Piatti che vanno al cuore del sapore, toccando le note più intense della materia:” Questo per me è il rispetto della cucina, non solo rivedere una ricetta o proporla alleggerita”. La primavera di Carlo Cracco e Luca Sacchi inaugura una “nuova era gastronomica italiana” in Galleria.
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Il ristorante
Forse a Milano tutti corrono perché hanno paura di fermarsi. Quando ti fermi sei costretto ad avere una sicurezza e una motivazione che non sia il solo l’andare avanti, il progredire per il progredire stesso. Carlo Cracco si è fermato un sacco di volte. Ed è sempre ripartito. Quando il passo era sbagliato, quando non riusciva più a crescere, quando si è accorto che non poteva più chiedere niente. Probabilmente è ripartito anche oggi.
Il brusio della Galleria Vittorio Emanuele ti segue anche al piano terra del regno di Cracco, in quel bar che serve splendide colazioni dolci e salate e dove puoi pranzare alla milanese, un po’ in vetrina e un po’ di fretta. È il sottofondo della Milano exposta, a cui piace mostrarsi in continuazione. In fondo la Galleria è un’eredità culturale del carattere francese e napoleonico, una challenge con Parigi, un’influenza a guardare in alto per poi guardarsi un po’ addosso e magari scrollarsi la polvere dalla spalla.
Fuori dalla Galleria c’è un’altra verticalità, quella del Duomo, che non si protrae verso l’alto ma verso l’Altissimo. Il palazzo di Cracco esprime verticalità umana. Dalla confusione di massa del piano terra si sale al piano del ristorante, un luogo che per un istante stordisce. Pare di essere fuori dal tempo. Le porte dell’ascensore che si aprono sono un gate spazio-temporale. Sei dentro il palazzo, dentro la storia, che Cracco ha scelto di riportare in vita, con un progetto di ristrutturazione che in pochi conoscono, che in molti danno per scontato per distrazione, me compreso.
"I locali del piano ristorante erano abbandonati dagli anni ‘90, ho visto qualcosa che probabilmente solo io potevo capire, vedere e accettare. Gli altri piani non erano uniti, erano tutte proprietà separate. Abbiamo partecipato al bando del Comune e lo abbiamo vinto. Siamo partiti da zero, l’unica cosa che avevamo erano queste bellissime finestre. Abbiamo cercato di dare un’anima, di immaginare come probabilmente erano questi locali tanti anni fa, con un lavoro profondo di ricerca e di normative. Per far convivere un ristorante all’interno della Galleria. Per portare questo luogo nel futuro".
Per chi ormai non si stupisce più di niente o per chi ha abbandonato qualsiasi criterio poetico di rapporto con la realtà, per chi insomma ormai si emoziona come un’ intelligenza artificiale, l’accoglienza a Palazzo è solo un altro modo per dire business e fatturato. Posto che da lì non si può evitare di passare, mi fa piacere sottolineare quanto una semplice colazione milanese “in piedi”, caffè e brioche per intendersi, costi molto meno che in altre rinomate pasticcerie milanesi. Su questo sappiamo delle discussioni tra Carlo e Luca. Carlo per ora l’ha sempre spuntata, mantenendo più accessibilità di prezzo rispetto all’alternativa di offerta in Galleria, e in tutta Milano aggiungo io. Stiamo parlando di un caffè buonissimo e di un croissant spettacolare, uno tra i migliori della City. Fra l’altro anche esteticamente di un altro livello. Per Cracco lo scambio di sensibilità umana che accade tra chi fa e chi riceve ristorazione è qualcosa da conservare, qualcosa di irrinunciabile. Il ristoro non è solo fisiologico.
"Quando è venuta Patti Smith, voleva togliersi dal casino della Galleria. Anche dall’intensità disordinata che spesso c’è al nostro piano terra, al bar. Subito ci ha detto che qui al ristorante è tutta un’altra storia. Poi ci ha chiesto una cosina da mangiare, pensaci tu mi ha detto. Mi ha messo in difficoltà. Vado da Luca e decidiamo di fare qualcosa di tradizionale, ma nostro. Un assaggio e poi un piatto principale. Quando sono andato in sala e le ho chiesto come era andata, Patti non ha risposto. Si è alzata e ha cominciato a cantare una delle sue canzoni per noi. Io non gliel’avrei mai chiesto. Il gesto di condividere la sua arte è stata una cosa emozionante".
