Pasticceria

Sara Maranzana, la pastry chef che ha conquistato Alain Ducasse e Dominique Ansel

di:
Alessandra Meldolesi
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copertina sara maranzana

Ex malo bonum: tante volte nella vita da condizioni di svantaggio risultano esiti meravigliosi. È il caso di Sara Maranzana, ex bambina dislessica, trincerata nella sua comfort zone, oggi pasticciera viaggiatrice alla conquista del mondo.

La storia

Sono dislessica. Quando ce ne siamo accorti a scuola, gli insegnanti hanno subito consigliato di intraprendere lavori manuali. A me è sempre piaciuto cucinare e durante gli open day con i miei genitori, al momento di scegliere sono capitata all’Arte Bianca di Neive: entrando ho sentito l’odore del cioccolato e della vaniglia. Ed è stata una folgorazione. Mi sono diplomata tecnico dell’arte bianca, con la certezza di aver trovato la mia strada.


Però ho sempre amato anche il viaggio. Quindi dopo la maturità e un paio di stagioni in albergo, sono volata a Londra per imparare l’inglese. E mi sono letteralmente buttata. Gordon Ramsay, The Greenhouse, una scuola durissima ma molto intensa, che mi ha fatto capire cosa realmente volessi dalla mia carriera: viaggiare e lavorare sodo. Ed è stato il mio trampolino di lancio nel mondo, visto che ho incontrato una signora che voleva aprire un’attività in Cina e mi sono fermata per due anni a Shanghai, anche se la cosa non è andata a buon fine per ragioni burocratiche. Lì ho lavorato in una compagnia di eventi, dove parlavo con i clienti, facevo cooking class e cooking show. Dentro di me sentivo di non avere più paura di niente: quella bambina dislessica, chiusa nella sua cameretta, abitava in un mondo che non era più abbastanza grande.


In Cina sono riuscita anche a scrivere un libro sulla mia esperienza, intitolato Il mio universo dislessico, ora in uscita come e-book. Perché se ce l’ho fatta io, che vengo da un paesino sperduto in Piemonte, ce la può fare chiunque. Ero una che arrivava sempre dopo gli altri, mi sentivo un fallimento. Poi a un certo punto ho capito che il sacrificio stava dando i suoi frutti e oggi non sento più la dislessia come un peso: è vero che anche mettendoci tutto l’impegno, fatico a imparare una lingua straniera, ma il fatto di dovermi costantemente impegnare al massimo, è stata una scuola di vita. E noi dislessici siamo particolari, abbiamo temperamenti artistici. La pandemia fortunatamente è scoppiata quando ero a casa, ma appena si è calmata la situazione sono partita di nuovo alla volta di New York, che non sarà di certo l’ultima meta. Con un visto J1, che garantisce qualche diritto, come l’assistenza sanitaria, praticamente da apprendista nonostante le mansioni apicali, ho lavorato i primi sei mesi da Alain Ducasse al Benoit Bistrot. Poi mi sono spostata da Dominique Ansel, un pasticciere francese che ha inventato il cronuts, una ciambella fritta con l’impasto del croissant; il cookie shot, bicchierino di biscotto da riempire di latte, e il frozen s’more ripieno di gelato alla vaniglia e cioccolato.


Ora poi il visto è in scadenza, sto cercando di capire se è possibile rinnovarlo con l’assistenza di un avvocato, ma ho già un piano B molto eccitante. Ho sempre avuto un piano B. Ci sarà una sorpresa, a New York o cambiando continente. Di stili in pasticceria ne ho visti tanti, e anche di modi di produzione. E non è finita: penso di non essere ancora a metà strada. Da italiana sono fiera delle nostre tradizioni e della nostra cultura del cibo, ma i migliori pasticcieri per me sono francesi. Hanno una finezza tutta loro. Il momento più creativo sono stati i due anni che ho trascorso al Magorabin di Torino, dove Marcello Trentini mi ha dato carta bianca. Era molto eccitato per la mia creatività. Ricordo un dessert di passion fruit, cioccolato bianco, wasabi e platano fritto; oppure il gelato rucola e shiso col lampone. 


Invece quando ci sono i grandi nomi, la creatività passa in secondo piano, per esempio Ducasse aveva i suoi dessert iconici, che erano sempre quelli, il profiterole, la tarte Tatin, il babà. Ma ho scoperto che dove non riesco a infilare la creatività, posso mettere il mio modo di organizzare il lavoro. Ed è un altro genere di soddisfazione. Per il resto mi piace imparare e chapeau! Ad oggi preferisco la pasticceria da bottega, perché in cucina c’è troppo sacrificio. Sono ore interminabili dalla mattina fino alla notte fonda, come una ruota che gira. Invece qui l’offerta cambia spesso, ogni volta cerchiamo il modo di organizzarci meglio e lavorare più velocemente. Riesco a godermi il pomeriggio come una persona normale, posso creare contenuti su Instagram, ma vorrei anche aprire un blog e una pagina Youtube. Tutte cose che in un ristorante sarebbero impossibili.


Con il covid i miei programmi sono un po’ deragliati, certo un giorno mi piacerebbe creare qualcosa di mio, ma sono una pasticciera viaggiatrice, come un tomtom che sbaglia strada e ricalcola il percorso. E mi sento realizzata così, in viaggio. Ai ragazzi che escono dalle scuole consiglio di buttarsi: è meglio fare il passo più lungo della gamba, cadendo nel mezzo, che procedere un piede dietro l’altro, al sicuro. La gastronomia è un mondo di leoni, siamo pieni di passione e disposti a tante rinunce. Senza sprecarci, però. Consiglio di correre dietro ai grandi maestri e mandare tante email, poi con l’olio di gomito i risultati arrivano”.

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