Salvatore Morello porta sulla scena gastronomica italiana la maestria di un’altra scuola nordica, fatta di esecuzioni à la minute, precisione estrema, padronanza dell’acidità e minuzia del dettaglio, vero protagonista del piatto.
Lo chef e il ristorante
Partito per la Germania dalla sua Calabria appena maggiorenne e felicemente tedesco per 16 anni (se non ci fosse stato di mezzo il covid), Salvatore Morello si è affacciato sulla scena gastronomica italiana come un alieno, un po’ come anni prima aveva fatto Lorenzo Cogo, formatosi agli antipodi delle nostre coordinate culinarie, in Australia. Certo più schivo, meno arrembante, eppure altrettanto spiazzante nella sua preziosa alterità, estranea al monoteismo marchesiano come a quello di Escoffier, Adrià, Redzepi.
Dal settembre 2021 officia a Parma grazie a una proprietà illuminata, che anziché continuare sul sentiero già battuto, esponendosi a sicuro declino dopo un fenomeno come Terry Giacomello, ha voluto cambiare radicalmente. Perché come ripetono i grandi, ci sono solo due cucine: quella buona e quella cattiva. E non è mai stato il caso di Inkiostro.
In questi due anni abbondanti, oltretutto, la risposta positiva della difficile piazza parmigiana ha consentito molteplici progressi: una diversa serenità; la creazione di una brigata ormai stabile (attorno ai secondi Andrea di Salvo e Antonio Brancati, con Bianca Marchesini alla pasticceria), per quanto giovanissima (l’età media è di 24 anni); continui investimenti e migliorie nella struttura, dovuti in parte all’esigenza di riqualificare gli spazi a causa dei diversi stili. Cambieranno presto le porte della cucina, per una migliore insonorizzazione, mentre dietro cresce il giardino per le erbe, curato da un contadino olandese, in vista delle torri idroponiche.
In cucina sono otto cuochi, numeri che consentono finalmente di preparare tutto espresso (tranne fondi e salse più complesse). Le cotture dei vegetali sono svolte à la minute e in bocca si sente. Lo stile, fortemente influenzato dagli anni trascorsi al Vendôme di Joachim Wissler, innesta influenze asiatiche su basi francesi: i piatti sembrano all’apparenza rassicuranti, pièce e garniture, persino una pasta ripiena, ma il diavolo è nel dettaglio.
Sono generalmente due o tre ingredienti, sottoposti a numerose elaborazioni per centrare un equilibrio che si voltola in bocca. Senza porsi troppi limiti, ma ricorrendo all’occorrenza anche all’armamentario spagnolo con qualche aria. L’importante è il gioco delle sfumature, gustative, termiche, aromatiche, sempre di impeccabile finezza. “Mi piace che in un piatto si presentino più cotture e collaborino diverse partite: così la squadra diventa più affiatata e anche più creativa”.
Morello è un cuoco calmo, che sa dove vuole arrivare. Prescindendo dalle mode del momento, con le sue origini intrattiene una relazione dialettica ed è di fatto uno dei pochi cuochi del sud, che siano sfuggiti alle sirene nostalgiche. “Per il percorso che ho compiuto, mi sentirei fuori luogo, se cucinassi diversamente. Amo i piatti del sud, mi piace mangiarli e uso molti ingredienti mediterranei, ma lo stile è diverso”. Parte spesso dal vegetale, cellula della ricetta, cui in seconda battuta viene affiancata una proteina (e di fatto esiste un menu green, che va ordinato il giorno prima). Arriva in gran parte da un contadino a una trentina di chilometri, che coltiva quanto gli viene richiesto. La zucca hokkaido proviene da Mantova, i fiori e i minifrutti esotici da Savignano sul Rubicone. Invece è sempre più difficile procacciarsi ingredienti giapponesi, a causa dei postumi del covid, cosicché tante preparazioni sono fatte in casa.
I piatti
Il menu cambia ogni 8 settimane, quando iniziano le prove con le primizie. Tanto che gli ortaggi al top scivolano inevitabilmente fuori carta. I degustazione sono due: Inkiostro ed Equilibrio, da 8 e 6 portate, rispettivamente a 170 e 160 euro, più una carta di 16 piatti; il pairing dell’estroso Daniele Molinaro costa 90 euro.
