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A Lisbona uno chef italiano regala un'esperienza fuori dal comune: il Vibe di Mattia Stanchieri

di:
Martino Lapini
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Copertina Vibe Lisbona

I due percorsi degustazione del Vibe a Lisbona sono autentiche avventure sensoriali, dove ogni portata è curata nei minimi dettagli, dai prodotti locali selezionati ai calici di vino in accompagnamento. Ciascuno dei piatti che si susseguono lungo il percorso racconta una storia, arricchita da sapori memorabili, quelli scoperti durante numerosi viaggi all'estero. Da grandi esperienze europee al gourmet in proprio, la nuova avventura di Mattia Stanchieri.

Mentre leggo dell’ennesima crisi del fine dining e di proposte molto creative volte ad applicare alla ristorazione lo stesso schema della variazione dei prezzi dei biglietti aerei, riprendo in mano appunti e ricordi della due giorni trascorsa a Lisbona, quasi in simbiosi con Mattia Stanchieri, monzese vagabondo che da qualche mese ha aperto il suo ristorante a Lisbona: Vibe nel quartiere di Chiado. Chiado è la Lisbona del grande vate portoghese Fernando Pessoa. Il Café A Brasileira era il preferito del poeta. La città lo ha omaggiato di una statua in bronzo che lo raffigura proprio davanti a quel Café, seduto a un tavolino. Con una sedia vuota a fianco, come se aspettasse qualcuno. Potete immaginare quanto sia diventata una photo opportunity.

Lo chef

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Mattia Stanchieri è il cuoco che si è rifiutato di preparare un hamburger a Kanye West mentre faceva il private chef per vip e imprenditori alle Bahamas. “I’m italian, I don’t make burger”. Questo l’incipit di un reel su Instagram che sicuramente ha contribuito a far entrare Mattia e il suo ristorante negli hot spot di Lisbona. Una presa di posizione netta, il racconto personale della propria storia usando un voice over registrato a parte e un montaggio ritmato. Niente di eclatante, una produzione non costosa, eppure così efficace. Le Bahamas. Da un punto di vista professionale non credo abbiano aperto più di tanto gli occhi a Mattia.

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La vita da private chef, in un paradiso simile, è più che altro una continua soddisfazione di capricci. Cucinare per gente che si annoia può portarti alla noia. In più ci si è messo il covid che non gli ha permesso di “scappare”. Lockdown alle Bahamas, poteva andargli peggio. Allora ha iniziato a creare dei menù dedicati a diverse culture, che si ispiravano a tradizioni di paesi molti diversi tra loro. Le isole sono state il luogo in cui Mattia si è accorto di non essere un’isola. Lì ha incontrato Camila Brugger, imprenditrice uruguayana diventata sua moglie pochi anni dopo. Camila ha letteralmente tirato Mattia giù dalle nuvole. Solo così i sogni di Mattia hanno cominciato ad avere consistenza.

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"Quando abbiamo iniziato a frequentarci, mi ha fatto vedere Chef’s Table. Mattia è ossessionato dalla cucina. Una volta guardava verso l’orizzonte e mi chiedevo cosa stesse pensando, in quali pensieri profondi fosse rapito. Poi lui si gira e mi chiede se era meglio fare un menù degustazione o à la carte? Quando incontri una persona così appassionata di una cosa, ti appassioni anche tu ai suoi sogni. Ormai sono più di tre anni che sono coinvolta nel suo mondo".

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Mentre Camila racconta questo episodio, Mattia sorride. Guarda sua moglie e gli occhi hanno un nuovo orizzonte. Non so se Mattia pensi alla vastità del mondo, all’ineluttabilità del destino, alla presenza di altre forme di vita oltre la galassia. Sicuramente pensa che aver fatto un passo indietro su sé stesso e un passo avanti verso sua moglie sia stata la cosa migliore.

