Tana libera tutti: prosegue sempre più sciolto il gioco culinario di Alessandro Dal Degan ed Enrico Maglio ad Asiago. Solo menu degustazione alla cieca, con oltre 20 assaggi, il tappeto sonoro basato sulle frequenze comuni ai sensi e un pairing di piatti “liquidi”, che riequilibrano la componente alcolica stendendo sexy veli sugli ingredienti.
Fotografie di Lido Vannucchi
Il ristorante
“Qui è cambiato tutto”, taglia corto Dal Degan, accogliendo gli ospiti negli spazi senza fronzoli di quella che ora è un’osteria. E poi inizia a raccontare: di come il bar fosse stato convertito nel 2019, subito prima delle chiusure, e di come alla riapertura fosse uscito dal cassetto il vecchio sogno di un ristorante da una manciata di coperti, dove servire un unico menu degustazione. Rafforzato dall’urgenza di risparmiare il più possibile, dopo la batosta delle chiusure, con l’alternativa di chiudere e buttare via dieci anni di storia. L’operazione doveva durare fino al ritorno alla normalità, ma la risposta è stata tale che si è definita sempre meglio.
In pratica il gourmet è aperto otto mesi l’anno, quattro in inverno e altrettanti in estate; durante la chiusura, resta invece aperta l’osteria, con l’eccezione di una ventina di giorni di ferie. Ed è proprio quella, mai interpretata come un’opzione di serie B, a consentire al gourmet di lavorare nella massima libertà, senza preoccupazioni economiche di sorta. Un cassetto di qualità che paga la ricerca.
Il degustazione si è subito intitolato “In Cammino”, alludendo da una parte al percorso creativo del ristorante, dall’altra ai saliscendi di una sessione di trekking in montagna, emulata in bocca. Cambia due volte l’anno, con un 15-20% di varianti stagionali, e comprende 26 assaggi, destinati a non ripetersi mai. Vengono serviti in una dozzina di uscite, talvolta multiple, ma legate da un motivo conduttore. “Nei due mesi di stacco non ci dedichiamo tanto alle prove, che eseguiamo continuamente, quanto alla ricerca di un filo logico nel menu, tenendo in considerazione la non ripetizione, la leggerezza, la quantità di gusti nei piatti”, spiega Dal Degan. “C’è una logica maniacale dall’inizio alla fine, tanto che gli assaggi sono quelli sopravvissuti da un totale quasi doppio, per ragioni di sequenza”. Una formula estremamente strutturata, ma su regole proprie.
L’altra metà della Tana, il sommelier Enrico Maglio, dal canto suo ha posto un altro tema: “Mi piacerebbe non dico eliminare, ma dimezzare l’alcol del pairing”. Non per moda, ma per venire incontro alle esigenze di chi alla fine deve ripartire in macchina, semplicemente non vuole o non può bere. Al posto della consueta, interminabile sequenza di calici, con Dal Degan ha lavorato a “piatti liquidi”, ricavati dagli stessi elementi delle corse, alternati a cocktail dealcolati mediante cottura, vini e birre.
Sono concepiti come continuazione gustativa, che talvolta apporta note di acidità, ma di fatto si dispongono sulle pietanze come veli sexy e trasparenti, ben più neutri dell’acqua vagheggiata da Marchesi. In questo modo si avvicina anche l’obiettivo dello scarto zero, perseguito in sinergia con l’osteria. La stessa carta viene condivisa laddove un’offerta sempre più strutturata chiama ad aprire blasoni.
La cucina
La scelta è quindi fra il menu con piatti liquidi (cui molti associano una bottiglia sul tavolo) e quello senza, rispettivamente a 350 e 220 euro. Gli ospiti arrivano in contemporanea e lungo il pasto li accompagna una sequenza musicale di sottofondo studiata da un professionista, per associate le frequenze musicali a quelle dei piatti. Non ci sono amusebouche, se non scherzosi cicchetti quasi veneziani, antipasti, primi o secondi, né tantomeno predessert o dessert. Anche perché in tutti i piatti è assente il sale, che può essere solo strutturale (tipo baccalà) o da concentrazioni e associazioni; così come manca lo zucchero, che però in pasticceria esercita anche una funziona strutturale, cosicché si finisce più che altro con altri piatti tendenti al dolce.
“Questa ormai è un’esperienza immersiva, significa uscire completamente fuori dai canoni della ristorazione stellata, facendo quello che ci piace. Bisogna anche spiegare che negli anni abbiamo costruito una rete di 70 microproduttori, come Marco, un ragazzo che in estate fa pomodori, in inverno cipolle e patate, o Antonio, pescatore settantenne che ci dà solo moeche e schie della laguna. Piccole realtà che fanno prodotti pazzeschi, ma non avrebbero magari la forza per stare nel commercio. E per la crescita collettiva del territorio è bellissimo. Senza per questo venire etichettati come un ristorante di montagna, fattore che ci ha fatto inizialmente conoscere, ma poi è diventato una camicia di forza. Siamo piuttosto un ristorante in montagna, che cerca di valorizzare al massimo il territorio veneto in generale”. E qui come uno storico Dal Degan racconta il legame plurisecolare con la Serenissima, da cui arrivavano spezie e pesce, in cambio di legname per le palafitte dei palazzi.
