Il ristorante Guido a Rimini è un porto sicuro: qui i fratelli Raschi servono una delle migliori cucine di pesce dell’Adriatico, dove la reverenza verso la materia si rispecchia nell’inchino alla memoria, l’endocucina romagnola si fa spunto per la creatività e la sperimentazione.
Crediti Fotografici di Giorgio Salvatori
La storia e il ristorante
Rimini 1946, vecchie foto color seppia su una spiaggia infinita, la giovinezza degli avi in un abbraccio rubato. Affonda indietro nel tempo la storia del ristorante Guido, umile chalet nel quale nonno Guido con la moglie Augusta, e poi mamma Tiziana servivano i loro mangiari popolari.
Gli spaghetti con le vongole rossi, il risotto di pesce, le seppie con i piselli, le lumachine di mare: evergreen che i fratelli Gianpaolo e Gianluca Raschi, in cucina e in cantina, per un po’ hanno mandato in soffitta, nell’incalzare dell’ambizione e della creatività.
L’anno di svolta è stato il 2002, quello del menu “Prove tecniche di trasmissione”, con azzardi ittici al caramello e al cioccolato, che oggi rammentano con qualche imbarazzo. Poi la tradizione è tornata in una forma originale e ripensata, che ha meritato la stella nel 2008, sempre confermata. Mentre i piatti di famiglia sono stati ripescati in un locale a parte: Augusta cucina e cicchetto, aperto nel 2020 nella zona centrale delle antiche ghiacciaie, di cui serba le vestigia, con l’ingresso che rievoca il foyer del Teatro Amintore Galli e un piacevole dehors per la bella stagione. Vi officia in pianta semistabile Gianluca, che però continua a sovrintendere alla carta dello stellato insieme alla sommelier Scilla Guidi.
Di là a Miramare resta in servizio Gianpaolo, che è un cuoco autodidatta, formato in uno striminzito corso da 100 ore al Palace di Rimini, zero stage, zero mammasantissima, da trent’anni impegnato a suonare lo stesso piano cucina familiare.
Negli anni ha decantato qualche signature, condensato di una poetica personale: per esempio i deliziosi spaghetti con le ostriche mantecate a crudo, nati per coniugare l’icona italiana con la tradizione transalpina dei molluschi al burro, più una spolverata marchesiana di erba cipollina; ma anche la seppia e squacquerone, la canocchia che ricorda un gratin e la bassa marea in Adriatico, che in estate cede il passo alla pizza ai frutti di mare crudi.
La materia arriva dalla pescheria di fiducia, aperta nello stesso anno del chiosco dei nonni, con cui la collaborazione va avanti da tre generazioni. Varietà di stagione che sono di volta in volta protagoniste del piatto, senza comprimari, fino al monoingrediente. Vengono preparate nel laboratorio aperto nel 2019, che rifornisce entrambi gli indirizzi, anche di pane. In accompagnamento una cantina da 4000 bottiglie, con gli autoctoni e il territorio alla ribalta, dal famoso al trebbiano.
I piatti
I degustazione sono due, con i signature contrassegnati: Benvenuti a Rimini, con le cotture tipiche della zona, dalla grigliata alla marinara, al brodetto e Guido 2024, che contiene i piatti più recenti, rispettivamente a 110 e 160 euro. E gli appetizer danno subito la misura del pasto: la lisca di zanchetta in forma di cialda, ricavata nella biscottiera elettrica, con maionese di cipolla bruciata; la polpettina di anguilla all’aceto con gel e aceto di ciliegia; i deliziosi bianchetti con gel di olio e limone; la spugna di mais con baccalà mantecato leggermente affumicato; la piada fritta con “lardo” di gamberi asciugati sotto sale, nel filone (destinato a ricorrere) dei salumi ittici.
