50 dollari hanno rappresentato fino ad oggi la soglia psicologica di molti australiani per un pasto al ristorante. “Ma questa percezione deve cambiare: non sopravvivremo, se continueremo a farci pagare come oggi”, ammonisce Teage Ezard, che ha abbassato le saracinesche del suo Gingerboy a Melbourne.
L'opinione
Non si sono ancora spente le polemiche in Australia per una cotoletta di pollo venduta al prezzo di 38 dollari, che già divampa un nuovo casus belli. Del resto, non sono tempi facili per la ristorazione, nemmeno nel quinto continente, dove l’impennata dei costi ha fatto chiudere numerosi esercizi, per esempio Gingerboy a Melbourne, vittima dopo quasi vent’anni della “tempesta perfetta”; mentre tanti altri sono stati costretti a ritoccare verso l’alto i prezzi sui menu.
Il patron Teage Ezard lamenta che tutto sia cresciuto, dai salari ai servizi, dall’elettricità al gas, salvo la cifra che la gente è disposta a sborsare per mangiare fuori. Nelle sue previsioni, il prezzo minimo per un pasto potrebbe presto balzare a 50 dollari, oltre 60 per i locali di media fascia. “Paghi quello che ricevi, e io penso che sia quello che costa”, ha affermato recisamente ai microfoni di 9News.
La pandemia, a suo dire, è stata una passeggiata, rispetto alle difficoltà che sono insorte quando sono state eliminate le restrizioni. Di fatto Gingerboy non si è più ripreso, tanto che Ezard coglie l’occasione per esortare i colleghi ristoratori ad adottare le misure del caso, senza temere di deludere la clientela. Occorre assolutamente chiedere di più o sarà la fine.
“Dobbiamo alzare i prezzi, ma il pubblico non vuole che lo facciamo”, ha dichiarato a Herald Sun. “Dobbiamo farlo e ci deve essere una discussione aperta sul tema. I ristoranti non sopravvivranno, facendosi pagare come oggi. Questa percezione deve mutare. I più dovrebbero chiedere almeno 50 dollari (l’equivalente di 47 euro -poco cambia, ndr), se non di più”.
Il problema è che secondo le statistiche la maggior parte degli australiani ha già ridotto il suo stile di vita a causa della crisi, cominciando guarda caso dai pasti al ristorante e dalla partecipazione agli eventi, mentre la cifra della spesa media per mangiare in casa continua a crescere. Ritoccare i menu potrebbe rivelarsi un clamoroso boomerang per il comparto, già con l’acqua alla gola.