Se da fuori l'insegna occhieggia allo stile delle pittoresche locande tradizionali, all'interno vira verso i cromatismi di un "acquario" dove la modernità sguazza in libertà. Officina dei Sapori spezza il circolo della prevedibilità culinaria in quel di Gubbio, grazie a due fratelli appassionati del mestiere e un giovane team trentenne.
In Italia c'è una legge statistica che supera i confini regionali: dovunque abitiate, sul podio della vostra best selection gastronomica brillerà almeno un ristorante a conduzione familiare. Non l'osteria stantìa dai primi scoloriti almeno quanto il menu, né il finto gourmet che usa l'animella solo per l'improvviso revival della frattaglia; parliamo di tavole solide quanto le mura che le circondano, cementate da un legante di affetto e vita vissuta in cui ci si sente ricompresi già dall'uscio.
Se poi siete fortunati, l'indirizzo in questione vi darà l'idea di un pacifico turnover generazionale: la meglio gioventù che s'alterna ai veterani, senza strappi o conflitti da "parenti serpenti". Ecco, a Gubbio si trova un posticino simile, solo che una cena al suo interno vale doppio. Sì, perché Officina dei Sapori non ha mai scisso le nuove ambizioni dalle profonde origini che la rendono ciò che è: una "casa" più appariscente del previsto, ma pur sempre invasa da profumi veri, sguardi complici e abilità maturate fianco a fianco. Homemade per davvero, insomma, oltre la narrazione edulcorata dei social e le corse all'ultimo like.
La storia
Figli d'arte, certo, eppure artefici del proprio destino. Giacomo e Veronica Ramacci - cresciuti da papà Claudio, fra gli chef più stimati in zona, e mamma Manuela, emblema d'accoglienza- decidono consapevolmente di non vivere di rendita: troppo facile ricalcare le orme dei maestri.
Così il primo torna da Londra e forma in autonomia una squadra di giovani promesse sotto i 30, mentre la seconda allestisce un'enoteca spiccatamente centrata sugli highlights regionali. È il 2015 quando Officina dei Sapori debutta, lui tra fiamme e tegami, lei tra calici e inventari. Mentiremmo dicendo che il feeling centra poco: la complicità genetica emerge spesso durante il servizio, a confermare che il DNA incide, eccome.
Del resto, la famiglia Ramacci presiede da tempo una piccola costellazione di indirizzi eugubini, dall'Hotel Gattapone (realtà a gestione propria, apprezzata per la sua collocazione strategica) alla Taverna del Lupo, che ha visto Claudio come executive per ben 40 anni. Il duo parte da qui e plasma un modello di ristorazione double face: se vuoi conforto istantaneo opti per la Norcineria (vedi l'escalation di formaggi, giardiniera e salumi con crescia di Gubbio), oppure per un assaggio condiviso di carni da animali allevati allo stato naturale (tante le varietà, dal cuore di costata Rib Eye finlandese alla Tagliata di Chianina); se, invece, senti un richiamo fine dining effetto calamita, punti sul tasting a creatività controllata.
Non c'è obbligo che tenga: l'ospite sceglie secondo le pulsioni del momento, costruendo da sé il percorso o affidandosi all'iter spigliato della cucina.
Il ristorante
C'è chi visita Gubbio solo per una foto davanti al "Bar di Don Matteo", set open space dell'omonima serie TV, e chi per immortalare la botte di legno più grande d'Europa (attrazione seminascosta fra i vicoli defilati dal centro). Sta di fatto che i tratti in salita del "paese verticale" inducono, prima o poi, un certo languore. Ebbene, Officina dei Sapori staziona a pochi metri dal torrente Saonda, che taglia il reticolo di shop, piazze e chiesette aggiungendo al borgo ameni scorci di paesaggio. Siamo proprio nel vivo della parte storica, ideale per concedersi uno stop ritemprante a fine passeggiata. Ma se da fuori l'insegna occhieggia allo stile delle pittoresche locande tradizionali, all'interno vira verso i cromatismi di un "acquario" dove la modernità sguazza in libertà.
Sala e sedute bluette, cella di frollatura con le carni in bella vista, cucina live sferragliante a una spanna dai tavoli. Ci si ambienta subito nel viavai puntuale dei fratelli all'opera, scambiando due parole con Veronica sul lifestyle umbro e i gioiellini artistici di zona. Poi appare Giacomo, uno che il sogno di famiglia l'ha preso sul serio. "In un cannellone o una tagliatella al tartufo, per me, c'è quel magico 'saper fare' che non conosce età. Come una bozza già pronta dagli spunti essenziali, su cui sta a te lavorare per aggiustare il tiro. Allora tengo ferma l'impalcatura del passato e da lì rifinisco i dettagli, un ingrediente dopo l'altro".