Il ristorante 

La grande domanda, il fulcro delle loro discussioni, conduceva sempre a un’unica cosa: dove aprire il ristorante. Tornati in Europa dalle Bahamas, Mattia ha iniziato a lavorare al Geranium. Come ci è finito? Con una mossa piuttosto sfrontata e ruffiana. Pensate di inviare la stessa mail a tutti gli chef che sono nella 50Best, dicendo che lo chef è il vostro inspiring master. Ecco, così è andata e il ristorante di Rasmus Kofoed ha risposto. Copenaghen, tuttavia, non è il luogo ideale se si preferisce vivere in un clima mite, desiderio sia di Camila che di Mattia. Gli occhi cadono su Lisbona. Mattia entra nelle cucine del Belcanto, Camila continua la sua carriera di recruiter. Intanto Lisbona viene scansionata alla ricerca del posto migliore. Migliore non significa mai scelto di pancia, migliore è quello che “non è destinato a fallire subito”.

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Camila non proviene dal mondo della ristorazione, eppure sa che c’è una formula in tutti i business. Lei l’ha ricavata guardando i numeri e le statistiche che riguardavano i fine dining. Dati sul food cost, sul costo del personale, sull’affitto, sul costo delle attrezzature. Occorre rimanere fedeli alla linea tracciata, alla formula stabilita. Solo così un nuovo ristoratore può essere salvo con il suo progetto. "Parlavo una lingua che Mattia non era abituato ad ascoltare, c’è voluto tempo e 'fights' per essere sulla stessa lunghezza d’onda. Adesso quando torna mi dice che gli altri non sanno niente di business. Io mi fermo, lo fisso negli occhi e gli dico, prendendolo in giro, che fino a pochi mesi prima non sapeva niente nemmeno lui".

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Sei all’inizio e vuoi spaccare il mondo. Impressionare. La creatività deve correre a briglie sciolte. La concentrazione è solo sui piatti e sulla loro esecuzione, sul gusto. Non importa le attrezzature che ti servono, il personale che ti serve, le prove che devi fare. Vuoi tutto subito. Fermi tutti: una struttura di questo genere è pesante solo a pensarci, è un carrozzone destinato ad arenarsi al primo ostacolo.

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"Mi ricordo quando è venuto da me, con questo preventivo da 6000 euro per un pacojet. Io non sapevo nemmeno cosa fosse. Non mi importava che gli altri fine dining ce l'avessero. Gli ho detto no. Mattia allora ha virato su 3 Ninja e quello che realizzava andava bene".

La filosofia

Da Vibe non esiste un menù alla carta. Ci sono due percorsi degustazione, a 75 e 90 euro. Una scelta dettata sempre dalla “sopravvivenza”, dalla certezza di ritornare presto nell’investimento iniziale, spogliandosi di una netta complicazione durante il servizio e vestendosi al contrario di una salvifica pianificazione giornaliera. Su questo Mattia ha riflettuto molto (anche rivolto all’orizzonte).

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"Lisbona è super hot in questo momento. Io la chiamo la Napoli gentile. Ci sono molte persone da tutto il mondo che non solo vengono a visitarla, ma vengono a viverci. Desiderano proposte che gli diano entertainment. La food scene che vogliono è più simile a quelle che ci sono a Londra, New York o Copenaghen. Ci siamo presi un rischio, ma per noi è stata una grande decisione. Sapevamo che il pubblico era pronto per questo. Ora abbiamo un reale scontrino medio, che copriamo bene con la brigata che abbiamo. I prezzi dei nostri degustazione sono poi molto competitivi per essere un fine dining nella zona in cui siamo".

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Un’impostazione simile non è certo la più semplice da fidelizzare. Non ti affezioni facilmente ai menù degustazione, specialmente se dura tre mesi. Per questo il digital marketing è stata una delle priorità dell’apertura e non solo. Qualcosa che ha inciso sui numeri, che ha anticipato gli obiettivi. Merito del lato umano espresso, dell’empatia che ha fatto presa anche se in punta di dito. I social, volenti o nolenti, sono le nuove guide ai ristoranti, quelle in cui chiunque può dare il proprio consiglio, svelare le proprie scoperte. I social sono l’impiattamento della tua immagine, gli appigli per una generazione smart che tuttavia ha ancora voglia di fermarsi, a volte per vanità, a volte per conoscere.

