Tanta passione, una cantina di 1000 etichette e piatti che guardano ai classici in modo dinamico, limitando il più possibile lo spreco alimentare. C’è tutto questo, e molto altro, nella storica insegna che stiamo per raccontarvi, da poco entrata a far parte delle Premiate Trattorie Italiane.
Enoteca della Valpolicella
“Quale statistica potrà calcolare l’inflazione provocata da Hemingway con il suo ultimo romanzo Across the river and beyond the trees, dove, ogni due pagine, viene scolata una bottiglia di Valpolicella? E quale Valpolicella, esattamente, beveva Hemingway nella sua stanza a Venezia? Qualche cameriere, al Gritti, dovrebbe ricordarselo. Ma il Gritti di questa stagione è chiuso; e ho pensato che la ricerca, in tali condizioni, diventava troppo complicata.Sono dunque andato sui colli della Valpolicella vedendo se mi riusciva di rintracciare non “quel vino” (ormai, dopo più di vent’anni, non sarebbe nemmeno più buono) ma “quel gusto”; leggero, scivoloso, passante, appena appena abboccato, appena appena amarognolo, che Hemingway descrive così bene e che, ancora meglio, lascia indovinare per la straordinaria quantità che il suo personaggio (ma in realtà lui stesso, identificandosi nel personaggio) ne beve, e per la facilità di berne a tutte le ore, giorno e notte, sera e mattina, anche presto, a letto, appena sveglio. Sono stato in tanti posti, ho provato scrupolosamente tanti vini, incominciando dai più famosi, e finendo con quelli più umili e paesani.
Mi pare che, a un certo momento, Hemingway parli anche di una damigianetta che gli era stata regalata privatamente: poteva, quindi, trattarsi, oltre che del vino dell’Hotel Gritti, di qualche vino artigianale. È appena necessario che aggiunga che non ho più trovato niente che assomigli, neanche da lontano, al Valpolicella di Hemingway. Non pretendo di avere assaggiati “tutti” i Valpolicella. Sono centinaia. Ne avrò assaggiato una dozzina. Fra questi, la palma della minor dissomiglianza va a certo “Quintarelli”, di cinque anni fa, fatto a Ceré di Negrar. Sia chiaro: non dico che il Quintarelli sia il miglior Valpolicella esistente sul mercato. Dico soltanto che mi è parso il meno lontano da quello di Hemingway, il meno sprovvisto di quelle caratteristiche organolettiche, che si possono desumere dal romanzo citato.”
Parlare di Valpolicella non può esimerci dal citare uno dei massimi narratori del vino come Mario Soldati. E Soldati stesso, nel suo volume Vino al vino, non manca di citare Giuseppe Quintarelli, che è stato pioniere nell’imprimere a questo territorio un carattere di eleganza e grande longevità, segnando lo stile inconfondibile dell’amarone e del blend di corvina, rondinella e molinara più famoso del mondo. Una lunga e necessaria premessa che ci permette di introdurre una storia che a questa terra si lega a doppio filo, anzi è una storia d’amore e devozione che si chiama Enoteca della Valpolicella.
La trattoria
“La storia di questo luogo è tutta legata al vino e al territorio. Nel 1996 qui c’era un gran fermento per i finanziamenti della comunità europea in sostegno dell’agricoltura nei comuni montani per ripopolare la zona. Le aziende di vino hanno investito molto dotandosi di macchinari per l’appassimento controllato delle uve, arrivavano enologi, e appassionati. La crescita era palpabile, la Valpolicella era sulla bocca di tutti. Mio marito, l’enologo Roberto Ferrarini, molto amico di Quintarelli, mi incoraggiò ad aprire un’enoteca, più che altro perché avevamo intuito il bisogno di incentivare l’ospitalità in risposta a questo flusso di visitatori, ed è così che ha preso vita il mio sogno.”
A raccontare è Ada Riolfi, che qui è nata e che oggi, con gli occhi velati dall’emozione del ricordo, racconta con passione la propria vita. Una vita di lavoro, iniziato da ragazzina poco desiderosa di studiare, ma che ha imparato in fretta il valore della fatica e del sacrificio, con un sogno nel cassetto che è sempre stato quello di dare voce alla propria terra. Una terra che conosce a menadito, dalla pianura che lentamente sale fino alla cima delle colline. “Oggi l’agricoltura è praticamente tutta dedicata alla viticoltura, ma io cerco ancora i contadini che resistono e coltivano frutti e ortaggi, che sono un altro valore importante. Sosteniamo le microeconomie dei piccoli coltivatori, comprando direttamente da loro a un prezzo certamente superiore a quello di mercato, ma ne vale la pena. E poi c’è il vino, il grande amore di Roberto e mio, che costituisce il nucleo originario della trattoria, con una cantina che oggi conta oltre 1000 etichette, a disegnare il mosaico della Valpolicella più autentica, e in cui entrano etichette di altri territori che amiamo.”
