Tomas Treschanski è stato la rivelazione della guida Michelin argentina: con lui il fine dining rinasce a Buenos Aires, dopo anni di stenti.
Foto di copertina: @Damian Liviciche
La notizia
La rivelazione della guida Michelin dedicata all’Argentina è stato lui: Tomas Treschanski, chef di Trescha, la stella più giovane dell’edizione con appena 25 anni per lo chef e 9 mesi per il ristorante. Non solo: a lui è andato anche lo Young Chef Award, premio speciale per lo chef emergente, il più giovane di sempre fra i premiati del continente.
Tomas ha iniziato a lavorare a 16 anni e ha frequentato una scuola di cucina a Buenos Aires, prima di iscriversi al Cordon Bleu di Londra. Ha quindi compiuto il consueto pellegrinaggio dai grandi: Heston Blumenthal, Eneko Atxa, Björn Frantzén, poi il laboratorio di Boragò in Cile. “Sono molto inquieto, non so stare fermo. Ho avuto la fortuna che i miei genitori mi aiutassero a stabilirmi in Europa e lì ho conosciuto il mondo del fine dining, di cui non sospettavo l’esistenza. Una gastronomia focalizzata sul dettaglio, il servizio, l’ospitalità, il buon prodotto”, spiega a 7 Canibales.
“Un ristorante non ti insegna a cucinare, ma può trasmetterti un modo di lavorare, una disciplina. Oggi si discute molto della vecchia scuola di Escoffier, ma non bisogna confondere la disciplina con l’abuso. Quando sono entrato da Frantzen, sono passato dal lavorare sei giorni a settimana a tenerne tre completamente liberi. Disciplina non deve significare per forza seppellirsi tutta la settimana senza vedere la luce. Se commettevo un errore, gli chef lo sottolineavano con fermezza, ma senza urlare, magari mi mettevano in pausa. È molto meglio che insultare in pubblico”.
Quando nel marzo 2023 ha aperto Trescha, sembrava che il fine dining argentino fosse in declino, con diverse chiusure o riconversioni in corso; tuttavia si è posizionato subito sull’alta fascia, con il menu a 100 dollari e un pairing perfino a 200, il prezzo più caro in città, soprattutto a causa della passione per i grandi vini. Del resto il menu conta 14 passaggi, il ristorante 25 dipendenti per appena 10 coperti, che assistono alle finiture dal bancone, dispone di un altro bancone per i cocktail e di un lab super equipaggiato. “Da Trescha ho cercato di rubare qualcosa da tutti i posti in cui sono stato: la tecnologia del Fat Duck, il modo di lavorare di Frantzen, i fermenti che ho visto in Svezia e in Cile, con tutto questo ho rafforzato la mia identità, che non deve assomigliare a nessuna. Direi che ho una base francese sui fondi e sulle tecniche, influenze nordiche e asiatiche nei sapori e negli ingredienti, ma con la libertà di fare quello che mi piace. Incasellare un ristorante è limitativo”.
Ma c’è ancora molto da fare: in Argentina, lamenta, è difficile fare arrivare il migliore prodotto al ristorante, per questo la sua è una cucina “vestita”. La stella ha comunque dato una bella spinta: oggi la lista d’attesa è lunga tre mesi. Quindi no, non è vero che il fine dining è in crisi: ci potranno essere più o meno lusso, più o meno servizio, ma ci sarà sempre voglia di elaborare il prodotto con amore, scommette.