Lo chef come uno di noi. David Toutain prova a scuotere gli stereotipi, firmando un libro con il Paris Saint-Germain. Ma sul lavoro resta severo: “Nelle grandi maison si apprende il rigore: oggi formo gli chef di domani”.
La notizia
David Toutain, chef del ristorante eponimo a Parigi, è da sempre considerato un talento cristallino, se non un predestinato tout-court. Detiene due stelle rosse e una verde, caso piuttosto insolito per una metropoli. Del resto considera la natura quale sua principale fonte di ispirazione, e per questo da sempre collabora con piccoli produttori e artigiani che rispettano l’ambiente, cercando di minimizzare gli sprechi e condividendo buone pratiche con la brigata. Sulle sue tavole il vegetale è protagonista, ma sta anche lavorando a pairing alcohol-free. Non a caso è andato a scuola da sua maestà Alain Passard, uno che di natura se ne intende. “Privilegiare la qualità sulla quantità, per le proteine come per l’alcol: come chef dobbiamo essere vettori di tutto questo, connettendo produttori e clienti, dando personalmente l’esempio”, si infervora in un’intervista ad actuParis.
“Penso che dobbiamo stare vicino alle persone. Bisogna smontare questa immagine inaccessibile degli chef stellati. Io nel fine settimana mangio cose semplici”, prosegue. Ci ha provato anche firmando il libro di ricette À Table avec le Paris Saint-Germain insieme al nutrizionista e ai giocatori, fra cui Kylian Mbappé con la sua salade César. Tifoso del club, è appassionato di calcio fin da ragazzino, come gran parte dei suoi ospiti.
Nato in Normandia, durante la sua formazione Toutain ha fatto spesso le valigie, spostandosi fra gli Stati Uniti e la Spagna, fino ad aprire recentemente un ristorante a Hong-Kong. Il viaggio è quindi un tema ben presente nei suoi piatti, attraverso il quale sprofondare nelle biografie e nelle civiltà. “Insinuarsi nell’infanzia di qualcuno attraverso il cibo, significa percorrere la sua vita privata e la sua cultura di origine. Alla fine ciò che mi interessa è la storia degli uomini attraverso la cucina. Mangiare tacos nel centro di Città del Messico per esempio è magnifico, perché si tratta di cultura. L’immagine della mamma che conserva gelosamente le ricette di sua nonna, mi affascina”.
Lui ama parlare di “piaceri minuscoli”, come andare a pescare e cucinare per la sua famiglia, generando ricordi (il che avvalora la tesi iniziale della persona oltre il personaggio). E poi per la moglie Thaï, cuoca come lui, che ha scelto di lavorare per il ristorante “nell’ombra”, mentre esercita il ruolo di mamma. Ma sul lavoro sa essere molto esigente. “È qualcosa che si acquisisce passando nelle grandi maison: vi si apprende la concentrazione, ma questo non significa essere infelici. Ogni giorno c’è una nuova clientela da capire, ci sono i casi della natura. Bisogna rimettersi in discussione continuamente. Io per primo. Ed è una faccenda di trasmissione: oggi formo gli chef di domani”.