Emozionante è quando muove e commuove. Quando non c’è presunzione, solo qualcosa di potente da comunicare. Sopra il ristorante, c’è il piano della Sala Mengoni, dedicata a eventi o manifestazioni private. Uno spazio recuperato all’interno, per avere lo stesso wow effect di quando metti la testa fuori sul ballatoio, e guardi giù la corrente umana di cui anche tu fino a pochi istanti prima facevi parte. Cracco ci racconta che lo splendido pavimento “alla veneziana” è stato rifatto quasi interamente, con le maestranze inginocchiate per giorni a comporre la superficie tessera dopo tessera come mosaicisti. Sullo stesso piano, su un’ala diversa, l’immensa cucina per le preparazioni in cui perdersi di vista. In sei anni il progetto non è ancora finito. O meglio. Non ha mai smesso di ripartire, mettendo in fila, uno dopo l’altro, tutti i livelli per restituire questo angolo di Galleria a Milano.
Anche sotto terra non smette di vivere. Proprio sotto il camminamento della Galleria c’è la splendida cantina, regno di Gianluca Sanso che da sei anni la gestisce e la fa evolvere. Grande spazio alle eccellenze italiane e alla Francia della triade Champagne, Borgogna e Bordeaux. Negli ultimi due anni maggiore ricerca di profondità sui piccoli produttori italiani e su novità assolute come la Transilvania.
L’impeto verso l’alto travolge anche il personale. Presto chi lavora da Cracco potrà dire “abito in centro, in Galleria”. Fra qualche mese sarà pronta la foresteria nei locali del sottotetto, uno spazio di ampia metratura e respiro che sarà messo a disposizione per circa trenta tra ragazzi e ragazze. La guest house cracchiana ora è in zona Solari, una spesa considerevole per l’azienda Cracco, oltre che poco comoda per chi si deve spostare. Immaginatevi la svolta per il personale. Un piano di scale e sei nella tua stanza per riposare o in un living room condiviso per lasciarti un attimo andare. Cracco in Galleria è un progetto vertiginoso, la cui ampiezza non è mai stata abbracciata, il cui orizzonte è la ricostruzione dell’accoglienza dimenticata nel centro storico milanese. Cracco sta lavorando per chi arriverà dopo di lui. Ha preso più di 2000 mq calpestabili - scusate ma il numero è più impattante - e li ha resi oltre il vivibile, una testimonianza di bellezza, una trasmissione e un contagio di prospettiva.
"Dopo l’Albereta con Marchesi, ho preso un ristorantino a Piobesi D’alba con tre soldi in croce, per il resto ho fatto il debito. Eravamo in tre in cucina, un bel trauma. Un po’ di paura c’era. Sai che sei capace di lavorare e dopo aver gestito una cosa grossa, una più piccola non dovrebbe essere così difficile. Era stato Bruno Ceretto a spingere che andassi in Piemonte, perché lì costava poco. Quando l’ho detto ai miei mi hanno chiesto se ero sicuro. Non lo ero ma ci volevo provare. Poi ho capito che non ero così felice di stare in campagna e preferivo Milano, perché un po’ ne avevo il mito. Lì nelle Langhe era tutto troppo lento e in molti mi guardavano storto. Se guardi adesso è pieno di stellati. L’obiettivo è di cercare di capire se ce la puoi fare. Allora riparti".
In quella trasferta piemontese c’era già Matteo Baronetto, diciassettenne. Si facevano un “mazzo incredibile”. Il lavoro gli permetteva anche di superare gli scogli psicologici. La crescita non è mai lineare, è sempre un percorso piuttosto accidentato. Anche ripartire da zero è una crescita, perché in fondo l’errore e la fatica fanno parte del percorso, lo rendono amaricante e speziato. Fosse tutto dolce, tutto confortevole. La noia. Ci raccontano che Carlo è sempre in piedi al pass, anche durante il giorno. Per parlare con lui di questioni organizzative o amministrative ci si deve adattare, vietato sedersi, letteralmente. A lui stare in cucina continua a piacere come il primo giorno.
“Non è un problema sbagliare. Per i ragazzi sembra caschi il mondo. In realtà è una crescita. Se una cosa te la senti, la correzione fa parte del gioco. Quando hanno voglia e sono disponibili, cerco sempre di portare i ragazzi più avanti che posso. A volte l’incastro non va. Quando vedo un ragazzo che sta tanti anni e che prende in mano la cucina, per me è la cosa più bella. E vuol dire che sta anche bene”. Matteo Baronetto è stato il primo. Lui se la sentiva. Luca Sacchi, da Abbiategrasso, non è da meno. Da diciassette anni è alla corte di Carlo. (Anche solo contando le volte in cui è stato citato da Cracco e da Sacchi, sembra proprio che il terzo craccogenito sarà Mattia Mangolini). Luca arriva come terzo di pasticceria e ora è leader tranquillo.