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"Se non lo avessimo messo tra le priorità quando abbiamo aperto, avremmo avuto 3-4 persone a sera. In particolare, quando uno dei reels è andato virale, per tre mesi eravamo full booked. Io torno sempre alle statistiche. Normalmente il turn around per un average restaurant avviene dopo circa 3-5 anni. Con i numeri che facciamo adesso, noi probabilmente staremo sotto i 2. Per un ristorante come il nostro solo per coprire i costi ci metti 5-6 mesi. Noi lo abbiamo fatto in 2. E questo perché siamo stati molto rational con i nostri costi. E sui social abbiamo fatto emergere molto il lato umano".

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La strategia di Vibe sui social è un piccolo caso. Qualcosa che sta funzionando. C’è un ristorante fine dining a Lisbona che deve attirare clienti da tutto il mondo per vivere il suo sogno. Lo stanno facendo e basta. Anche uno come Mattia sta al gioco. Perché sa che la sua voce su Instagram, associata a un montaggio fatto bene, è un ingrediente fondamentale per la sua cucina.

I piatti

Non ci vuole Daniel Humm per farti capire che un ristorante fine dining non vende e serve solo cibo ma in qualche modo vende un’esperienza, entertainment. Mattia e Camila ne sono convinti senza fare troppi proclami. Si sono scornati, eppure hanno preso una decisione netta.

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La storia di ogni menù di Vibe dovrà essere un racconto coinvolgente per i clienti di Vibe prima ancora che si siedano al tavolo. Si parte dai social, dai teasing dello chef e si arriva alla degustazione, che si ispira ai viaggi di Mattia, a esperienze di un randagio gentiluomo che ha osservato, assorbito e studiato.

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Il menù estivo si rifà a una tradizione che per un italiano è molto distante. La cucina creola e cajun della Louisiana e dell’Africa dell’ovest. Già di per sé questa cucina è un meltin pot di ricette che derivano dalle sovrapposizioni della cucina francese, spagnola, inglese e africana dovuta agli scambi commerciali e alla tratta degli schiavi che intercorrevano tra il vecchio e il nuovo mondo. Le ricette rievocano blues palatali in cui lo scontro tra culture europee e native prima cozzano e poi si integrano. Queste rievocazioni gastro-storiche sono il contenuto della scatolina di legno su cui l’occhio si posa anche prima della mise en place. La apri e trovi tante carte colorate quante sono le portate. Più una dedicata a te che puoi tenere come ricordo. Il piccolo scrigno è un’altra buona idea per tenere sempre accesa la scintilla dello spettacolo sul tavolo.

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Tra gli starter il Gumbo è quello che trasuda più storia e gusto di raccontarla. La tratta degli schiavi nella rotta atlantica ha fatto diffondere questa verdura “collosa”, prima in America e poi in Europa. Mattia fa un risotto con il riso carolino, simile al carnaroli, cuocendolo nel brodo di gamberi di fiume che arrivano dalla regione dell’Alentejo. Una sorta di arancino di gamberi di fiume che rappresenta la scoperta della cucina francese da parte degli africani in Lousiana. La panatura è di pane nero unito a nero di seppia. L’arancino viene fritto e servito con una salsa fatta con una salsiccia nostrana molto agliata, l’alheira, un gambero scottato e okra - che non è altro che un altro nome del gumbo - sott’aceto. L’Oyster Rockfeller è già qualcosa su cui scommettere. Il risultato è umamico. Crescione, São Jorge Cheese - un formaggio portoghese simile per struttura al nostro Parmigiano e prodotto esclusivamente alle Azzorre -  e ostrica. Il verde dovrebbe rappresentare il dollaro americano, uno stile di vita sopra le righe, qui invece parla di un sogno sostenibile. Il crescione conserva la terrosità ma con un twist senapato. L’ostrica è gratinata, alcune vengono disidratate per ricavare una polvere che non faccia dimenticare troppo il suo spigolo salmastro. Viene servita su un piatto meraviglioso che richiama proprio il calco di un guscio d’ostrica. Una rigenerazione della Rockfeller, in cui dominano equilibrio e profondità.

