Arnaud Donckele serve al ristorante Plénitude di Parigi un’esperienza totale: la cucina di impianto classico sublima l’istituzione delle salse, protagoniste di un menu degustazione; mentre l’ospite si sposta fra diversi ambienti, coccolato da un servizio affabile.
Foto di copertina: AFP
Il ristorante
Plénitude, insignito di tre stelle Michelin più premio Passion Dessert, è la place to go in questo momento a Parigi. Se infatti per qualche stanco lustro la cucina francese è sembrata francamente arrancare, come sopraffatta dalla soma di eredità troppo pesanti, ora a ridarle smalto è intervenuta una generazione di cuochi formidabili, che sono francesi fino al midollo e sanno giostrare i sacri feticci con agilità giocosa.
Ne fa sicuramente parte Arnaud Donckele, autentico poeta delle salse, che della cucina francese sono il verbo. Il ristorante Plénitude, di cui è chef patron, ha aperto nel 2021 negli spazi dell’Hotel Cheval Blanc, sulle rive della Senna, ed ha ricevuto la consacrazione della rossa a tempo di record, nel giro di pochi mesi, nel 2022. Merito anche di una squadra di giovani professionisti motivati e talentuosi, fra cui risalta il direttore Alexandre Larvoir.
L’ingresso è quello monumentale della struttura alberghiera, come narra theworlds50best.com; da lì si transita per la cantina, luogo del primo contatto fra gli ospiti e il personale di sala, dove discutendo di vino vengono carpite le prime informazioni, prima di approdare nelle intime sale da 30 coperti. Le formule sono due: il menu Symphonie, composto di sei atti dedicati alle salse a 450 euro, e Fuguons Ensemble, con le sue 4 corse da pescare da una rosa di opzioni a 390 euro. Comunque centrale è la sacra ciotolina, che sublima una miriade di ingredienti, puntigliosamente elencati: “La salsa dà al piatto la sua anima. È un liquido che veicola emozione e onestà. Non puoi barare. Lo considero il centro della ricetta, non meno della carne, del pesce o del vegetale che l’accompagnano, o da cui è accompagnata”.
C’è un piatto alla cui finitura l’ospite è chiamato ad assistere in cucina: “Ed è un momento in cui spesso sentiamo un cambio di spirito e di energia”. Né manca una saletta segreta dedicata ai formaggi, dove gli ospiti che lo richiedono possono sostare dopo il main course. Mentre alla fine del pasto, dopo il dessert firmato da Maxime Frédéric, ci si sposta al decimo piano per assistere alla visione notturna della Ville Lumière. In questo modo, osserva Larvoir, gli ospiti diventano attori nel dramma della cena, non più passivi spettatori.
“Chiedo ai miei cuochi di cucinare come farebbero per le persone che amano di più al mondo. Idem per la squadra di sala, chiedo di portare agli ospiti tutto quello che possono, di essere veramente generosi. È così che accade la magia”, rivendica Donckele, originario della Normandia rurale. “Cerchiamo di creare un nuovo stile di servizio che sia rilassato e non troppo formale. Veicoliamo un po’ dello spirito campagnolo, che non ci si aspetterebbe di trovare in un hotel di lusso. Per me l’ospitalità dello staff, attraverso il suo approccio più poetico possibile, forma la spina dorsale emozionale di ogni piatto”.