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Daniel Boulud, il mito si racconta: “Ho 1000 dipendenti, ma lavoro ancora 16 ore su 24”

di:
Alessandra Meldolesi
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Alla testa di un impero da 1000 dipendenti, Daniel Boulud a 68 anni non vuole sentir parlare di pensione. “La mia passione brucia più che mai, anche se questo mondo è cambiato”.

Foto di copertina: @Neilson Barnard, Getty Images


Lo chef

Chi frequenta i suoi ristoranti, lo sa: nonostante i sessantotto anni compiuti e un impero di ristoranti sparsi per il mondo, Daniel Boulud si diverte ancora a cucinare e appena può, non salta un servizio. C’è per esempio Le Pavillon a New York, al secondo piano del futuribile grattacielo One Vanderbilt, che è stato inaugurato nel 2021, in piena pandemia, “perché ho sempre saputo che New York sarebbe tornata alla ribalta e la gente avrebbe cercato il lusso”. Il nome già allude a una nostalgia di Francia, per quanto proprio gli chef della generazione di Boulud negli anni ’80 e ’90 abbiano cominciato a scrostare il classicismo con scalpelli modernisti. “Volevo che Le Pavillon rappresentasse il passato e il presente. È bello celebrare la storia e rendere omaggio a quanto è venuto prima di noi”.

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Poi c’è Centurion, questa volta al 55mo piano, enorme club American Express, che spesso ospita eventi ed esibizioni artistiche. E Jōji, l’omakase di sushi di cui è executive George Ruan, mago del pesce che per vent’anni ha cucinato da Masa. Uno dei locali più busy della grande mela. Il cuore pulsante tuttavia resta il Restaurant Daniel, fondato nel 1993 e tristellato fino al 2014. E ancora il rinnovato Café Boulud, ispirato al caffè aperto dai bisnonni nel 1901 vicino a Lione con i prodotti della fattoria di famiglia, dove officia un giovane talento, Romain Paumier. Forse il suo locale del cuore. “Se da Daniel non cercassi di posizionarmi fra i migliori indirizzi di New York, sarei felice solo con quello”.

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@Le Pavillon

In tutto il suo Dinex Group, impresa da 1000 dipendenti, controlla 5 Café Boulud (Palm Beach, Toronto, Bahamas, Beverly Hills e a breve Riad). Solo a New York i ristoranti sono 7 e custodiscono in pancia 40mila bottiglie, più la catena casual Épicerie Boulud, fine dining a Montreal, Singapore, Dubai e Miami. Nel 2022 a Manhattan ha aperto Le Gratin, bistrot in stile lionese, cui seguirà La Tête d’Or, steak house alla francese proprio accanto a Eleven Madison Park. Cosicché praticamente ogni sera Boulud è in un ristorante diverso, al passe o per salutare gli ospiti. “So di lavorare troppo duramente; sottraggo molto tempo agli amici e alla famiglia. Ma la mia passione per la cucina e la ristorazione brucia più che mai. Alcuni grandi cuochi arrivano alla fine di una strada e chiudono i loro ristoranti per iniziare qualcosa di nuovo. Io piuttosto aprirei un altro locale. Mi piace tenere alta la tensione con nuovi progetti e creare opportunità per la squadra. Ho sempre amato la vita teatrale del ristorante”, ha dichiarato il grande chef a Wine Spectator.

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I suoi allievi lo considerano un mentore, intento ad aprire per loro nuove strade come Paul Bocuse e Michel Guérard, Georges Blanc e Roger Vergé avevano fatto con lui. “Quando sono arrivato negli Stati Uniti, la cucina francese era molto più prevedibile e meno personalizzata, spesso noiosa. In Francia avevamo questa passione per gli ingredienti: gli chef erano intimamente legati ai fornitori e i loro menu si conformavano alla stagione. Eravamo sempre in cerca del fungo o della selvaggina più bella. Qui trovavi la sogliola alla mugnaia di Dover, sempre”. Da qui l’ambizione di cucinare in America come in Francia, esaltando i migliori prodotti locali, prima come chef dell’ambasciatore alla Commissione Europea di Washington, poi in diversi stabilimenti newyorkesi, dove ha conosciuto Thomas Keller ed è stato contagiato dall’energia della metropoli.

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Chef a Le Cirque di Sirio Maccioni, per cui ha creato un signature tuttora best seller al Café, la paupiette di branzino in crosta di patate e salsa al vino rosso, pensava di tornare a Lione a causa della crisi economica nel 1990, ma l’operazione fortunatamente non è andata in porto. Ed eccolo aprire nel 1993 il suo Daniel, un ristorante sempre in progress, completamente rinnovato nel 2021.

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Il cuore della cucina resta nelle campagne, la testa nel tourbillon della nouvelle cuisine, tanto che agli aspiranti cuochi Boulud chiede di preparare la vinaigrette per l’insalata. “Alcuni chef cercano la complicazione e la tecnica, ma non sanno fare qualcosa di emozionante, rustico e delizioso. La semplicità è più importante dei fuochi d’artificio. Oggi il mondo della ristorazione è cambiato. Non è più così focalizzato sui retaggi. Anche la cucina è cambiata. Per esempio prima la gente era molto più disponibile a mangiare trippa, cervello e piedini rispetto a oggi. Non c’erano diete o restrizioni. Penso che gli chef non possano essere spontanei come un tempo. Tutto è programmato. Noi improvvisavamo spesso, ma che divertimento e quanta adrenalina!”.

Copertina Daniel Boulud miglior cuoco del mondo
 

Di pensione però non se ne parla, anche se Boulud vagheggia di trascorrere più tempo nella fattoria di famiglia a Lione e nell’atelier d’arte della sua casa di campagna. “Dedichiamo le nostre vite alla cucina perché condividiamo la nostra passione. La sfida più grande è restare nel business e costruire un futuro per la squadra. La sfida più grande, il lavoro quotidiano, è trovare l’ingrediente migliore”.

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