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Anche il piatto successivo è un omaggio. A New Orleans l’Egg Sardou è una ricetta celebre tanto quanto chi l’ha ispirata, il drammaturgo francese Victorien Sardou che assieme alla diva Sarah Bernhardt visitò e si fece apprezzare per la sua arte verso la fine del 1800. Uovo e carciofo sono gli elementi originali mantenuti, per un piatto che è così popolare da finire anche nei brunch. Mattia cuoce l’uovo sous vide e lo adagia su una crema di topinambour e carciofi arrostiti. È un uovo fluffy da galline angolane, cotto ma non cotto, che esalta lo stadio del comfort food, lo stile sta’ senza pensier. L’uovo viene poi ricoperto da una olandese al sifone realizzata con aceto di miele. La croccantezza arriva da una tempura di farina con aggiunta di garum di sardine e da piselli appena scottati. L’effetto tiramisù è merito di una spolverata di porro bruciato al carbone. Chiamatela pure ruffianata. Avete ragione così come ce l’ha lo chef a proporlo e tutti i clienti che godono a mangiarlo.

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Il terzo capitolo della storia è il Fish&Grit, accoppiata tipica della cucina africana che nella versione shrimps&grit si consuma usualmente in South Carolina. Il grit è la semola di mais. Mattia utilizza un mais che proviene dalle Azzorre, portato dal Canada da una famiglia che lì si è trasferita. Il mais così come i fagioli dell’occhio, della farm Monte Silvao, sono materie prime portoghesi. Mattia riconoscerà sempre al Portogallo ricchezza e qualità degli ingredienti che diano identità territoriale anche ai concept stagionali sviluppati a Vibe.

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Gli strati di polenta, fagioli cotti come un risotto e luccio perca scottato in padella alla francese evocano giornate e sferzate invernali. Per questo, on top, c’è un'aria di aneto, a dare più balsamicità e freschezza. La chiave del gioco di Vibe - una chiave è l’elemento magico e avventuroso presente nel logo del ristorante - è accettare di farsi raccontare una storia. Una storia che si consuma sotto la lingua e forse per questo rimane più facilmente nella nostra memoria. 

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L’ultima volta che abbiamo sentito Mattia era appena tornato da una mattinata di foraging in un parco a pochi chilometri da Lisbona. Lui e James Walsh, il suo secondo, stavano raccogliendo tutto quello che gli servirà per l’autunno e l’inverno. Mesi in cui - spoiler alert - andrà in scena un menù che omaggia il nord Italia con un viaggio tra Milano e Torino. Mattia tirerà fuori dal cappello anche una sua versione del vitello tonnato, con il nasturzio che sostituirà il cappero.

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Il Portogallo, e ne sono felice, ha dominato anche la proposta di vini al calice. Quello che mi ha dato vibes estremamente positive è il Malvarinto de Janas della Quinta de San Michel, azienda della storica regione vinicola Colares. Una beva al contempo fresca e voluttuosa, sapida e speziata, influenzata dal doppio abbraccio dell’Oceano Atlantico e delle alte colline della Serra de Sintra.

Chi è più distante dalla verità —
Chi vede la verità in ombra
O chi vede il sogno illuminato?

La persona che è un buon commensale, o questa?
Quella che si sente un estraneo nella festa?

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Non ho chiesto a Mattia se si fosse mai seduto a fianco del poeta Pessoa. Immagino che avrebbe potuto sentire queste parole, tratte dalla poesia Chi sogna di più. Tanto ci sarebbe stata Camila a richiamarlo con un amorevole, “un sogno alla volta”.

P.s Alla fine a Kanye West l’hamburger gliel’ha preparato.

Contatti

Vibe by Mattia Stanchieri 

Indirizzo: Rua Horta Seca 5B, Lisbona (Chiado)

Numero di telefono: 351965522749

E-mail: info@vibe-chiado.com

Sito web: https://vibe-chiado.com/

Dal mercoledì alla domenica
Cena: 19.00 – 00.00
Lunedì e giovedì chiuso

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