Meet Eat Connect: a Palermo Carmelo Trentacosti mette la sua esperienza di grande hôtellerie al servizio di un fine dining prettamente siciliano, dalla location spettacolare. Ed è una girandola di contrasti: fra ambientazione patrizia e reperti old tech, grinta popolare e stilemi classicisti.
Il ristorante
C’era un bisogno che Palermo non pensava di avere: il bisogno di fine dining. Da ormai quasi mezzo secolo nel capoluogo, contrariamente ad altre zone siciliane vocate al turismo, mancava una ristorazione di alta fascia, che improvvisamente è deflagrata, assumendo due volti diversissimi quasi in contemporanea: il MEC di Carmelo Trentacosti e il Gagini di Mauricio Zillo, stellati rispettivamente nel 2022 e nel 2021, entrambi popolati da una fitta clientela di autoctoni.
La location del primo suscita aspettative fuori misura. Si entra dal portone di Palazzo Castrone Santa Ninfa, nel centralissimo corso Vittorio Emanuele: una meraviglia cinquecentesca, il cui cortile interno è dominato da una palma monumentale per quanto esile e svettante, secolare. Qui al primo piano l’architetto e patron Giuseppe Forello ha strategicamente disposto, nelle sale marmoree dai soffitti affrescati, i suoi cimeli della Apple, che compongono un museo di storia dell’informatica, visitabile al mattino. Contemporaneamente ha aperto il ristorante MEC, immerso in una bellezza enigmatica, animata dal contrasto.
Vi officia Carmelo Trentacosti, vecchia conoscenza dei palermitani. Nato in Germania da una coppia di emigrati e rientrato da bambino sull’isola, a 12 anni già cucinava con la nonna e lo zio, cuoco alla mensa dell’Enel. Da qui la decisione di iscriversi all’Alberghiero Paolo Borsellino, trampolino per esperienze di prestigio, fra cui l’Excelsior di Venezia, il Grand Hotel di Cortina e il Mulinazzo di Nino Graziano, di cui è stato braccio destro (ma oggi insegna egli stesso). Entrato nella Nazionale Italiana Cuochi, partecipa a concorsi internazionali, anche come pasticciere; poi torna in Sicilia con la moglie e dal 2012 al 2019 si ferma a Villa Igiea.
L’incontro con Giuseppe Forello è karmico: basta una chiacchierata per trovare l’accordo. Nelle sale affrescate Trentacosti immagina all’istante una tovaglia bianca e una poltrona nera, quale espressione della sua cucina. Si chiamerà MEC, acronimo di Meet Eat Connect, perché mette in connessione mondi lontani. E mentre l’allestimento procede, lui studia Gastronomia, Ospitalità e Territorio, facoltà dove si laureerà in aprile con una tesi sulla cucina borbonica.
Dal cinque stelle lusso a un fine dining da 24 coperti, il salto non è breve. “Gestire un albergo con 120 camere, che organizza 120 matrimoni l’anno e contiene 4 ristoranti, fa irrobustire le spalle; ma già dentro Villa Igiea il mio sogno di un ristorante gourmet si era realizzato in Cuvée du Jour, che ha sfiorato la stella nel 2018”. La sua seconda incarnazione è qui, from scratch e senza compromessi: tutto ciò che riguarda la ristorazione, è stato scelto o disegnato personalmente da Trentacosti. All’apertura nel 2020, dieci collaboratori lo hanno seguito da Villa Igiea, fra cui il secondo Antonio Lo Cicero; mentre la pasticceria, prima seguita personalmente, è oggi affidata al pastry chef Gianluca Bruno. In sala Alessandro Comella, in arrivo da Cracco, è maître e sommelier, responsabile di una cantina che si è ampliata fino a 750 etichette, comprendente tanta Sicilia e tanta Francia, ma anche il Nuovo Mondo.
I piatti
Nel cestino del pane la pagnotta a lievito madre, i grissini alla cipolla marinata, prossimamente il cornetto allo sfincione con l’olio o il burro all’acciuga, stampato in una piccola mela. Si può mangiare alla carta, con cinque piatti per partita, o scegliere fra due menu degustazione: Contaminazioni (140 euro) e Frontiere Vegetali (125 euro), nella certezza che la materia sarà comunque straordinaria. “Sette anni fa con una consulente romana, Manuela Mancino, ho girato la Sicilia in macchina alla ricerca di prodotti di nicchia.
Ne abbiamo trovati tanti: la robiola di capra di Joppolo Giancaxio, il cocomero peloso di Partanna, la Vastedda del Belice di Calogero Cangemi, gli agrumi e le uova di gallina di razza siciliana (la cornuta di Caltanissetta, quasi estinta, alimentata a frumento siciliano) di Marineo, il mio paese. Poi ci sono il finocchietto ingranato, che cresce spontaneo sulle colline, e le verdure locali, spesso da agricoltori di nicchia”. La connessione all’universo informatico assume forme simboliche, ottenute da stampi in silicone. È il caso della Caponata in conserva, profilata come la classica mela morsicata.
“Quando un figlio parte, in Sicilia la mamma gli mette in valigia le conserve. Caponata e sugo non possono mai mancare. Da lì l’idea di un prodotto destagionalizzato, conservato in atmosfera protetta, che viene spalmato sul piatto e spolverizzato di cioccolato di Modica, alla maniera degli arabi. Si mangia facendo la scarpetta con una brioche alle olive e doppio concentrato, che finisce di ricostruire il piatto”. Ancora: “Il finocchio è un vegetale a mio giudizio poco valorizzato, che da noi si mangia praticamente solo crudo. Ma a me piace estrarre il massimo dal prodotto, quindi ne ricavo diverse consistenze, di crema, flan e aria, con le barbe per il vegetale, il giusto contrasto acido e i pop corn”. I Fusilloni ai broccoli rivedono la classica ricetta arriminata, ma senza uvetta né pinoli.
Vengono cotti interamente nel tegamino, con partenza a crudo, e sporzionati in sala, con una grattata di tartufo e un velo di salsa mornay a ingentilire. Una pasta al forno sui generis, che ha richiesto un lungo studio tecnico. Il carciofo nasce dalla visione del figlio dello chef, Filippo, mentre sfoglia golosamente i capolini arrostiti alla brace. Quindi uno scrigno di petali fumé, attorno alla crema di carciofo, al tuorlo e al tartufo, sopra una fonduta di formaggio, nel metissaggio fra grinta popolare e schemi della grande cucina.
Il consiglio è quello di fermare al tavolo il carrello dei formaggi, contenente 20 varietà tutte siciliane, servite con frutta secca, fresca, mostarda, miele e 3 tipologie di pane (brioche con uvetta, pane alle olive, pane alla carruba). “Quasi un signature” la cassata, composta di mousse di ricotta e pistacchio (che in estate diventeranno gelati), dacquoise al cacao e gelée di arancia, senza sovraccarichi zuccherini.
Contatti
MEC Restaurant
Via Vittorio Emanuele, 452, 90134 Palermo PA
Telefono: 347 753 2005