Una piccola trattoria che fa impazzire i più grandi cuochi spagnoli, e non solo. Si tratta del Pampin Bar, localino dagli arredi anni ’70, dove Alen Tarrio celebra la tradizione galiziana.
Il locale
Il calzolaio, si sa, ha le scarpe rotte. E i grandi chef non derogano alla regola: di solito si accontentano di un rancio raffazzonato o comunque rapidissimo, per l’umana esigenza di staccare. Quando poi vanno a mangiare fuori, spesso per non farsi influenzare o incorrere in un tedioso effetto déjà-vu, prediligono posticini alla mano, più tipici possibile. Lo diceva già Ferran Adrià: in giro meglio la bettola più scalcinata del fine dining wannabe.
Un indirizzo che in Spagna è sulle bocche dei migliori è Pampin a Santiago de Compostela, dove fra gli altri si sono accomodati (e non per una volta) René Redzepi e Andoni Luis Aduriz. Merito di Alen Tarrio, quarantatreenne che nel 2019 ha addirittura incassato il premio quale cuoco dell’anno per il Forum Gastronomico A Coruña. “E vincerlo facendo cucina tradizionale è stata una sorpresa assoluta”, confida a El Pais.
Tarrio è figlio d’arte: si è fatto le ossa nel ristorante dei suoi genitori, Meson Tarrio Lopez, un posto “vero” che purtroppo non esiste più, tutto trippa e stufati di capra, dove i clienti erano amici. Ed è stato proprio il padre, convinto che la cucina in Spagna sarebbe esplosa, a consigliargli l’alberghiero. Sono seguite esperienze disparate, anche nel fine dining, con Paco Morales e Marcelo Tejedor. “Poi tornando a casa nel 2014, mi sono chiesto dove avrei potuto mangiare i piatti di mia madre ed era impossibile”.
Da qui l’idea di aprire un posto proprio, dove celebrare la cucina galiziana. “Ed è quello che ho finito per fare, anche se mi sono permesso delle licenze, come il riso o qualche lampo di cucina francese, che mi piace molto”. Sogno che nel 2017 ha preso residenza in un localino vecchiotto e un po’ appartato, praticamente privo di finestre, che tuttavia è diventato una destinazione gourmet.
Si trattava del Pampin Bar, locale degli anni ’70 che Tarrio ha scelto di conservare nella sua integrità, bagni compresi. “È rimasto tale e quale perché non si può toccare, e mi rallegro che sia così. Ci siamo limitati a scoprire le travi e rivestire le pareti con un pannello, perché era molto rumoroso”. La proposta via via si è affinata: viene scritta quotidianamente su una lavagna, suddivisa in antipasti, verdure, riso, carne stufata o alla griglia, pesce al forno e dessert. “E quando i cuochi lo vedono, restano sconvolti”.
Sono richiestissimi i tipici escabeche e i paté, in terrina o in crosta, in stagione anche le empanadas. Entusiasta Andoni Luis Aduriz, che ha ribattezzato il gallo di Mos nel riso la “cococha di terra”, alludendo alle gole di baccalà. Ma si sono seduti più volte anche Paco Morales, Josean Alija e René Redzepi, che ha riferito di aver visitato pochi ristoranti con una simile personalità.