in un ristorante marocchino, per approfondire l’uso delle spezie. Dopo qualche viaggio in Asia, nel 2015 è finalmente tempo di aprire il suo Mosu a San Francisco, stellato a stretto giro, per poi trasferirsi nel 2017 in Corea per amore della sua famiglia, consapevole delle potenzialità del paese. “Ma onestamente il passaggio da San Francisco a Seoul è stato uno choc culturale. So di avere la fisiognomica di un coreano, ma penso come un americano, quindi inizialmente è stata dura”.
Da allora non sono mancate le novità. Sung Anh ha perfino aperto un secondo Mosu a Hong-Kong, all’interno del museo di cultura visuale, e ha deciso di traslocare in una nuova location che aprirà a breve, senza il concorso dei vecchi soci. La sua filosofia, tuttavia, resta immutata: il confort è il nuovo lusso e lui farà tutto il possibile, affinché gli ospiti si sentano a proprio agio. Per questo nel piatto è bandita ogni pretenziosità: tutto deve avere un senso, un gusto, una ragione. Continuano a dimostrarlo i signature, come il taco di abalone, ispirato al comfort food infantile.