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La Coldana: a Lodi la “sostenibile leggerezza” di una cascina stellata

di:
Martino Lapini
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copertina la coldana lodi

Da antica cascina a ristorante stellato, La Coldana è il nuovo astro gourmet che illumina Lodi: nella periferia della città brilla il talento di Alessandro Proietti Refrigeri.

Foto di Polij Pietro e Valentina


Il ristorante

La Guida Michelin segnala sempre un piatto che ha particolarmente colpito i suoi ispettori. Per una volta siamo d’accordo con l’highlight segnalato. Per la Rossa il piatto Rape, Radici e Vegetali è la sostanza simbolica per cui il viaggio nella periferia di Lodi varrebbe la pena. Peccato che quel piatto segua lo chef Alessandro Proietti da oltre sette anni, un piatto che anticipa la rincorsa vegetale degli ultimi due, a cui molti ristoranti si sono adattati senza chiedersi troppo il perché.

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A La Coldana, che ha festeggiato da poco il primo anniversario del nuovo corso, al contrario, la ricerca sul vegetale è reale e lasciatecelo dire fa parte della tradizione sia di Alessandro che della sua compagna e pastry chef Giulia Seveso. Come diavolo farà un cuoco a essere creativo, a generare stupore nei suoi clienti affamati o famelici, se quello che sta cucinando è una ricetta pensata in fretta, con l’ansia di inseguire qualcosa che devi avere in carta per forza o che debba essere percepito come innovativo? Alessandro non è uno che insegue, piuttosto segue la sua idea di tradizione e ristorazione sostenibile.

alessandro proietti refrigeri
 

Ha ridetto sì alla provincia, dopo Villa Naj a Stradella, a rimanere distante - ma non troppo - da Milano con i suoi bagliori abbaglianti. Ha detto sì a due soci di un ristorante-discoteca che durante il covid faceva più di 1500 persone nel weekend. Ha creduto in una cascina che poteva intrattenere anche in un modo totalmente diverso, come ci racconta anche Alessandro Ferrandi, uno dei due soci. 

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Assieme al mio socio Fabrizio abbiamo preso in mano La Coldana 12 anni fa, il ristorante c’era già, noi abbiamo aggiunto eventi e discoteca. Era un bistrot con un carta vini già molto importante. Per via dell’età e dell’arrivo dei figli abbiamo deciso di cambiare linea, a noi è sempre piaciuto mangiare e bere bene. Con lo chef ci siamo conosciuti su linkedin, il tinder del lavoro, e ci siamo matchati, vedendo una visione simile sia a livello umano che di progetto. Alessandro è stata la figura che ci mancava quella che ci ha fatto fare il salto e che lo ha fatto fare anche ai ragazzi che già lavoravano qui. In molti sono rimasti accettando la sfida. In cucina si percepisce tanta tecnica. Mai arrogante, sempre comprensibile. C’è un unico piatto davvero concettuale, quello vegetale, che tuttavia è sempre inscrivibile nella categoria buono o non buono, la categoria che tutti possiamo usare”.

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Cambiare approccio in corsa non è mai semplice. L’attenzione di un cameriere deve aumentare vertiginosamente, così come i passaggi al tavolo che in media diventano 20-25 contro la metà di quelli di un locale più alla mano. Il personale de La Coldana ha reagito benissimo, mettendo il nuovo vestito fine dining senza troppi sforzi. Inizialmente ci è parso un po’ troppo formale. Guanti bianchi, anche senza un tovagliato. Mano a mano si è deformalizzato, secondo la buona abitudine della “lettura del tavolo", quella che porta a essere il cameriere un muta-forma a dipendenza della tipologia di cliente. Con noi potevi concederti la battuta, assecondare il dialogo, cercare l’approfondimento.

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Alessandro Proietti Refrigeri è uno chef aziendalista, perfettamente conscio che il ristorante con 10 tavoli sta in piedi solo se c’è un polmone economico per il gastronomico. Una zona eventi sopra il bar e un’altra cucina staccata da quella principale. Per il futuro c’è già aria di cambiamento: scendere a 8 tavoli, togliere la zona eventi e lavorare su progetti paralleli. "Mi piace lavorare sulle radici e le tradizioni, per evolverle. A Copenhagen non c’è tradizione gastronomica, hanno lavorato sul nulla e hanno creato una tradizione". Prima di iniziare a lavorare in cucina Alessandro e i suoi soci sono andati in giro per il territorio a conoscere i fornitori. Da questo tour nasce il progetto Km 30, a testimoniare quanto la sostenibilità passi dalla prossimità e dalla valorizzazione del territorio.

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Come con Martina Geroni che nel suo laboratorio ceramico ha sviluppato, dopo molte prove, il piatto di 40 cm di diametro che ospita tutti i vegetali di Rape, radici, vegetali. O Alberto Capra che porta avanti l’allevamento del padre di piccioni “California”. O ancora il parco Ittico Paradiso, piccola oasi di biodiversità in cui si possono osservare più di 25 specie diverse di pesce d'acqua dolce. Qui Alessandro prende caviale, salmerino e spigola d’acqua dolce. Per non parlare di Cascina Carena per i formaggi o lo storico Molino Pagani per le farine.

