Attualità enogastronomica

A Buenos Aires il locale dove gli chef servono anche i piatti: “Così ottimizziamo”

di:
Elisa Erriu
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Una cucina minuscola di 10,5 m² grazie a cui vengono serviti circa 80 commensali a sera: è il format di Gran Dabbang, dove i cuochi fanno anche i camerieri.

La notizia

Dietro i fornelli – ma anche davanti alla porta, in sala e perfino in cassa – di Gran Dabbang, un ristorante minuscolo in un angolo di Buenos Aires che da oltre un decennio incanta senza clamori, c’è Mariano Ramón, chef, fondatore e spirito guida di un progetto che è più un’ode alla creatività instancabile che un semplice ristorante. Ramón, 44 anni, due figli e una discrezione disarmante, non è mai stato una figura da copertina. Eppure, per chi mastica gastronomia sul serio, il suo nome risuona come quello di un alchimista che trasforma ogni ingrediente in un racconto di gusto. Gran Dabbang, nato 11 anni fa, è diventato nel tempo l’estensione naturale del suo animo inquieto, un laboratorio di sperimentazione che non cerca il riconoscimento facile – e infatti la Guida Michelin sembra ignorarlo ostinatamente – ma che si è guadagnato l’ammirazione viscerale di colleghi e buongustai.

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Il percorso di Mariano Ramón inizia nel 1999 sotto l’ala di Francis Mallmann e, soprattutto, di Narda Lepes, mentore generosa che gli ha offerto libertà e fiducia. Grazie a lei, Mariano ha potuto seguire il proprio istinto nomade, intraprendendo viaggi senza biglietto di ritorno tra Perù, Spagna, Nuova Zelanda, Thailandia, Malesia, Vietnam, India e Inghilterra. È da quei territori remoti, racconta qui alla testata 7Canibales,  che ha assimilato una filosofia culinaria anticonvenzionale: niente minimalismo forzato, nessun culto del prodotto “nudo”, ma una costruzione di piatti stratificati, dove i sapori si rincorrono, si intrecciano, si sfidano.

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Tornato in patria, ha scoperto un’altra immensa scuola: la dispensa argentina. Incaricato da Lepes di curare la sezione mercato del festival Masticar, Mariano ha percorso il Paese come un esploratore affamato di biodiversità, scoprendo agrumi marini, tuberi ancestrali, frutti tropicali del Nord e piante aromatiche dimenticate. Un’enciclopedia vivente di gusti e profumi che oggi si riflette nei piatti di Gran Dabbang, dove l’Argentina si incontra con l’Oriente in una danza di spezie, colori e texture.

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A prima vista, Gran Dabbang sembra una sfida alla fisica: una cucina di 10,5 metri quadri sforna ogni sera piatti per circa 80 coperti. Qui, ogni membro dello staff – eccetto l’amministrativo – è cuoco, ma anche cameriere, portiere e cassiere. Le postazioni ruotano, le mance si dividono in modo paritario, e nessuno si sente più o meno importante. “Questo sistema evita la noia e rafforza il senso di responsabilità. Chi parte dal basso ha l’opportunità di crescere, sempre”, racconta Mariano con il sorriso di chi ha costruito una piccola comunità prima ancora che un locale. Non ci sono orpelli né pretese. I bicchieri e i piatti di metallo arrivano da una cooperativa sorta dalle ceneri di una fabbrica fallita. Il menu, che cambia continuamente, esclude volutamente manzo e patate – due totem dell’identità gastronomica argentina – per dare spazio a legumi, ortaggi e carni meno convenzionali come agnello, quaglia o pesce d’acqua dolce. Dei dieci piatti in carta, sette sono a base vegetale: un inno alla cucina consapevole, sostenibile e, soprattutto, mai banale.

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“Dabbang è un progetto in evoluzione costante, che migliora senza perdere la propria anima”, spiega Ramón. Un’evoluzione fatta di dettagli invisibili ma cruciali: l’introduzione del fuoco vivo in cucina, l’uso di calici Riedel e Zwiesel per ogni commensale, l’ottimizzazione dell’acustica in sala, l’adozione di sedie più comode. Piccole rivoluzioni che non si notano subito, ma che rendono l’esperienza più profonda. Dal 2022, inoltre, il servizio è stato affidato alla sapienza di Andy Donadío, premiato come Miglior Sommelier d’Argentina. Un’altra prova che Gran Dabbang non si adagia mai, nonostante la sua fama crescente. Una delle intuizioni più preziose di Mariano è la creazione di gruppi d’acquisto con altri cuochi del Paese. In questi network collaborativi – dove non esistono rivalità ma solo passione condivisa – si scambiano ingredienti freschi, contatti e consigli. “Mescoliamo generazioni, stili e sensibilità. C’è Dolli Yrigoyen, una leggenda, insieme a giovani promesse come Calu Corso. Nessuna gerarchia, solo voglia di crescere insieme”, dice con orgoglio.

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Mariano Ramón non cerca l’applauso facile, eppure si merita ogni elogio. È un artigiano ostinato, un poeta del gusto che preferisce costruire piatti come si costruisce una canzone: con cuore, tecnica e un pizzico di follia. Gran Dabbang è il suo palco, il suo studio di registrazione, il suo mondo.

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