Cracco lo descrive come uno che all’inizio non parlava quasi mai. Però quando gli chiedevi qualcosa, quando gli davi un compito, scattava con tempo di reazione da velocista. Uno che riesce a fare più cose alla volta e a tenere l’orizzonte ampio. Durante l’intervista, Luca pesa ogni parola, eppure nei suoi occhi c’è una leggerezza che, senza poter dire di conoscerlo, associo alla forza di nessuna presunzione. Luca sa che condividere gli conviene, che ascoltare è il primo talento per fare qualcosa di veramente nuovo.
“Valorizzare un talento in cucina, si concretizza nello sfruttare la collaborazione di chi lavora con te. Mattia è il mio pari, un ragazzo più giovane e diverso da me. Il confronto con lui funge da legante con tutti gli altri ragazzi in brigata. Se io dovessi affidarmi solo a me stesso sarei lontano. Con il suo aiuto i ragazzi arrivano a capire che ognuno di loro è parte del risultato di tutti i giorni. E che questi risultati necessitano di uno sforzo enorme. Il nostro compito è far capire che lo sforzo va fatto e che va vissuto con serenità. Io pretendo che in cucina si stia bene, perché tanto si sta qui quasi tutto il giorno. C’è già la mole di lavoro che crea uno stress non indifferente. Il lavoro costa fatica, non puoi farci niente, ma se lo fai in un ambiente sereno che ti permette di non avere la schiena rigida tutto il giorno, è più semplice anche per i più giovani crescere e capire quali valori cerchiamo di trasmettere”.
Questa concezione è il primo segno della sostenibilità di tutto il palazzo. Se tra più di cento persone non ci si sostiene, il progetto prima si crepa e poi crolla. Dentro questa dinamica, da qualche anno si inserisce anche l’azienda agricola biologica Vistamare di Santarcangelo di Romagna, presa da Cracco e sua moglie quando l’anziano proprietario non riusciva più a condurla.
“Anche se non è vicinissima fa parte del progetto. L’abbiamo rilevata non tanto per il valore dell’azienda agricola, ma perché è una scelta, come quella della galleria, di recuperare parte di un patrimonio per metterlo al servizio di tutto il progetto. Ci sono ulivi, frutteto, vigna e orto. Il lavoro della campagna non finisce mai, si riparte a ogni stagione, a ogni raccolto. Stiamo cercando di integrarla sempre di più con il ristorante a Milano. All’inizio con i succhi. Poi abbiamo capito che i succhi non erano un valore così importante. Pertanto la frutta ora è destinata a lievitati e pasticceria. Con gli scarti della frutta recuperiamo circa il 15% di cellulosa che utilizziamo con Favini, produttore della carta di tutti i supporti e dei pack della galleria. La plastica l’abbiamo già fatta sparire da ogni supporto. Cerchiamo di avere l’impatto minore possibile, di coltivare questa sensibilità”.
La ricerca in cucina e i piatti
La verticalità in cucina comincia dopo il covid. Un’altra ripartenza. Al quadrato se pensiamo a tutto il palazzo. Sono momenti in cui scricchiola tutto, dai conti economici alla propria identità. Da lì Carlo e Luca (e Mattia) sono ripartiti. Dal recupero della cucina italiana come patrimonio, non solo da restaurare ma da rimettere su lunghezze d’onda comprensibili oggi. Per Luca sono ancora agli albori, al punto zero. Eppure traspare con chiarezza la radice lombarda, senza che sia una gabbia. Tutto comincia dalla materia prima del territorio, a cui vengono applicate idee che attraversano le variegate spinte regionali, da nord a sud, dalla montagna alla costa. Questa è l’Italia, totalmente non lineare. Già in autunno c’era stata la rivisitazione del timballo del Gattopardo. Luca è un professore, sta sui libri. Li assorbe, li filtra, li trasforma.
