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Leonor Espinosa, da autodidatta a migliore cuoca del mondo: il microcosmo Leo

di:
Giovanni Angelucci
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“Un viaggio gastronomico attraverso l’etnobotanica delle culture che popolano i vari biomi colombiani”, è questo l’obiettivo di Leonor Espinosa e Laura Hernández, madre e figlia unite per la ricerca gastronomica e la solidarietà nella loro terra.

Il ristorante

Non capita tutti i giorni di incontrare una madre ed una figlia così complici, nella vita e nel lavoro. È bello vedere l’intenzione di sguardi di Leonor Espinosa e Laura Hernández, le due donne a cui si deve buona parte della cultura gastronomica oggi restaurata e diffusa in Colombia. E non si potrebbe desiderare un benvenuto più solare e caloroso del loro non appena arrivati a Bogotà, in quel viaggio appena cominciato in terra colombiana che mi avrebbe poi portato per giorni e giorni a scoprirne le diverse sfaccettature attraverso le cangianti anime racchiuse nei suoi così tanto diversi territori.

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Bogotà si trova ad un’altitudine di 2640 metri, le mattine e le sere sono decisamente fresche nonostante il sole picchi forte, raggiungete il quartiere Chapinero dove Leo ha riaperto il suo ristorante in uno spazio nuovo di zecca nel giugno 2021, togliete le giacche di troppo e mettetevi a vostro agio, c’è tanto da conoscere e da assaggiare.

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Al piano terra, immediatamente dopo l’ingresso, La Sala de Leo offre un tour della ricchezza bioculturale tramite un menu narrativo e di ricerca, al piano superiore vive invece La Sala de Laura, dove la giovane sommelier basa la sua proposta di drink su bevande fermentate, macerate e distillate a base di ingredienti botanici locali e di produzione propria, accanto ad un menu più flessibile.

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In entrambe le sale vengono proposti diversi menù realizzati dalla chef Leonor Espinosa che denotano un lavoro di ricerca, osservazione e sperimentazione che rivela una Colombia profonda. La differenza sta nell’atmosfera: giù ci si accomoda tra i grandi tavoli tondi fronte cucina in un unico ampio spazio, al secondo piano spicca il bar dove protagonista è la cultura liquida sotto forma di cocktail all’avanguardia che prende il nome di “Territorio”. Ma chi sono queste due eroine colombiane?

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Leonor Espinosa è una chef autodidatta e artista (ha studiato Arti Plastiche presso la Scuola di Belle Arti di Cartagena de Indias), diventata una delle personalità più importanti della Colombia attraverso il suo lavoro duro e coerente, non solo celebrando e promuovendo i prodotti e i sapori locali colombiani, ma anche evidenziando il valore della biodiversità del paese e gli aspetti sociali della gastronomia.

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Nel 2005 ha aperto il ristorante che porta il suo nome dove fonde tradizione e modernità. Nominata la migliore chef donna al mondo da The World’s 50 Best Restaurants nel 2022, e miglior chef dell’America Latina nel 2017, oggi ha posizionato il suo ristorante nella stessa classifica al 43° posto. Ma sono solo alcuni dei numerosi riconoscimenti ricevuti, sicuramente ciò a cui tiene maggiormente è la sua Fondazione Funleo, organizzazione senza scopo di lucro dedicata al benessere sociale nelle comunità etniche rurali che l’ha portata ad aggiudicarsi il Basque Culinary World Prize nel 2017.

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La figlia Laura ha lo stesso entusiasmo e soprattutto lo stesso sguardo, profondo e nobile. Dal 2009 al 2020 ha diretto la fondazione e oggi ne è presidente, è una sommelier professionista con un master in studi sullo sviluppo e un altro in amministrazione aziendale a contraddistinguerla, la ricerca di risposte e azioni orientate allo sviluppo di una cultura alimentare che valorizzi le potenzialità del patrimonio naturale e culturale della sua amata Colombia.Bene, fatte le dovute presentazioni, optate per vivere entrambe le esperienze nello stesso giorno così da immergervi totalmente nel “pensiero Espinosa”.

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La cucina

Durante il pranzo da LEO vi renderete conto di come la proposta punti a rivendicare gli ingredienti locali e le tradizioni della Colombia, e come ogni piatto entri a far parte di una narrativa gastronomica più ampia basata sulla sostenibilità, offrendo un’esperienza incentrata sui vari ecosistemi del paese ed esplorando i modi in cui nuove specie possono essere utilizzate per scopi gastronomici.

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In due ore circa l’esperienza sensoriale si articolerà in 8 o 12 corsi lungo la Colombia, ideale per chi apprezza una cucina fine dining fatta di ricerca e sperimentazione, il tutto con una squadra affiatata e tanto competente. Viene fuori tutto l’amore della pensante chef per l’antropologia, l’arte contemporanea e la cultura, evidente sia nella sua cucina che nella sala in cui compare l’enorme quadro di Nohemí Pèrez (importante artista radicata al territorio che intende difendere con le sue opere) in cui vi ritroverete.