Lo schema è quello di un’anabasi, dalla costa adriatica fino all’altopiano, con la materia e le sue potenzialità al centro di un gioco gustativo nuovo. Non avrebbe troppo senso descrivere nel dettaglio oltre 26 assaggi, quanto tratteggiare lo svolgimento di un percorso articolato. Lo accompagna un pane oggetto anch’esso di ricerca continua, tanto che da un anno all’altro spesso passa all’osteria. Questo è prodotto senza lievito, né madre né di birra, ma cresce per la fermentazione dei cereali e dei semi all’interno, usati anche in funzione aromatizzante.
I piatti
Dopo l’aperitivo alla veneziana e il sorprendente biscotto cavolo, cocco e caviale, la prima uscita è dedicata al pesce azzurro: aguglia alla vicentina, sgombro con cavolo nero, senape e miele, aringa, uovo e cipolla. Si beve un whisky sour che porta l’acidità mancante attraverso la macerazione di teste e lische, contribuendo allo scarto zero. Lo stacco è un monopiatto vegetale a tendenza dolce, chiamato con qualche understatement “bietola al burro”, cui Maglio non senza genio abbina un’irresistibile Gueuze. Seguiranno nella medesima funzione il porro di Rubbio sulla brace con lime e brodo di porro e lime e il radicchio e malto, visto che dalla costa all’altopiano si attraversa Treviso.
Quindi i frutti di mare in due tempi: vongole marinate con meringa di vongole, clam chowder, paprica affumicata e gambi di sedano selvatico; cozze con tom kha kai tipo crème brûlée piccante; ostrica al burro con carciofi e arachidi; capalonga alla brace con salsa barbecue e ossalide; delizioso limone di mare con iceberg, crescione e pinoli; cappasanta gratinata al pecorino con ragù di quaglia emulsionato al corallo; zuppa di buccini alla brace con brodo di cappone e alghe; in ultimo guanciale di maiale, umibudu e ricci di mare, per la transizione verso la carne.
L’arrivo in montagna è segnato dalla cultura contadina asiaghese, dove gli animali da cortile avevano poco da mangiare e comunque erano utilizzati interamente. Quindi il naso di maiale fritto con cime di rapa e salsa carbonara (in realtà frutto della passione e formaggio Asiago), l’animella con spezie, brodo di bucce e pomodoro conservato sott’olio; le creste di gallo con finocchi e finta senape fermentata.
La terra poi diventa funghi: ovvero trombette dei morti con zabaione salato al whisky torbato, cardoncello fritto alla camomilla con acqua di ostrica, zuppa di spugnole; quale piatto liquido il tè nero di gambi affumicati in infusione nel brodo degli scarti. Segue un tuffo nella storia: il Meelkraut (letteralmente “erbe insieme”), sorta di salsiccetta ottenuta dalle erbe raccolte dalla primavera all’autunno, fermentate come crauti e utilizzate in inverno, quando la neve soffoca il vegetale. Avvolte nella rete di maiale o nel budello, dopo essere state asciugate con la cipolla, venivano ricotte sulla brace per tutta la notte. Qui con una salsa naturalmente piccante ottenuta per estrazione a freddo dagli scarti. L’accompagnamento è Le Bergeron Comme Avant di Anne-Sophie e Jean-François Quénard, dalla Savoia.
A fare le veci dei dessert provvedono piatti a tendenza dolce: i Gratadei, pasta di semola cotta in brodo di frutta alla brace, condita con frutta fresca, gel di foglie di fico acidulate e gelato di spezie; il gelato ottenuto dallo sciroppo tradizionalmente ricavato dalle pigne di pino mugo macerate nel miele, per il mal di gola e la tosse, con l’aggiunta di grano saraceno, perché le pigne erano tenere e si masticavano, e di insalata di lichene dell’Altopiano; il dito da passare nello sciroppo invecchiato come Balsamico e nella polvere frizzante di erbe selvatiche. Prima della chiusura dedicata agli agrumi e ai gusti primari: per l’umami l’uovo di quaglia marinato all’arancia rossa, liquirizia selvatica e lavanda; per il piccante il cedro con caprino e basilico; per l’amaro cacao, bergamotto e sommacco; per il dolce il pompelmo rosa al caramello di pompelmo; per il grasso la torta di yuzu con gelato al limone e la sua scorza in tisana.
Contatti
La Tana Gourmet
Via Kaberlaba, 19, 36012 Asiago VI