Fra i trionfatori della guida Michelin dedicata ai Paesi Nordici c’è stato anche Damiano Alberti, sommelier patron di Enomania a Copenaghen. “Da noi si lavora dal martedì al venerdì e due collaboratori sono diventati soci. Spostarsi all’estero può offrire grandi opportunità, ma resta una scelta personale. Bisogna seguire il cuore”.
Il premio
Quando è stata presentata la guida Michelin Paesi Nordici 2024, lo scorso 28 maggio, è salito sul palco anche un italiano: Damiano Alberti, cinquantenne originario dell’Alto Piemonte, che stappa in qualità di sommelier patron da Enomania, bib gourmand di Copenaghen.
Damiano, raccontaci la tua storia.
Sono entrato nella ristorazione come cuoco, soprattutto di grandi alberghi, da Sestriere a St. Moritz, alle Cinque Terre. Poi dovendo fare il militare, è successo che non potessi finire una stagione e nel 1991 mi sono spostato brevemente in Danimarca, dove tra l’altro pagavano molto bene. Finito il militare, il titolare danese mi ha richiamato. Nel 1998 sono rientrato a Milano e ho frequentato i corsi AIS. La passione per il vino è cresciuta sempre più e sono tornato a Copenaghen per lavorare come sommelier, in ristoranti stellati e non. Finché nel 2009 non ho aperto con mia moglie Charlotte un piccolo bistrot.
All’inizio c’era l’idea di un bar con poco cibo, che si è evoluto in wine bar con menu degustazione. Nel 2016 infine ci siamo ingranditi, acquisendo i locali a fianco, in modo da ampliare la cantina e triplicare i coperti, che erano solo 25.
Come descriveresti la scena danese?
Copenaghen è qualcosa di diverso dal resto del paese. Pur essendo una capitale, è una cittadina rispetto a Milano, ma trovi veramente di tutto, sia in fatto di vino che di culture diverse. Ultimamente sta facendo spettacolo la cucina nordica, ma in assenza di forti tradizioni, non manca niente. I danesi sono molto interessati al vino, anche quando si tratta di viaggiare per visitare le cantine. Sono molto affascinati e anche connaisseur, ho clienti che dibattono se il vigneto Asili sia a destra o a sinistra della chiesa. Inoltre spendono molto, risparmiando magari per mesi al fine di assaggiare una bottiglia.
Cosa offre Enomania?
Noi cerchiamo il più possibile di essere un posticino di atmosfera, dove il cliente sia un amico. Cerchiamo di far conoscere alla gente quello che ci piace. In cantina abbiamo 1800 referenze, di cui un migliaio francesi, con una piccola selezione di naturali. Ma siamo più sul classico. Il menu è molto ridotto, comprende 5 portate che cambiano ogni settimana. E il cliente danese è apertissimo, si lascia consigliare facilmente. Per un percorso con 5 calici, perlopiù italiani, la spesa è sui 100-120 euro. Per esempio la settimana scorsa avevamo un risottino con crema di zucca, cinghiale brasato e tartufo estivo, su cui mescevamo un piccolo Barolo di Michele Reverdito del 2019.
Vi aspettavate il premio?
Diciamo che durante l’ultima visita, l’ispettore aveva apprezzato molto questo mondo vinoso, spesso conviviale. Abbiamo anche gruppi che portano vini, sui quali costruiamo i piatti. Perché stappare in compagnia è sempre più piacevole.
Che consigli ti senti di dare alla luce dei tuoi successi?
Dopo 32 anni mi sento quasi più danese che italiano, anche se torno ogni tanto per visitare i miei. Qui ho trascorso la maggior parte della mia vita. Poi la passione ti dà l’opportunità di fare tante cose; se mancasse quella, sarebbe impossibile dedicare tanto tempo al nostro lavoro.
Da Enomania siamo chiusi dal sabato al lunedì, giorni che dedichiamo alla famiglia. Perché è molto importante bilanciare le diverse esigenze, divertirsi lavorando e avere tempo per la vita privata. L’abbiamo fatto praticamente subito, perché quando abbiamo aperto nostro figlio era piccolo, ma ora tanti ristoranti stanno prendendo misure simili. Abbiamo anche deciso di rendere soci due collaboratori storici, che per noi sono famiglia. In generale nella propria carriera penso occorra seguire il cuore. I collaboratori italiani negli anni sono stati numerosi, alcuni avevano voglia di viaggiare e imparare le lingue, altri si sentivano strappati dal loro mondo. Spostarsi resta una scelta personale, anche se le opportunità di crescita possono offrire grandi vantaggi.