Sessant’anni appena compiuti, Joan Roca non ci pensa proprio a lasciare le cucine. “Sono un bambino che vuole continuare a giocare. E ai giovani dico: se vi piace, dedicatevi pienamente all'attività che avete scelto. Penso che domani sarete meglio di noi”. Condizioni di lavoro? Al Celler sono fra le migliori d’Europa, complice una doppia brigata.
L'intervista
I sessant’anni, compiuti lo scorso 11 febbraio, sono per Joan Roca il momento dei bilanci. Quello professionale continua a crescere: oltre al Celler de Can Roca, uno dei ristoranti più importanti del mondo, col suo formidabile dipartimento di creatività, ci sono la gelateria con cioccolateria Rocambolesc, l’hotel Casa Cacao, i ristoranti Normal e Mas Marroch, più tutte le attività per cui sta predisponendo lo spazio Roca Sant Julià, presso l’omonima fortezza a Ramis, dove apriranno in primavera un hotel, un ristorante e la distilleria Esperit Roca, per un totale di 240 dipendenti.
“Sinceramente mi sento molto fortunato”, commenta soddisfatto ai microfoni de El Periodico de España. “Sotto il profilo personale mi sento amato, ho una famiglia fantastica, che mi ha permesso di dedicare tutto il tempo necessario a un lavoro come il mio. Vivere letteralmente sopra la cucina del Celler lo ha facilitato, potevo cenare con la famiglia, mettere a letto i bambini da piccoli e scendere per il servizio. Fortunato a maggior ragione perché ho due fratelli geniali, i migliori del mondo nelle loro specialità, con cui abbiamo creato un mondo straordinario tutt’intorno”.
All’inizio, tuttavia, non è stato facile riempire un ristorante situato in periferia, in una zona ad alto tasso di immigrazione. Tanto che i genitori non nascondevano le perplessità. Poi pian piano le cose si sono messe in marcia e la passione per il lavoro ha pagato. “Ma non è mai stata l’ambizione economica a motivarci”, racconta. Tanto che le offerte di aprire altri Celler in giro per il mondo, con cifre da capogiro, sono state rispedite al mittente; anche se gli altri format potrebbero essere replicati, chissà.
Sessant’anni sono una tappa importante. “Ma io amo viaggiare, mi restano tanti luoghi e cucine da scoprire; ho tanto da imparare, sono molto curioso, mi sento giovane e desideroso di continuare a divertirmi sul lavoro. L’attuale Celler de Can Roca è una specie di parco di attrazioni per un cuoco come me, in fondo mi sento un bambino che vuole continuare a giocare… Credo che io e i miei fratelli, in questo molto simili, abbiamo sempre gestito il successo con molta naturalezza, normalità, responsabilità, generosità, sapendo che questo boom della cucina è molto effimero. Così abbiamo anche cercato di proteggerci, in modo che non potesse danneggiarci, come può accadere”.
“Ai giovani cui piace questo mondo, raccomando la massima dedizione. È un lavoro meraviglioso, puoi essere felice rendendo felice la gente, cucinare è amare. Devono studiare, lavorare, viaggiare. L’importante è che siano appassionati, la passione accende il fuoco della conoscenza”. Al Celler, poi, non vivranno da reclusi. “Da circa 10 anni abbiamo due brigate, una per il pranzo e una per la cena, che lavorano otto ore ciascuna. Ma non è facile, non è un modello replicabile ovunque, devi avere una costanza di lavoro e clienti disposti a spendere. Certo prima era molto più redditizio, con una brigata sola, ma in questo modo, rinunciando a parte dei profitti, riusciamo a offrire le migliori condizioni di lavoro possibili”. L’alternativa è la fuga dalla ristorazione, come nella Gran Bretagna post Brexit, dove la manodopera è in larga parte straniera.
“Voglio fare questo lavoro più a lungo possibile, accompagnando mio figlio Marc e mio nipote Martì, che vogliono fare i cuochi, in una nuova tappa del Celler de Can Roca. La nuova generazione ha una formazione migliore di noi, sembrano innamorati del lavoro, che svolgono con entusiasmo. Penso che domani cucineranno meglio di noi”.