Parla di “cucina argentina contemporanea” lo chef Gonzalo Aramburu, passato per le brigate di Boulud, Trotter, Robuchon e Berasategui. Alla prima edizione della Michelin nel paese, agguanta due stelle in un colpo solo.
Foto di copertina: @Axel Indik-Para Ti
La storia
È stato un giorno storico, il 25 novembre 2023, quando la guida Michelin per la prima volta ha insignito un ristorante argentino della doppia stella Michelin. Per la precisione Aramburu, insegna eponima del quarantasettenne Gonzalo Aramburu a Buenos Aires.
Ed è stata la realizzazione di un sogno, per qualcuno che aveva sempre puntato verso l’alto. Dopo l’Instituto Argentino de Gastronomia e la scuola Lenôtre a Parigi, Aramburu ha officiato da Miami a New York, con Daniel Boulud, fino a Chicago con Charlie Trotter. E ancora Joël Robuchon e Martin Berasategui. “Ho lavorato in posti stellati, perché ho sempre saputo che era ciò cui puntavo. Sono molto esigente, soprattutto con me stesso, e aspiro sempre a dare il meglio”, racconta oggi lo chef a La Nacion. Da lì l’azzardo di mettersi in proprio, quando tutto gli sembrava possibile.
“Avevo ventinove anni, ero appena rientrato in Argentina, dopo avere lavorato all’estero, e ho deciso che dovevo aprire il mio ristorante. Per questo ho venduto la mia auto, una bella twingo color crema, e ho dato fondo ai miei risparmi. Ho dato tutto per avere il mio spazio. Mio padre mi ha aiutato molto con il locale, lo abbiamo fatto tutto d’un fiato. Abbiamo comprato le sedie (non dove si acquistano i mobili per i ristoranti), le abbiamo portate a incollare e le abbiamo sistemate. Così nel 2007 ho aperto Aramburu”. Il luogo era il quartiere Constitucion di Buenos Aires, lontano dal passaggio, ma a buon mercato per gli affitti, dentro una vecchia e dimessa sede sindacale.
“Sapevo che volevo fare fine dining. Volevo prendere un po’ da tutto ciò che avevo visto e mi piaceva della mia vita, per mostrarlo qua”. Erano i tempi della molecolare e l’Argentina sembrava piuttosto digiuna di alta cucina. Gli inizi non furono dei migliori: in brigata erano solo in tre, ma anche gli amici a un certo punto smisero di passare. Al terzo anno qualcosa ha iniziato a muoversi nei media, con le prime visite da parte di giornalisti. Poi, dopo dieci anni, il trasloco nel quartiere La Recoleta, in un locale più spazioso, con una bella cantina e la cucina a vista, progettato in prima persona per propiziare l’esperienza ricercata.
Qui la proposta si affina: le mattinate vengono dedicate alla sperimentazione, sorta di laboratorio per le nuove ricette. “Ma io non sposo mode. Piatti per vegetariani e per vegani, ne abbiamo sempre avuti e ultimamente il nostro menu non contiene praticamente farine. Per noi la cosa principale è esaltare il prodotto. A differenza dei primi anni, quando facevo ciò che volevo, oggi è il cliente a segnare il cammino”. Lui la chiama “cucina argentina contemporanea”, perché il paese è di per sé un melting pot di influenze europee, americane e perfino asiatiche, a causa delle correnti migratorie.