"Penso che la ricerca verso il passato nasca dalla mia passione infinita per i libri di cucina, libri del passato che hanno una poetica e che trasmettono un’emozione enorme nello scritto e nel disegno. L’atto del cucinare andava trasmesso graficamente, quindi c’era più cultura. Perché serviva più motivazione, consapevolezza e metodo nella trasmissione". Andare in profondità è sempre un movimento verticale. Più lento, perché c’è più attrito. Eppure paga. Il menù primaverile fa zampillare colore e freschezza come da un pozzo di petrolio.
L’oro della cucina italiana è lì sotto, forse anche sotto una pila di libri o di lettere o di testimoni. Leggi lingua di vitello, rane, trota, quaglia, rabarbaro e fragole. Qualcuno inclinerebbe subito la testa, storcerebbe il naso, arriccerebbe le labbra. Passaggi materici che portano dalla povertà alla ricchezza. Un fil rouge lombardo trapassato dalla tecnica e dalla storia del ristorante stesso. La dote del territorio prevale sull’idea personalistica, sul one chef show.
Il focus lombardo passa anche dal recupero del pesce d’acqua dolce, ancora considerato “sfigato” rispetto al cugino figo di mare. Sorridendo, Cracco diceva che a Milano in fondo manca solo il mare. Forse perché lui l’ha trovato in Romagna e ne ha assorbito gli influssi positivi, in quei sorrisi e in quella leggerezza che i romagnoli espirano automaticamente. Per la proprietà transitiva a Milano spesso mancano anche questi. Cracco cerca di esportarli a palazzo, come una regola non scritta, che però dà un sapore diverso anche alla fatica. Sogliola fondente, fagiolini, ravanelli e pane all’aceto è un altro scavo nella tradizione, quella che usava la foglia di lattuga come contenitore e quella dell’insalata di tonno e ravanelli, in cui lo scatolame era una delle poche proteine marine che arrivavano in campagna.
Un tempo ci si arrangiava. Luca ne ha fatto un arrangiamento, in cui la lattuga viene farcita con una parte di sogliola e una parte di trota - presto sarà trota al 100% - fagiolini, piselli, carote, senape e limone. Una volta chiusa viene passata al barbeque, poi appoggiata su crema fondente di ravanelli arricchita con fiori in carpione. Pesci dolci a cui si aggiunge “fumo” e acidità di terra. Un piatto per quando vuoi che sia sempre domenica, dai nonni o dove ti pare. È la seconda ricetta con la preparazione in carpione, qualcosa che andava un tempo e che a palazzo torna di moda. Per usare l’aceto in modo che non annulli qualsiasi altro sapore, ci vuole la stoffa del carpione. (prendetelo come un errore di battitura). Il terzo piatto è la Quaglia ingioiellata, il virgulto. L’esplosione primaverile.
La Galleria collega piazza Duomo a Piazza della Scala. Questo volatile potrebbe fare sia la celebrità che guarda dal balconcino, sia la prima ballerina. Primo e secondo insieme, concentrazione lombarda, in versione banchetto. Il riso con le quaglie era tipico degli anni ‘60 e ‘70, così come la farcitura dei volatili. Luca mi racconta la preparazione con lo sguardo del cacciatore di preparazioni complesse, del serial killer del piatto elaborato. La quaglia viene disossata e farcita con carnaroli allo zafferano mantecato, condito con albicocche secche, uva sultanina, mandorle tostate, aceto, prezzemolo, coriandolo e parmigiano. Poi cotta al forno.
Così come avveniva con il riso alla curcuma in Persia, anche la quaglia viene ingioiellata con spezie caramellate quali coriandolo, pepe rosa e poco cumino. Infine, adornata di fiori colorati e foglie di coriandolo spezzate. La quaglia è servita al tavolo con una cerimonia che ne esalta ancora di più la golosità e la presenza esclusiva. "Se questi piatti li assaggiasse mia nonna, sarebbe contenta non perché li ho fatti io, bensì perché vanno al cuore del sapore, toccano le note più intense della materia. Questo per me è il rispetto della cucina, non solo rivedere una ricetta o riproporla alleggerita".
Carlo, Luca e Mattia si sono messi in testa di portare la tradizione della cucina italiana nel futuro. Di connotarla al presente, di ri-accoglierla. La difesa del variegato patrimonio della nostra penisola è appena iniziata. Non gli sono bastati due menù e non gliene basteranno altrettanti. Hanno preso una strada tortuosa, lo sanno. Quella in cui c’è meno egoismo e meno fiction. È lì che vogliono camminare. Grazie. In anticipo.
Contatti
Cracco in Galleria
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