Migliore cuoca del mondo nel 2021, Pia León non è più “la moglie di, ma Pia”. Il successo internazionale del suo ristorante Kjolle le ha trasmesso fiducia e sicurezza, che cerca di condividere con la squadra. È il grande tema della salute mentale in cucina, di cui si comincia fortunatamente a parlare.
Foto di copertina: Paola Flores- Lamula.pe
La chef
Pía León è instancabile: a soli 36 anni, di cui 15 in divisa da cuoca, ha appena piazzato il suo Kjolle al 28° posto di The World’s 50 Best e al 7° della classifica sudamericana, ma ha anche aperto Mauka a Cusco, scritto un libro per bambini e partecipato alla conquista della seconda stella da parte di MAZ Tokyo. La ragazza con i capelli biondi non è più solo la moglie di Virgilio Martinez, anche se le piace ancora far parte del Central, il luogo dove ha imparato come guidare una cucina. “Non sposa di, ma Pia”, una trasformazione dovuta in larga misura all’avventura in solitario. Di fatto i concept dei due locali sono ben distinti: se il Central lavora sull’ecosistema di montagna, che cambia piatto per piatto, Kjolle si muove liberamente, per mostrare la biodiversità del paese.
“Kjolle ha appena compiuto cinque anni e sembra che ne abbia dieci”, ha dichiarato in un’intervista a El Trinche. “Siamo stati chiusi per due anni a causa della pandemia ed è stato complicato. Ora inizia a camminare da solo, a evolversi, la squadra è molto più solida, dagli inizi la maggioranza segue la stessa linea, condividiamo la medesima filosofia e questo aiuta. Resta moltissimo da fare, a volte si parte con qualche insicurezza e qualche paura, poi col tempo si acquista fiducia e ci si assesta su un cammino un po’ più stabile. Questo te lo consente solo il tempo, e la squadra con cui lavori”.
La cuoca peruviana confida anzi che per reggere il peso dei sacrifici, occorre sempre cercare di più. “Ma per quanto sia difficile crederlo, a guidarci non sono liste e classifiche. Vogliamo che la gente sia felice, lanciare un messaggio, formare una squadra di ragazzi che si proiettano nel futuro. Lavorare in comunità, integrare persone incredibili che fanno ceramiche o posate. Sviluppare la nostra rete di produttori e fornitori, crescendo insieme. Abbiamo la fortuna di essere in tre, Malena, Virgilio ed io. Ci circondiamo di gente che pensa e condivide i nostri valori”.
“Chi entra da Kjolle sente l’onda, l’idea è che la squadra si senta a suo agio, in modo che lo trasmetta a chi ci visita. Prima ero più severa, ora mi sento rilassata, ma quando bisogna richiamare l’attenzione, va fatto. Ed è una squadra giovane. Questa dinamica dell’insegnamento, che i ragazzi acquistino fiducia in se stessi, significa trasmettere loro qualcosa di nuovo, perché prima uscivano in sala timidi, impauriti, nervosi. La chiave è che la squadra senta e condivida ciò che vuoi; non che ti segua, ma che ti accompagni e avanzi insieme a te”.
È il grande tema della salute mentale nella ristorazione, sempre più attuale. “Quando sono entrata nel settore, ho vissuto la cucina antica, ma anche un po’ quella nuova. Qualcosa a metà. Sono passata in una cucina dura, dove ho sofferto. Non mi hanno mai sfiorata, ma è stato mentalmente estenuante. Credo che oggi la gente sia molto più consapevole e mi sembra grandioso. Non significa che la gastronomia cambierà il mondo, ma un cambiamento possibile, a partire dagli orari di lavoro. Non solo per la fatica, ma affinché la gente si senta più felice. Adesso per esempio siamo riusciti a far sì che tutti abbiano due giorni interi di riposo. So com’è, avendolo vissuto: sono azioni necessarie per generare tranquillità, benessere e felicità nella squadra”.