Doggy bag sì o no? Di fatto l’uso di portarsi a casa gli avanzi del pasto in chiave antispreco è sempre più diffuso. Pesano le difficoltà economiche, ma anche l’adesione ormai generalizzata al valore della sostenibilità. Non tutti gli operatori, però, sono entusiasti: si rischia di non rispettare il lavoro della cucina.
Foto di Mauro Uliassi di Lido Vannucchi (copertina dekstop) e Lorenzo Cicconi Massi (mobile)
La notizia
A chi non è successo che l’appetito mostrasse segni di défaillance verso la fine del pasto? Eppure che peccato, con tutto quel ben di Dio. È diventato sempre più usuale, che il cliente chieda di portare a casa il resto del cibo o del vino, già pagato. Bene per le sue tasche e soprattutto per l’ambiente (sebbene esistano ristoranti che sanno come riciclare gli avanzi, per esempio sotto forma di compost o di piatti di recupero, quando si tratta di pane, per non parlare del vino in cucina). A non vergognarsi di passare per taccagni, sono già 4 italiani su 10.
Ora da Forza Italia, per la precisione da Giandiego Gatta e Paolo Barelli, arriva la proposta di rendere la pratica obbligatoria: il ristoratore sarebbe tenuto a fornire ai clienti lo strumento per portare via quel che resta sul piatto, magari sotto forma di contenitori biocompostabili. Non sarebbe più un gesto di cortesia, ma un preciso dovere, che non ha mancato di sollevare obiezioni.
Gatta però non ci sta: “Obiettivo della proposta di legge è contribuire a contrastare lo spreco alimentare, uno degli obiettivi fissati dall’agenda ONU 2030. In Italia, secondo i dati della Fondazione Bdfn, ognuno di noi spreca 65 chili di cibo pro capite l’anno, in casa e al ristorante”. Di fatto l’usanza, nata negli Stati Uniti e diffusa innanzitutto in Gran Bretagna, rappresenta già un obbligo in Spagna e in Francia. I dubbi avanzati dagli operatori, tuttavia, sono più che pertinenti.
Da Vittorio a Brusaporto è il tre stelle più tre stelle d’Italia. Qui ogni cliente è re, anche quando si tratta di souvenir. Se ne occupa Rossella Cerea, che dirige la sala. “A noi succede spesso con i compleanni: ne facciamo una decina al giorno. A ogni ora c’è qualcuno che festeggia. Oppure ci chiedono il sacchettino con i cioccolatini. Noi acconsentiamo, ma non su tutto. La torta millefoglie per esempio non si presta, perché si bagna e non è più così buona, al contrario della nuvola o di una crostata di frutta. Certi piatti sono impossibili da trasportare, altri risultano buoni anche il giorno dopo. L’importante è rispettare il lavoro della cucina, senza fare pasticci.
Già papà Vittorio se rimaneva un po’ di torta, suggeriva agli ospiti di portarla a casa e si raccomandava su come mantenerla. Lo stesso facciamo noi. Utilizziamo i contenitori classici in alluminio. È vero che alla fine è un costo, ma è anche un servizio. Se ho una coppia che ordina l’orecchia di elefante, preparata ogni volta con 2 chili abbondanti di vitello, sarebbe uno spreco buttare gli avanzi, che il giorno dopo con un’insalatina sono buonissimi. Il vino invece di solito lo finiscono; se si fermano a dormire, al massimo capita che chiedano di portare la bottiglia in camera. Noi siamo sempre al servizio del cliente”.
Anche Mauro Uliassi ha sempre messo al centro l’ospite, euforizzato da un’atmosfera tanto impeccabile quanto al limite dell’informale. Non si scompone, quindi, quando si parla di doggy bag. “Quando vado nei ristoranti e non finisco qualcosa, chiedo per primo di portarlo via. Idem se qualcuno lo domanda a me, ma è molto raro, succederà dieci volte l’anno. Lo faccio più spesso io: ‘Impacchettami il resto, così ho il pranzo pronto’. Anche per non rimandare indietro e mettere in imbarazzo la cucina, di qualsiasi cosa si tratti. Però non capisco l’obbligo, mi sembra superfluo.
È vero che la pasticceria è difficile da spostare, come un menu degustazione, che ha piccole porzioni. Se un ristoratore si rifiuta, magari è perché non sa confezionare un cibo non idoneo. Noi usiamo le solite vaschette di alluminio, se poi la domanda crescesse, faremmo confezionare contenitori più piacevoli. Il costo sarebbe comunque ridicolo per un ristorante di alta fascia. Ma in uno stellato, appunto, è molto raro, perché il cliente ci va apposta. Mentre in un’osteria ci scappano spesso due tagliatelle in più, da ripassare il giorno dopo in padella. Sul vino poi nessun problema. A parte gli avanzi nel piatto, è anche vero che una cucina professionale non butta via nulla, ricicla per i dipendenti o in altri modi”.