Vigilia di Natale a Napoli significa pizza di scarola: un pranzo di magro, in attesa dei fasti ittici serali. Risveglia ricordi d’infanzia nei napoletani lontani da casa, come Antonino Cannavacciuolo, che ne fornisce un’interpretazione gentile.
La storia
Povero è buono: le origini della pizza di scarola si perdono a Napoli nella notte dei tempi, ma è certo fosse il cibo degli indigenti, che magari non si potevano permettere neppure un piatto di pasta. Prima dei mangiamaccheroni, infatti, ci sono stati i mangiafoglie, che nei vicoli si sfamavano con le erbe amare, quali friarielli e scarola, fritte nella sugna dalle donne dei bassi. Di fatto è con Vincenzo Corrado che la specialità viene menzionata per la prima volta: nel 1773 Il cuoco galante riporta una sua ricetta fra le pietanze di cucina vegetariana o pitagorica, ma fritta e spolverizzata di zucchero, con la verdura sbianchita e addizionata di sapide acciughe. Poi nel tempo è invalsa la preparazione al forno, senza rinunciare al rinforzo e all’agrodolce.
Il piatto

Antonino Cannavacciuolo è legato alla specialità da ricordi d’infanzia, come spiega lo chef Vincenzo Manicone del Cannavacciuolo Cafè & Bistrot di Novara. “È una ricetta ‘furba’, intelligente, nata per far apprezzare le verdure ai bambini o a chi non le ama particolarmente. Nella versione originale l’impasto viene realizzato con lo strutto, ingrediente protagonista in moltissimi piatti della tradizione campana. Chef Cannavacciuolo, invece, sostituisce lo strutto con l’olio extravergine di oliva, che rende la pizza più saporita e sicuramente anche più leggera".

"Per quanto riguarda il ripieno, ci sono due modi per realizzarlo: secondo la ricetta originale, la scarola viene cotta direttamente in pentola con l’aglio e le acciughe, e questo procedimento rende il piatto molto deciso e amaro. Esiste però un altro modo, che è quello che consiglio, perché mitiga il gusto del ripieno: bisogna sbianchire la scarola, sbollentarla a parte, strizzarla, raffreddarla e andare poi a condirla con i pinoli, l’acciuga, l’uvetta e l’aglio, così da ottenere una pizza dal gusto più delicato, perché tutta la parte amaricante dell’insalata va a perdersi con la sbollentatura. È un piatto gustoso e completo, che non va servito né caldo e né freddo: la tradizione vuole che si prepari al mattino e si consumi la sera a temperatura ambiente.” L’abbinamento è territoriale, con un calice di Falerno o Falanghina.
La pizza di scarola di Antonino Cannavacciuolo

Ingredienti PER 8 PERSONE
Per l'impasto
- 600 g di farina 00
- 150 ml di latte
- 150 ml di acqua
- 15 g di lievito di birra
- 130 ml di olio evo
- 15 g di sale
Procedimento
Stemperare il lievito di birra in 50 ml di acqua tiepida (tra i 30 e i 40 °C). Lavorare in un robot da cucina la farina, il lievito, il latte e l’acqua rimasta; aggiungere l’olio e dopo qualche minuto, verso la fine, il sale. Impastare fino a ottenere un composto liscio. Formare una palla e riporla in una scodella ampia, coprendo con pellicola. Lasciare lievitare per circa 2 ore a temperatura ambiente.
Per il ripieno
- 2 cespi di insalata scarola liscia
- 15 g di acciughe sott'olio
- 10 g di uva sultanina
- 20 g di pinoli
- 1 spicchio d'aglio
- 40 ml di olio evo
- Sale e pepe
Procedimento
Lavare con cura la scarola e asciugarla su carta assorbente, quindi tagliarla in pezzi di circa 3 cm. In una padella soffriggere nell’olio lo spicchio d’aglio privato dell’anima. Quando è dorato, eliminarlo e buttare nella padella le acciughe, finché non si disfano. Unire la scarola, l’uva sultanina precedentemente ammollata in acqua e i pinoli. Aggiustare di sale e di pepe. Cuocere per circa 5 minuti, scolare l’acqua in eccesso e lasciare raffreddare.
Per dorare
- 1 tuorlo
- Latte q.b.
Procedimento
Dividere l’impasto lievitato a metà e stenderlo con un matterello. Ungere una teglia rotonda e foderarla con una delle due parti; bucherellarla e riempirla con il ripieno. Chiudere il tutto coprendo con l’altro disco e bucherellarlo. Spennellare con il tuorlo d’uovo leggermente diluito nel latte e infornare a 180 °C per circa 45 minuti. Lasciare intiepidire prima di servire.
