Vacche magre, vacche sacre: a salvare la ristorazione boccheggiante può essere il business dei matrimoni extralusso, principalmente indiani. Nelle casse degli stellati portano fino a 100mila euro in una settimana.
La notizia
Sono matrimoni da mille e una notte, e non solo per chi convola. È cosa nota, per chi bazzica il settore, la predilezione dei paperoni indiani per il Belpaese al momento di celebrare la fatidica cerimonia. Da anni volano qui, e non solo per le bellezze artistiche e naturali. Gli chef italiani sono richiestissimi e anche per loro è una favola: si tratta infatti di cachet che possono tranquillamente arrivare a 100mila euro. Cifre di tutto riguardo, in questi tempi di vacche magre, siano sacre o meno.![](/upload/multimedia/matrimonio-indiano-2.jpg)
A raccontarci il business del “bollyfood” è Alessandra Dal Monte su Cook, il supplemento del Corriere della Sera. La celebrazione si svolge nell’arco di tre giorni, durante i quali nessun cibo può ripetersi dalla colazione al dopo cena, assolutamente. Agli indiani non piacciono i pasti placé: preferiscono potersi muovere a piacimento, rifornendosi autonomamente alla food station di pietanze che però devono essere preparate sul momento. Ma non basta: siccome gli sposi arrivano perlopiù dalla comunità Marwari del Rajasthan, il vegetarianismo è d’obbligo. Dal momento che le teste si contano a centinaia, se non migliaia, il tasso di difficoltà dei banchetti è massimo e richiede autentici fuoriclasse dell’organizzazione.
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In termini di location, la Toscana va fortissimo, al pari di Venezia, la Puglia o i nostri laghi, ma c’è chi chiede agli chef di spostarsi in casa, oltre all’India, la Nigeria come gli Stati Uniti. Il budget minimo è di 500mila euro, senza tetto massimo, visto che non di rado una popstar è chiamata ad allietare gli ospiti. E la pianificazione, fin nel minimo dettaglio gastronomico e non, può protrarsi per diversi mesi. La scelta cade perlopiù sul giusto mix di fine dining e tipicità locali, con gli artigiani chiamati a sfornare street food; ma i committenti talvolta ordinano piatti internazionali, oppure tradizionali del loro paese. E le richieste sono a tutto campo, dal momento che i riti solo in India sono più di 40.
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Nell’impossibilità di fornire un elefante, il wedding planner ripiegherà su cavalli addestrati per la comparsa scenografica dello sposo. Altre volte vanno reclutate tatuatrici esperte in henné per sposa, parenti e ospiti di sesso femminile. Oppure musicisti e ballerini, sempre secondo la regione di origini dei piccioncini. Esigenze per soddisfare le quali è spesso necessario appoggiarsi a una metropoli multietnica come Londra.
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Fra gli chef italiani coinvolti c’è da tempo Viviana Varese, costretta a destreggiarsi fra pizze e mochi per soddisfare ogni capriccio. La fatica è tanta, racconta, compensata però da introiti che in una settimana eguagliano un trimestre di ristorazione. Ma ci sono anche Mauro Uliassi, tutt’altro che pentito, gli Iaccarino e gli Alajmo.
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Fonte: Corriere della Sera
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