Non è il solito sushi, quello che il nippo-americano Erik Aplin serve nel suo Chīsai a Bernal Heights, San Francisco: fin dall’apertura nel 2021, offre infatti un omakase interamente vegano, creativo, sostenibile e meno caro, che tuttavia riscuote solo i favori del 5% della clientela.
Foto di copertina dello chef: Crediti Marc Fiorito, Gamma Nine Photography
Foto nell'articolo dalla pagina Instagram del locale
La notizia
Era il 2021 quando lo chef Erik Aplin, nippo-americano della quarta generazione, ha aperto il suo anomalo ristorante di sushi con un’idea ben precisa: quella di offrire un’opzione vegana. Intuizione che veniva incontro alla moda, ma, come si rese conto ben presto, richiedeva molto lavoro. Quello di rimpiazzare una fettina succulenta di tonno con una falda di pomodoro variamente elaborata non è infatti un gioco da ragazzi, specie quando la sequenza comprende 13 assaggi.
Fino a quel momento, Aplin aveva maneggiato quintali di pesce nei migliori stabilimenti di sushi di Los Angeles, prima nello stile tradizionale giapponese, poi contaminandosi con la cucina americana, spunti indiani e italiani. Capitava tuttavia che al bancone arrivasse qualcuno che annunciava di essere vegetariano, suscitando la disapprovazione dei sushi master, che si limitavano a infilare nel riso bastoncini di cetriolo e avocado, scuotendo la testa. “Ogni volta pensavano: ma perché è venuto proprio qui? Poi dovevamo pensare a cosa servire, di solito un avocado roll. Quando ho aperto Chīsai, ho intravisto la possibilità di essere creativo e conquistare una nuova clientela”, racconta a The San Francisco Standard.
Le motivazioni non sono meramente artistiche o commerciali. “Il novanta percento delle popolazioni mondiali di pesce è attualmente razziato al suo limite di sostenibilità, oppure oltre”, perora. Mentre nessuna minaccia grava sul mondo vegetale, che offre infinite possibilità creative. Vedi il porro sul riso, cotto confit, sormontato da falso caviale di semi di cipresso estivo e paté di tartufo nero umami-driven. Ma è solo un esempio fra tanti di come il vegetale, debitamente trattato, possa emulare il più pregiato dei pesci.
Poi c’è la questione della sostenibilità economica. “Da quando ho iniziato a lavorare nei ristoranti di sushi nel 2006, i prezzi sono schizzati del 200%”. Alpin non ha chiuso tuttavia con ventresche di tonno e filetti di salmone: di fatto l’opzione vegana, del costo di 70 dollari, viene richiesta solo dal 5% degli ospiti, mentre il 95% ordina l’omakase classico a 95. “Il mio fine tuttavia è incorporare gli assaggi vegani nel percorso di pesce e sentire la gente eccitata e consapevole del fatto che sta ricevendo qualità”.