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A supporto verrà consegnato un qr code da utilizzare per approfondire l’enorme racconto dietro ognuno dei piatti. “Formica del limone, chuchuwaza. Caimano, frutto di palma da pesca, casabe. Macambo, formica dalla testa grande. Pesce gatto Suckermouth e yapurá”, per esempio: un’immersione nel santuario della biodiversità, la foresta amazzonica, attraverso una mousse ghiacciata di formiche dal caratteristico sapore di limone infusa nel liquore chuchuwaza fermentato (un albero dalle proprietà medicinali utilizzato per scopi curativi e afrodisiaci).

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Accanto la carne cremosa della coda di caimano proveniente dalle fattorie della regione della Media Magdalena, da sempre consumate dalle popolazioni indigene, con yuca croccante e la polpa del chontaduro, un frutto carnoso e giallo della palma. Insieme ma in bocconi diversi, una varietà di cacao autoctono dell'Amazzonia, il macambo, la formica dalla testa grande tostata che fa parte delle tradizioni culinarie delle popolazioni indigene dell’Amazzonia con il suo sapore simile al cacao perché se ne alimenta. E infine, preparazione chiarificata realizzata con la carne di un pesce dall’aspetto preistorico della famiglia dei pesci gatto, chiamato "cucha", condito con i semi dell’albero yapura lasciati fermentare in riva al fiume per due settimane, cotti e schiacciati fino ad ottenere una pasta. E questo è soltanto uno degli antipasti.

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C’è poi l’“Arawana, cassava acida, cacay, katara, huito”. L'arawana è un tipo di pesce d'acqua dolce originario del Sud America. Questa preparazione, ispirata alla lussureggiante foresta pluviale, è composta dai filetti del pesce marinati nel katara (condimento piccante simile alla salsa di soia, derivante dalla trasformazione dell'estratto di yuca) su latte vegetale di cacao. “A coprire c'è una granita a base di amido di yuca fermentato con huito, una specie autoctona il cui frutto è commestibile e da cui si ricava un inchiostro per i tatuaggi sul corpo nelle cerimonie magico-religiose”, racconta la chef.

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E ancora lo “Stingray, trupillo, capulín de monte”, piatto che si ispira al bioma caraibico, comprendendo tre dei suoi ecosistemi: il mare, la foresta e il deserto. Presenta una pasta che ricorda il riso, ricavata dai succhi della cartilagine della razza delle calde acque di Tayrona, e dal capulín de monte, un frutto tipico con un pizzico di pepe nero. “Viene servito con cenere di erba cipollina e una salsa cremosa a base di foglie di trupillo, albero tradizionalmente utilizzato dalle popolazioni indigene del Deserto della Guajira per scopi medicinali”, illustra la chef Leo. L'armonia di acidità e salinità è accentuata da un'alga conosciuta come insalatella (batis maritima), detta anche portulaca da spiaggia.

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E infine un dessert composto da un flan di cuore di peach palm con scaglie di mojojoy disidratato trasformate in una pasta dall’intenso sapore di cioccolato tartufato (la larva dello scarabeo coleottero che cresce in alcune palme come questa). In questo caso sono però finti e sotto forma di marshmallow per giocare riproponendo lo stesso sapore.

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L’esperienza in questo ristorante ha del valore non solo antropologico ed etico, ma è in grado di far divertire, parecchio, anche i neofiti della cucina moderna, oltre che stregare e incuriosire chi invece sa cosa c’è dietro una ricerca tecnica di questo tipo. Se ce la farete, potrete trasferirvi al piano superiore e lasciarvi guidare nella proposta di bevande creata dalla sommelier Laura Hernández Espinosa in cui, anche qui, gli ingredienti provenienti da diversi ecosistemi colombiani vengono distillati in cinque varianti (vedrete i piccoli alambicchi) e poi utilizzati nell’innovativa proposta di cocktail d’avanguardia.

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Anche qui la ricerca è tanta e Laura si dedica con ammirazione agli altri distillati realizzati da artigiani di comunità indigene come il Contra, una bevanda medicinale degli Zenúes, e il tanto tipico quanto sconosciuto Viche della regione afro-pacifica. Dovrete provare le bevande fermentate a base di idromele, foglie di coca, jagua, borojó, naidí, corozo, guava e gulupa. Tutti questi sono ispirazione per una mixology unica e creativa, legata al territorio colombiano. E ovviamente neanche qui mancano i piatti, diversi dal ristorante, ma sempre ispirati ai sapori della Colombia multiculturale in cui però il bar è l’epicentro, insieme a musica e arredamento che segnano uno stile diverso, lo stile della giovane Laura.

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Infine, fatevi raccontare della Funleo, la fondazione che da più di un decennio lavora a stretto contatto con agenzie di cooperazione internazionale, organizzazioni governative e ONG per valorizzare le tradizioni gastronomiche e il patrimonio biologico e immateriale della Colombia. Promozione di una cultura del cibo che esalta il potenziale della cucina tradizionale, della biodiversità e delle identità nazionali. È difficile non innamorarsi di questo luogo e delle sue donne Leo e Laura, regina e principessa della Colombia.

Contatti

Restaurante Leo

Indirizzo: Cl. 65 Bis #4-23, Bogotá, Colombia

Telefono: +57 317 6616866

Sito Web

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