"Tornando al cannellone, da noi è rimasto in carta. Però ci piace pensare che possa riassumere le intuizioni e la manualità di decenni in un sapore puro". Di più: "Moltissime preparazioni tipiche del luogo sono in realtà 'a sfondo verde', per esaltare a dovere i legumi, l'olio e le primizie stagionali. Dunque, oltre al menu principale, ne offriamo uno ispirato dall'orto e ad esso dedicato, del tutto privo di proteine animali". Ecco perché Officina dei Sapori si attesta fra i pochi gourmet in regione a proporre un'intera degustazione green.
I piatti
È un preludio allettante, quello di Giacomo, a confermare la tesi appena esposta sugli usi di una volta: dopo una parata di snack territoriali (vedi la tartelletta di pasta fillo, contestualizzata dal patè di fegatini, o il bao con salsa verde alle erbe aromatiche), viene servito nientemeno che "lardo e ciccioli": il classico spalmabile delle réunion domestiche, che ti ritorna in mente con una nota differente. Sì, perché il grasso risulta fresco e lieve, complice una temperatura di servizio più bassa del consueto, schiudendo gradualmente i suoi sentori appena spalmato sul pane sciapo.
Si scopre ambiziosa la Coratella di agnello, avvolta dalle budella dello stesso e dalla rete del maiale. Cotta direttamente alla griglia, anziché in padella, così da enfatizzare il bis di sensazioni (dentro fondente, fuori roasty), giunge in tavola agghindata da uno spolvero di tartufo a lamelle fini, per un vedo-non vedo che solletica l'interesse. Qui lo chef restaura la "natura morta" di frattaglie e tuberi che un tempo componeva il quadretto casalingo domenicale, dando nuovo smalto alle pietanze umili di sempre. Non a caso, sotto troviamo il topinambur nelle doppie sembianze di purè e fondo delle sue bucce. Il tutto armonizzato da una salsina di pere e senape, in bilico tra morbidezza e pungenza.
"La nostalgia dei "Granny dish" è spazzata via dal Cannellone di pollo arrosto, a metà strada fra pasta e secondo al forno. "Ho voluto unire due ricette in una", chiosa lo chef. Torna il gioco delle consistenze multiple, stavolta con l'en plein di crosta, farcia e salsina. "In cottura, la pelle che riveste le carni del pollo e la sfoglia del cannellone sviluppano textures simili, generando una sottile patina abbrustolita". Dalla teoria alla pratica, Giacomo unisce i piatti forti di entrambe le nonne -Aldina e Marisa- imboccando la terza via dell'estro: la besciamella la fa di nocciole, per accentuare quel delizioso effluvio di tostatura che riporta alle dimore d'infazia. Non manca nemmeno il rosmarino, polverizzato per l'occasione: è memoria che profuma di presente.
Qualcuno ha detto prosciutto? Non figuratevi il solito tagliere: la cucina va oltre, recuperando il grasso rancido di maiale per elaborare il condimento di un primo dal retrogusto lungo. "Abbiamo scelto un'eccedenza che viene impiegata come insaporitore base, secondo antiche pratiche popolari", racconta lo chef. La parte lipidica si aggiunge dunque in fase di mantecatura del risotto, sormontato da petto di pernice e mandorle croccanti. Piacevolmente wild, animalesco puro. Anyway, assaggiando il Petto e coscia di piccione, più il fondo delle sue ossa e un bottone di rapa ripieno dei suoi fegatini, ci si riconcilia appieno con la proteina; non solo per la fibra impregnata di odori gentili, che lavano via ogni residuo sanguigno (le carni sono infatti marinate in aceto di lamponi, ginepro e rosmarino per 12 ore), ma anche per l'eco profondo della barbabietola, presente sia nella sfoglia del bottone di fegatini, sia in un gel corroborante per la finitura.
Il fumé ricompare, inaspettato, nel dolce conclusivo. Trattasi di un cilindretto di pasta fillo lavorata al burro e miele, ricolmo di una chantilly che pungola subito il naso con una fragranza di sigaro acceso. "Colleghiamo la fiamma stessa a un affumicatore, capace di indirizzare il getto dritto in planetaria mentre viene ultimata la crema", svela il talentuoso pastry chef Lorenzo Pisapia. "Sopra, invece, un gel ai frutti rossi sfumato con del bourbon". Ed ecco a voi "sigaro e wisky": il rituale di fine cena sublimato in un boccone.
Contatti
Officina dei Sapori
Via dei Consoli, 13, 06024 Gubbio PG
Telefono: 075 927 1424