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“Per me non è né un vincolo, né una forzatura. Piuttosto una ricchezza, per la freschezza del prodotto e il controllo che ne posso avere. I piccioni di Alberto, a dieci minuti da qui, li prendo solo io, venti a settimana. Con lui si è creato un rapporto. Il piccione l’ho sempre fatto, solo che la bontà del suo piccione è totale rispetto a quello francese, che fra l’altro impiega dieci giorni ad arrivare e costa cinque volte tanto. Il Panerone l’ho assaggiato l’anno scorso per la prima volta, subito mi è venuto in mente l’abbinamento con il ragù di cinghiale e olio all’alloro”.

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I piatti

Il piatto più iconico è sicuramente Rape, radici, vegetali, una spirale verde che è sia un gioco sia una lezione di mindfullness stagionale ed educazione palatale. Il piatto arriva alla fine del degustazione, prima del pre-dessert. Qui potremmo riprendere la nostra polemica light riguardo al senso del predessert, ma soprassediamo. Ci limitiamo a dire che questo piatto è un pre-dessert perfetto, pensando anche al dessert che incalza dopo di questo, sempre fondato sul vegetale. I micro assaggi vegetali sono trentadue, cambiano in base alle stagioni e alla micro stagioni. Per questo piatto Alessandro si è fatto installare un secondo pass in cucina, dato che serve un buon quarto d'ora per assemblarlo. E quasi altrettanti a mangiarlo. I passaggi sono una sorpresa dietro l’altra, un rollercoaster tra tutte le sensorialità gustative che abbiamo sulla lingua. Cipollotto! Porro e orzo, Cicoria e cedro candito, Ravanello in carpione, Radicchio in aceto di frutti rossi. Piccoli atti che rappresentano il teatro della natura, un gioco da tavola per avvicinare chiunque alla ricchezza del vegetale, non solo vegetariani o vegani che chiaramente gongolano.

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La spallata vegetale definitiva arriva con il dessert Cavolfiore, il terzo non-dolce stagionale dopo la Carota in primavera e il Mais in estate. Giulia Seveso dimostra di non essere solo brava tecnicamente. Lavora in simbiosi con il suo compagno Alessandro tessendo finali che si legano perfettamente con ciò che li precede, spingendo sulla sostenibilità del palato e non sul suo KO. “Sono convinta che ci siano vegetali che possono essere trasformati in dolci con ottimi risultati. In inverno non ci sono vegetali facili, sono quasi tutti tuberi e radici con gusti forti. Il cavolfiore è molto divisivo. Tuttavia possiede proprietà gustative e di consistenza incredibili. Nella sua composizione ricorda il velluto della crema pasticceria classica e possiede una dolcezza che ricorda vaniglia e fava tonka".

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Il dessert proposto lavora a levare dolcezza al cavolfiore usando il cioccolato, per le sue proprietà acide. La base è di cioccolato soffiato, molto leggero, a cui è sovrapposto un cremoso al cioccolato e poi un disco di cioccolato temperato. Lo strato superiore è costituito da crema di cavolfiore con aggiunta di burro nocciola. Salendo, spuntano delle cimette cotte sottovuoto e poi scannellate. Chiudono delle chips di foglie di cavolfiore. Il cioccolato è la terra, il resto la pianta prima di essere raccolta. Un dessert di cui dissertare, fatto di spigoli diversi, dolci, amari e acidi. Conviventi e viventi.

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Ora che la fine ve l’abbiamo spoilerata senza rimorsi, torniamo all’inizio e alla partenza tutta comfort e profumo di casa. Per Alessandro, romano de Roma, significa Uovo 63° in una carbonara, un azzardo alla tradizione che vede un’icona pop servita togliendo il carboidrato, cioè la pasta, con l’attenzione a non lasciare troppo spazio alla sapidità: missione riuscita anche se lo chef ci ha rivelato che questo risultato wasn’t built in a day. Negli altri due piatti in cui la piacevolezza ecumenica non manca, il carboidrato c’è eccome. Piatti piacioni non lo diremmo proprio, piatti comprensibili con spigoli ben posizionati, ecco.

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Nei Bottoncini di patate, Salva Cremasco, carciofi, menta e nocciole è il vegetale che guizza in bocca e sposta gli equilibri. Carciofo e menta è sempre qualcosa che appartiene alla storia gastronomica della capitale, qui l’amaro si fa sentire, eppure non disturba, dialoga con la patata e il Salva, li sta a sentire.

la coldana Bottoncini di patate e castagne Infuso autunnale Grana Padano gran riserva Azienda Tazzi
 

Seguono i Tortelli di grano saraceno, cinghiale, Pannerone, jus al tabacco e alloro. Un primo piatto in cui la propulsione acida del formaggio locale della Cascina Carena, esalta il dolce selvatico del porco brado e la non raffinatezza della farina. L’olio all’alloro ci mette la ciliegina amara. Il fondo di cinghiale aromatizzato con foglie di tabacco è la nota affumicata, da giornata di caccia.

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Anche se la Coldana è una cascina che non produce in proprio, è un progetto di valore, in cui la stessa vitalità di una cascina di una volta vive attraverso la cucina di Alessandro Proietti Refrigeri e delle relazioni piene di frutto e passione che muovono le sue idee e quelle dei soci Alessandro e Fabrizio.

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Contatti

La Coldana

via del costino, Cascina Coldana, 26900 Lodi LO

Tel: 0371 431742

Sito web

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