Ancora più spesso cambiano gli appetizer, per stuzzicare i clienti affezionati: attualmente meringa ai lamponi con finocchio, tamarindo e barbabietola, cannolo con tartare di tonno e guacamole, cono di mousse di aneto e caviale di senape soffiata, chips di tapioca al mais e carpaccio di presa iberica, sushi di crostacei con avocado e daikon, tacos al sedano e aceto. Colpiscono per la precisione visiva e l’attenzione tutta nordica al dettaglio, da Bocuse d’Or, ma in bocca esplode la freschezza del gusto istantaneo. Il segreto sono anche gli aceti fatti in casa, di yuzu, barbabietola, aglio nero o chardonnay, affinati per 14 mesi. L’abbinamento è un cocktail.
Arrivano poi i primi pani: grissini e pagnottella con burro affumicato; seguiranno la crescenta e le cialde. “Mi piace sempre iniziare da un pesce marinato, per la sensazione di crudo marino, qualcosa che resta legato alle mie origini. Ma in questo caso l’idea è un ceviche più erbaceo”. Quindi la ricciola giapponese marinata alla teriyaki di colatura di alici, le ostriche Gillardeau, i cavoletti di Bruxelles lavorati da crudi, per un gusto tendente all’erbaceo e all’amaro, eppure dotato di una sua dolcezza. La parte bruciata va nella polvere sul filetto, poi viene utilizzato in osmosi, come insalatina alle arachidi, in granita azotata, sotto forma di “sud”, estratto con acqua di ostriche, fiocchi di bonito, sale e zucchero. Ed è Riesling.
Il merluzzo confit in crosta di miso, passato sul barbecue e rifinito con alghe caramellate, viene servito con cavolfiore e romanesco, gamberi di fiume, olio di erba cipollina e un’aria di umami ottenuta da capesante essiccate, soia e alghe. Nel bicchiere Friulano Meroi.
La pasta mima giocosamente l’italianità: sono ravioli ripieni di robiola locale serviti con kale crudo e cotto, gamberi rossi alla cipolla di Kyoto con emulsione della loro testa e un pesto di pomodoro essiccato e fermentato con orzo e fagioli borlotti, quasi miso rosso. Alla vista un primo classico, in bocca diversi equilibri.
Segue a sorpresa una corsa vegetariana, quasi in metonimia sulla carne, che evoca. “Ho chiuso diversi menu con vegetali cotti in modo importante. Il carciofo in stagione non può mancare in un fine dining: alla griglia mi ricorda la costina di un animale giovane. Quindi due cotture, alla griglia e confit, glassato di classica salsa barigoule alle foglie di carciofo, purè di carciofo, crescioni di giardino anche in polvere e chips di carciofo da diverse parti, pomodoro candito e salato; a parte da bere gli scarti in ammollo per togliere l’amaro, poi bruciati e lasciati in osmosi nel brodo vegetale a base di carciofo”. Agnello puro.
L’anatra francese frollata in casa, servita di solito intera per tutto il tavolo dopo una lunga cottura, viene accompagnata da gyoza ripieni delle cosce, scorzonera tornita e levigata quasi fosse un asparago invernale, sfumata al sakè e glassata nel sugo di anatra, più le rape fermentate per l’acidità e il gel di sakè a nettare. Nel bicchiere un Cabernet Franc dalla Patagonia.
Ottimo il predessert, che simula una collina innevata: in ordine fresca tartare di ananas, gelato di shiso rosso, succo di limone e olio di coriandolo, spuma di yogurt giapponese.
Chiude in freschezza il pompelmo: “È stato Antonio Biafora a farmi assaggiare i suoi fiori di sambuco fermentati. Io li avevo qui dietro, li ho trattati in modo diverso e ne ho ricavato un cremoso, con la fetta di agrume, la galanga e il gelato di arancia rossa”.
Indirizzo
Inkiostro
Via S. Leonardo, 124, 43123 Parma PR
Telefono: 0521 776047
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