Un progetto ambizioso, quindi, con una ricerca profonda sui rossi di collina, più faticosi da ottenere, ma grandiosi nell'ormai consacrata gamma Valpolicella superiore, Ripasso, Amarone e Recioto, ma in cantina vi si trovano anche giardiniere e conserve di frutti sciroppati prodotti da contadini locali che hanno resistito all'invasione dei vigneti. Con il vino quale perno centrale, si è sviluppata in parallelo la cucina, con la stessa filosofia di ricerca sul territorio e la stagionalità, e uno sguardo dinamico sulla tradizione che viene costantemente personalizzata.
Negli anni Ada è stata ed è ancora guida del ristorante, specie nell’approvvigionamento delle materie prime, per cui spesso nelle sue passeggiate mattutine non va solo a trovare gli amici produttori ma arriva in cucina con il cestino di erbe raccolte nei prati. “Nel 2000 il cuoco se ne è andato e io ho indossato il grembiule, mi sono rimboccata le maniche e ho imparato a cucinare. Ma la clientela è sempre aumentata. Sono stata ai fornelli per 20 anni, nel frattempo è arrivato Davide, un giovane cuoco che ormai è con noi da 8 anni, e ho lasciato la cucina nelle sue mani, pur confrontandoci ogni giorno. Sono riuscita a costruire un team giovane e affiatato come una famiglia che ogni giorno si dedica al menu, alla pasta fresca, al pane, alla lavorazione degli ingredienti da usare freschi o mettere in conserva.”
Al suo fianco oggi in sala c’è la figlia Elisa, laureanda in enologia e profondamente impegnata nella ricerca sul food waste nei ristoranti, un’operazione ancora in progress che ha già messo in atto la realizzazione di un software che calcola lo spreco del cibo, dalla lavorazione agli avanzi in tavola, con l’obiettivo di ridurlo al massimo e raggiungere uno scarto del 25%. “Non compro tagli particolari delle carni, tipo il carré d’agnello, perché avrei uno spreco di almeno il 50%, così come abbiamo deciso di escludere naturalmente il pesce e la carne di manzo, in favore di carni da cortile e selvaggina. Non siamo commercianti, siamo artigiani, e cerchiamo di proteggere il nostro territorio e valorizzare il lavoro artigianale” dichiara fieramente Ada.
I piatti
La tradizione della cucina veneta e veronese entra sottovoce, non dichiarandosi in piatti dei ricettari regionali, quanto in alcuni dettagli, nella preparazione delle salse e degli intingoli, nelle lunghe cotture, nella preparazione delle paste fresche, nel ragù d’anatra tagliato al coltello, e soprattutto nell’utilizzo del vino della Valpolicella in alcuni piatti, tutti normati dall’obbligo di contenere pochi ingredienti.
Ed è già un classico il Risotto con il recioto, al posto dell’amarone, che assume il caratteristico colore viola perché cotto in recioto appena tolto dalla botte; e poi c’è la ricotta delle colline veronesi servita in purezza con la mostarda di mele, la soppressa veronese all’aglio da una piccola azienda che alleva 20 maiali l’anno.
Tra i piatti più rappresentativi della stagione, le Zucchine ripiene di zucchine trifolate e condite con crema di zucchine, completamente vegetale, emblema del concetto zero waste e tanto gusto, un piatto che denota tutta la sapienza nel saper cogliere l’ortaggio nel suo momento migliore e saperlo cucinare nel rispetto assoluto del gusto e della consistenza.
La passata di pomodori cotti per 3 e a volte anche 4 ore ore nel burro richiama la salsa con cui a Verona si condiscono di solito gli gnocchi, ma qui si mangia in purezza, al cucchiaio, in sorsi di vera estate collinare. E ancora i Ravioli ripieni di papavero di campo, raccolti a mano da un amico di Ada, a creare una crema che in bocca sa di latte ed erba, amplificata dal condimento di burro e parmigiano. Eterei, delicati, essenziali.
In carta da 20 anni c’è poi il Petto d’anatra con salsa di miele e recioto, un piatto creato da Ada per utilizzare le uve appassite, ideali per creare un contrasto di sapore agrodolce, tipico della cucina veneta, ma qui essenzializzato in modo da valorizzare le materie prime.
Il carrello dei formaggi chiude il pasto con le mostarde, e le ciliegie di Mazzurega, locali, conservate in sciroppo di zucchero. In questo viaggio ogni piatto sarà il perfetto compagno di un percorso di scoperta o “ripasso” – ci sia consentito il gioco di parole – di vini straordinari che Ada saprà consigliarvi come amici di questa bella famiglia.
Una trattoria da poco entrata a far parte dell’importante associazione Premiate Trattorie Italiane, volta alla salvaguardia dell’autenticità della trattoria, che è la forza delle donne, che è l’amore e la cura di un territorio, la definizione di una tradizione che va a custodirsi, per poi essere rispettosamente raccontata con un linguaggio intimo, delicato, personale, futuribile.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Enoteca della Valpolicella
Via Osan, 45- 37022 Fumane (VR)
Tel: 045 683 9146
Il sito web della trattoria