Fra i piatti ormai storici, anche il benvenuto: un Cappuccino di seppia lontanissimo dalle Calandre perché monoingrediente, nato per valorizzare gli scarti del piatto allo squacquerone, dove si impiega solo il mantello. Quindi il brodo tostato, la schiuma bianca come il latte e il nero in polvere, tipo cacao. 100% seppia. Il baccalà viene cotto sottovuoto con cipolla fresca, olio e aceto; riposa tutta la notte, per concertare i sapori e rassodare la testura. Viene poi porzionato e con gli scarti e il liquido si ricava la salsa, un pil-pil con olio al prezzemolo; alla base una salsa marinara classica a base di cozze, vongole, vino bianco e pepe.
La Mazzancolla al beurre blanc nasce dal desiderio maturato negli ultimi tempi di andare a riscoprire le salse classiche. Quindi i crostacei crudi, conditi e appena fiammeggiati al cannello, nappati generosamente di beurre blanc infusionato delle teste e delle carcasse tostate, fino a colorazione aranciata, più una seconda salsa che è un jus vegetale volto a strutturare il piatto, bilanciando la tendenza dolce e grassa con una spennellata di amaro.
Ma a strappare l’applauso, quale piatto che sintetizza il momento creativo del ristorante, è il Cappelletto di cefalo alla griglia in brodo di aceto, dalle sembianze quasi orientali nella julienne fine dei vegetali crudi. Rappresenta un’epitome dell’Adriatico, nell’abbraccio di due preparazioni iconiche: la pasta ripiena in brodo e il pesce alla griglia. Ma in bocca spariglia, per la sorpresa gustativa di un secondo identitario laddove non è atteso e la nitidezza acetica del liquido, una miscela di acqua e aceto di sangiovese di Rimini con cipollotto fresco, peperone e peperoncino, la pelle carbonizzata di aglio e cipolla in polvere a spingere la griglia.
Sembra quasi un gesto di cura, avvolgere il pesce più povero nel calore della sfoglia. “Mia madre cucinava il cefalo sulla griglia a carbone, lo condiva con aceto, olio, aglio, peperoncino e prezzemolo, poi lo dimenticava in frigo per il giorno dopo, quando lo mangiavamo freddo. Conservo in mente quel gusto, da cui è nato il piatto”.
Poi il calamaro che vira sull’amaricante, con la liquirizia che prolunga il brûlé della griglia. “Da fine estate a inizio primavera il nostro calamaro ha dimensioni minute, carni tenerissime e dolcissime. Viene marinato in olio, aglio, alloro e vino bianco, poi timbrato brevemente sulla griglia. Lo stesso trattamento subisce il fungo di stagione, che sia fungo ostrica o pleurotus. Più il brodo degli scarti del mollusco, aromatizzato alla liquirizia, e la crema di quelli del fungo”.
La rana pescatrice è servita in purezza, sotto forma di sandwich croccante. “Cercavo un piatto di rottura per il degustazione lungo, fra una sezione e l’altra. Ho pensato a cracker ricavati dal filetto della coda di rospo, lasciato asciugare in frigo, abbattuto, tagliato all’affettatrice, disidratato e fritto. Poi c’è il finto lardo ottenuto dallo stesso filetto, trattato come il salume, messo sotto sale, lavato, massaggiato con aceto, pepe, rosmarino e lasciato asciugare appeso. A lubrificare una maionese con l’aringa affumicata, che metterei dappertutto, come il bacon”. Chiude la meringata al limone.
“Volevo riprendere un dolce classico della pasticceria internazionale, rinnovandolo a modo nostro. Al posto del pan di Spagna dei crostini di pane inzuppati nel burro alla vaniglia e croccantati, serviti con gel di salvia, gel di pompelmo rosa, capperi fritti, meringa all’italiana fatta al momento e fiammeggiata, sorbetto di limoni della Costiera per pulire il palato”.
Contatti
Ristorante Guido 1947
Lungomare Guido Spadazzi, 12, 47924 Miramare RN
Telefono: 0541 374612